Nel caso di reato per fatture relative a operazioni inesistenti emesse nell’arco di più periodi d’imposta, il giudice competente è quello del luogo in cui è stato commesso il reato.
Se non è individuabile il luogo di commissione, la competenza territoriale deve essere attribuita al Tribunale del luogo di accertamento dell’illecito, da intendersi la località in cui la Polizia tributaria ha proceduto alle indagini in funzione della scoperta del delitto nella sua materialità e alla raccolta delle relative prove.
Questi i principi desunti dal testo della sentenza 20505 del 19 maggio 2014.

Il fatto
Con apposita ordinanza, il Tribunale della libertà di Como disponeva il sequestro preventivo nei confronti dell’amministratore unico di una società per azioni, indagato del reato previsto dall’articolo 8 del decreto legislativo 74/2000 per aver emesso nei confronti di diversi clienti, dal 2008 al 2012, fatture per operazioni soggettivamente inesistenti.
Secondo le indagini della Polizia tributaria, il meccanismo fraudolento consisteva nell’emissione di fatture senza applicazione dell’Iva mediante l’utilizzo di false dichiarazioni d’intenti al precipuo fine di consentire a terzi l’evasione dell’imposta sul valore aggiunto.

L’indagato ha impugnato l’ordinanza, proponendo ricorso in Cassazione e lamentando violazione dell’articolo 8 del Dlgs 74/2000 e dell’articolo 8 del codice di procedura penale in ordine alla errata competenza territoriale per il reato contestato.
A parere del ricorrente, il provvedimento cautelare non poteva essere emesso dal Tribunale di Como per difetto di competenza.
Infatti, assumendo che la sede legale della società accertata è stabilita a Milano, è in questo luogo che avrebbero dovuto ritenersi emesse le fatture contestate, con conseguente consumazione in loco dei reati ipotizzati e fissazione della competenza del territorio.
Sul punto, la Corte di cassazione ha ritenuto il ricorso dell’accusato inammissibile per manifesta infondatezza, condannando il ricorrente anche al pagamento delle spese processuali.

La decisione
Con la pronuncia in commento, i giudici della Corte suprema sono stati chiamati a esprimersi sui principi per la determinazione della competenza per territorio nel caso dei reati tributari, la cui disciplina generale è contenuta nell’articolo 18, comma 1, del decreto legislativo 74/2000.
Il criterio generale per la determinazione della competenza per territorio è quello del locus commissi delicti.
Infatti, come stabilito dall’articolo 8 del codice di procedura penale, a cui fa espresso rimando il comma 1 del citato articolo 18, “la competenza per territorio è determinata dal luogo in cui il reato è stato consumato” e, soltanto nell’impossibilità di fissare tale luogo, deve farsi riferimento al luogo “dell’accertamento del reato”.

Con riferimento all’ipotesi di emissione plurima di fatture per operazioni inesistenti, è stabilita una deroga al principio generale.
In realtà, con il comma 3 dell’articolo 18 del Dlgs 74/2000, il legislatore ha fornito un criterio legale solo con riguardo al caso in cui le fatture sono emesse nel “medesimo periodo d’imposta”.
In questo caso, assunto che l’emissione di più fatture per operazioni inesistenti nel corso del medesimo periodo di imposta si considera come un solo reato (cfr articolo 8, comma 2, del decreto), il giudice competente coinciderà con quello del circondario in cui ha sede “l’'ufficio del pubblico ministero che ha provveduto per primo a iscrivere la notizia di reato nel registro previsto dall'articolo 335 del codice di procedura penale”.

La ratio della norma risiede nella necessità di fissare uno specifico criterio, onde evitare le problematiche di individuazione della competenza territoriale nel caso in cui, per esempio, i documenti fossero stati emessi in località comprese nelle circoscrizioni di diversi tribunali.
Scartata l’ipotesi di privilegiare il “luogo di emissione del maggior numero di documenti o dei documenti di maggior importo”, la competenza è stata attribuita al giudice in cui “ha sede l’ufficio del pubblico ministero che per primo ha provveduto ad iscrivere la notizia di reato nel registro previsto dall’art. 335 del c.p.p.”.

In virtù di tale chiarimento, la Corte di cassazione ha ritenuto che la regula iuris fissata dal comma 3 dell’articolo 18 non sia applicabile nel caso in cui le fatture siano emesse in diversi periodi d’imposta, come nel caso di specie in cui le fatture sono state emesse dal 2008 al 2012.
In primo luogo, i giudici di Cassazione hanno respinto in toto la tesi invocata dall’imputato, che implicitamente richiama quanto disposto dal comma 2 dell’articolo 18 del decreto legislativo 74/2000, secondo cui la competenza territoriale andrebbe fissata nel domicilio fiscale perché qui dovrebbe considerarsi consumato il reato.
Tale principio, infatti, