La Corte di giustizia europea, con la sentenza del 30 aprile 2014, resa nel procedimento C-209/13, ha respinto il ricorso del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord contro l’autorizzazione a instaurare una cooperazione rafforzata nel settore dell’imposta sulle transazioni finanziarie tra undici Paesi membri, tra i quali l’Italia (decisione 2013/52/Ue del Consiglio, del 22 gennaio 2013).

Fatti all’origine della controversia
La direttiva 2008/7/Ce del Consiglio dell’Unione, del 12 febbraio 2008, disciplina le imposte indirette sulla raccolta di capitali, con lo scopo di eliminare, per quanto possibile, i fattori che possono falsare le condizioni di concorrenza o ostacolare la libera circolazione dei capitali. Gli effetti economici dell’imposta sui conferimenti, infatti, sono sfavorevoli al raggruppamento e allo sviluppo delle imprese e tali effetti sono particolarmente negativi nelle fasi di congiuntura in cui occorre dare priorità al rilancio degli investimenti.
La crisi economica e finanziaria mondiale registrata negli ultimi anni, della quale il settore finanziario è considerato uno dei principali responsabili, ha diffuso l’opinione, sia in ambito europeo sia mondiale, che tale settore dovesse contribuire in modo più giusto alla gestione della crisi, considerato peraltro che la tassazione del settore risulta insufficiente.

In tale contesto, il 28 settembre 2011, la Commissione europea ha adottato una proposta di direttiva concernente un sistema comune d’imposta sulle transazioni finanziarie e recante modifica della direttiva 2008/7/Ce.
Obiettivo della proposta del 2011 era, quindi, di armonizzare la legislazione in materia di tassazione indiretta delle transazioni finanziarie, fondamentale per assicurare il corretto funzionamento del mercato interno e per evitare distorsioni della concorrenza. Tale proposta si inseriva, tra l’altro, in un programma di riforma, avviato da tempo dall’Unione europea, della regolamentazione dei servizi finanziari incentrata su quattro obiettivi strategici: il miglioramento della vigilanza nel settore finanziario, il rafforzamento degli enti finanziari e la definizione di un quadro per il loro recupero, l’incremento della sicurezza e della trasparenza dei mercati finanziari e una maggiore protezione degli utenti di servizi finanziari. La proposta di un’imposta sulle transazioni finanziarie (Itf) intendeva integrare tali riforme regolamentari.
Pertanto, in essa venivano, tra l’altro, individuati gli ambiti di applicazione dell’imposta nonché la nozione di “stabilimento”.
Il comma 2 dell’articolo 1 prevedeva l’applicazione del tributo a tutte le transazioni finanziarie, a condizione che almeno una delle parti coinvolte fosse stabilita in uno Stato membro e che un ente finanziario stabilito su un territorio di uno Stato membro fosse parte coinvolta nelle transazioni agendo per conto proprio o per altri soggetti oppure a nome di una delle parti della transazione.

Quanto alla nozione di stabilimento, l’articolo 3, precisava che un ente finanziario si considerava stabilito sul territorio di uno Stato membro allorché rispondesse a una delle condizioni indicate dalla direttiva stessa. Tra queste, la lettera e), in particolare, individuava il caso in cui l’ente finanziario partecipava, agendo per conto proprio o di altri soggetti, oppure a nome di uno dei partecipanti, a una transazione con un altro ente finanziario stabilito in tale Stato membro (in quanto autorizzato da tale Stato ad agire in veste di ente finanziario, o in virtù di sede legale o succursale, indirizzo permanente o residenza abituale) o con un ente partecipante stabilito nel territorio di tale Stato membro che non è un ente finanziario.

Successivamente alla proposta del 2011 e dopo alcune riunioni del Consiglio, è stata constatata l’impossibilità di ottenere un sostegno unanime all’interno del Consiglio in un futuro prevedibile. Ne è conseguito che l’obiettivo prefissato dall’Unione europea non sarebbe stato raggiunto entro un termine considerato ragionevole.
A seguito di tali riunioni, undici Stati membri, favorevoli all’introduzione dell’imposta, hanno chiesto alla Commissione l’autorizzazione a una cooperazione rafforzata ai fini dell’istituzione dell’imposta sulle transazioni finanziarie.
Il 22 gennaio 2013, con decisione 2013/52/Ue, il Consiglio ha autorizzato il Regno del Belgio, la Repubblica federale di Germania, la Repubblica di Estonia, la Repubblica ellenica, il Regno di Spagna, la Repubblica francese, la Repubblica italiana, la Repubblica d’Austria, la Repubblica portoghese, la Repubblica di Slovenia e la Repubblica slovacca a instaurare tra loro una cooperazione rafforzata ai fini dell’istituzione di un’imposta sulle transazioni finanziarie.

La cooperazione rafforzata è una procedura decisionale disciplinata dall’articolo 20 del Trattato sull’Unione europea (Tue) e dagli articoli 326 e seguenti del Trattato sul funzionamento della Ue (Tfue). Tale procedura permette agli Stati membri che vi partecipano (con una soglia minima fissata dal Trattato di Lisbona di nove Stati membri) di organizzare una cooperazione più approfondita su determinate materie che non rientrano nella competenza esclusiva della Comunità. Le cooperazioni hanno l’obiettivo di rafforzare il processo di integrazione dell’Unione senza tuttavia danneggiare il mercato interno e la coesione economica e sociale. Queste, inoltre, non possono costituire un ostacolo né una discriminazione per gli scambi tra gli Stati membri, né possono provocare distorsioni di concorrenza tra questi ultimi (articolo 326 del Tfue).
Le cooperazioni, infine, sono aperte alla partecipazione di tutti gli Stati membri al momento della loro instaurazione e in qualsiasi altro momento purché lo Stato membro che vi vuole aderire si conformi alle decisioni prese nel quadro della cooperazione rafforzata.

Per quanto riguarda le spese derivanti dall’attuazione di una cooperazione rafforzata, ai sensi dell’articolo 332 del Tfue, quelle diverse dalle spese amministrative che devono sostenere le istituzioni sono a carico degli Stati membri partecipanti, salvo che il Consiglio, deliberando all’unanimità dei membri previa consultazione del Parlamento europeo, non disponga altrimenti.

Il 14 febbraio 2013, in attuazione della cooperazione rafforzata, la Commissione ha adottato una proposta di direttiva del Consiglio.
La proposta del 2013 prevede l’applicazione dell’imposta a tutte le transazioni finanziarie, a condizione che almeno una delle parti coinvolte sia stabilita nel territorio di uno Stato membro partecipante alla cooperazione e che alla transazione prenda parte un ente finanziario stabilito sul territorio di uno Stato membro partecipante che agisca per conto proprio o di altri soggetti oppure a nome di uno dei partecipanti alla transazione.
Per quanto attiene al concetto di “stabilimento”, la proposta di direttiva del 2013 afferma che un ente finanziario si considerata stabilito sul territorio di uno Stato membro qualora si verifica una delle condizioni indicate dalla proposta di direttiva, tra le quali, la partecipazione, per conto proprio o di altri soggetti, a una transazione finanziaria concernente un prodotto strutturato o uno degli strumenti finanziari di cui all’allegato I, sezione C, della direttiva 2004/39/CE (tra questi si ricordano i valori mobiliari, gli strumenti del mercato monetario, le quote di un organismo di investimento collettivo, i contratti di opzione, i contratti finanziari a termine standardizzati, gli swap, gli accordi per scambi futuri di tassi di interesse e altri contratti su strumenti derivati) emesso sul territorio dello Stato membro (ad eccezione dei contratti di opzione, finanziari a termine standardizzati, swap, accordi per scambi futuri di tassi di interesse e altri contratti su strumenti derivati che non sono negoziati su una piattaforma regolamentata o agisce in detta transazione a nome di uno dei partecipanti).

Come nella proposta del 2011, anche in quella del 2013 viene previsto il “principio di residenza”, in base al quale l’imposta è dovuta se una delle parti della transazione è stabilita in uno Stato membro partecipante, indipendentemente dal luogo in cui l’operazione è effettuata. Ciò a prescindere dalla circostanza che l’ente finanziario coinvolto sia stabilito nella zona della Itf sia che tale ente agisca per conto di una parte stabilita in tale zona.
Come ulteriore salvaguardia contro l’elusione dell’imposta viene, inoltre, aggiunto anche il “principio di emissione”, in base al quale gli strumenti finanziari emessi negli undici Stati membri saranno tassati quando sono negoziati, anche se coloro che li negoziano non sono stabiliti nella zona Itf.
La Itf, infine, non si applicherà alle attività finanziarie quotidiane dei cittadini e delle imprese, e questo, secondo quanto affermato nel comunicato stampa della Commissione europea, al fine di proteggere l’economia reale. L’esclusione riguarda, inoltre, le tradizionali attività bancarie di investimento nel quadro della raccolta di capitali o delle operazioni finanziarie effettuate nell’ambito di ristrutturazioni nonché delle attività di rifinanziamento, la politica monetaria e la gestione del debito pubblico.

Conclusioni delle parti e procedimento dinanzi alla Corte
Il Regno Unito chiede alla Corte di annullare la decisione impugnata e condannare il Consiglio alle spese.
Il Consiglio chiede alla Corte di respingere il ricorso e di condannare il Regno Unito alle spese.
Il regno di Belgio, la Repubblica federale di Germania, la Repubblica francese, la Repubblica d’Austria, la Repubblica portoghese, il Parlamento europeo e la Commissione sono stati ammessi a intervenire a sostegno delle conclusioni del Consiglio.

Sul ricorso
Il Regno Unito ha presentato ricorso per violazione dell’articolo 327 Tfue e del diritto internazionale consuetudinario e in via subordinata per violazione dell’articolo 332 Tfue.

A norma dell’articolo 327 Tfue, le cooperazioni rafforzate devono rispettare le competenze, i diritti e gli obblighi degli Stati membri che non vi partecipano e, secondo il Regno Unito, l’adozione dell’imposta in argomento è dotata di efficacia extraterritoriale in virtù del “principio della controparte” e del “principio del luogo di emissione” e, per tale ragione, non conforme alle disposizioni del Tfue.
Gli effetti extraterritoriali, poi, sempre secondo il Regno Unito, non troverebbero giustificazione in alcuna norma di competenza fiscale ammessa dal diritto internazionale, in base al quale una normativa può produrre effetti extraterritoriali “solamente a condizione che tra i fatti o i soggetti e lo Stato che esercita la propria competenza nei loro confronti esiste un elemento di collegamento talmente stretto da giustificarne uno sconfinamento nella competenza sovrana di un altro Stato”.

Per quanto attiene all’articolo 332, secondo il quale le spese derivanti dall’attuazione di una cooperazione rafforzata devono essere a carico degli Stati membri partecipanti, secondo il Regno Unito l’attuazione della cooperazione produrrà dei costi anche per gli Stati membri non partecipanti nell’ambito dei servizi di assistenza reciproca in materia di recupero dei crediti risultanti da dazi, imposte e altre misure e di cooperazione amministrativa nel settore fiscale (direttive 2010/21/Ue e 2011/16/Ue). Queste direttive, infatti, non autorizzerebbero gli Stati membri non partecipanti a richiedere il rimborso dei costi di assistenza reciproca e di cooperazione amministrativa connessi all’applicazione delle direttive stesse alla futura Itf.

Il Consiglio e le parti intervenute affermano che i principi contestati nell’ambito del primo motivo di ricorso, in realtà, in tale fase, sono prematuri e considerano elementi puramente ipotetici in quanto si tratta di una legislazione ancora da definire.
Anche il secondo motivo, relativo alle spese sostenute dagli Stati membri non partecipanti, innesca un dibattito prematuro sulle modalità di presa in carico dei costi legati all’attuazione della cooperazione rafforzata che verranno stabilite dal legislatore dell’Unione.

Il Consiglio, la Repubblica d’Austria, la Repubblica portoghese e la Commissione, inoltre, sostengono che le spese attengono, in realtà, unicamente ai costi operativi a carico del bilancio dell’Unione connessi agli atti che istituiscono la cooperazione rafforzata e non a quelli che potrebbero gravare sugli Stati membri, per effetto delle direttive 2010/24 e 2011/16, così come individuate dal Regno Unito.
La Repubblica federale di Germania, infine, afferma che il ricorso risulta irricevibile, in quanto non attinente all’oggetto della decisione impugnata e, in subordine, infondato.

Decisione della Corte
Sulla questione della irricevibilità, la Corte, nel sottolineare che, a norma dell’articolo 120, lettera c) del regolamento di procedura e della relativa giurisprudenza, ogni atto introduttivo del giudizio deve contenere l’indicazione dell’oggetto della controversia nonché l’esposizione dei motivi al fine di far emergere gli elementi essenziali di fatto e di diritto in modo coerente e comprensibile, constata che, nel caso in esame, il contenuto del ricorso soddisfa i requisiti di chiarezza e precisione e respinge quindi l’eccezione di irricevibilità.

Successivamente, chiarisce che, qualora oggetto del ricorso sia l’annullamento della decisione del Consiglio (che autorizza una cooperazione rafforzata), la Corte si deve pronunciare sulla validità di tale decisione alla luce delle disposizioni che disciplinano la cooperazione in questione, verificandone il rispetto dei presupposti sostanziali e procedurali dell’autorizzazione.
Tale sindacato, invece, non deve essere confuso con quello esercitabile avverso un atto adottato per attuare la cooperazione rafforzata autorizzata.

Nel caso esaminato, con il primo motivo di ricorso vengono contestati gli effetti che l’applicazione di alcuni principi della futura Itf potrebbe produrre al di fuori dei territori dei Paesi partecipanti. In merito, la Corte afferma che la decisione impugnata in realtà autorizza gli Stati che l’hanno richiesta a instaurare una cooperazione rafforzata per l’istituzione di un sistema comune di Itf. I principi oggetto di contestazione da parte del Regno Unito, invece, non sono elementi costitutivi della decisione impugnata bensì elementi della proposta del 2011 (principio della controparte) e della proposta del 2013 (principio del luogo di emissione).

In maniera similare, anche il secondo motivo, attinente alle spese derivanti dagli obblighi di assistenza reciproca e di cooperazione amministrativa, non è oggetto della decisione impugnata.
D’altra parte, la questione dell’incidenza sui costi amministrativi che graveranno sui Paesi non partecipanti non può essere esaminata fino a quando i principi di imposizione non saranno definitivamente stabiliti nell’ambito dell’attuazione della cooperazione rafforzata e ciò a prescindere dal fatto che nella nozione di spese di cui all’articolo 332 Tfue sia possibile includere i costi di assistenza reciproca e di cooperazione amministrativa individuati dal Regno Unito.

Per tali ragioni, la Corte statuisce che i due motivi dedotti dal Regno Unito a sostegno del proprio ricorso non meritano accoglimento.


Fonte: Agenzia Entrate

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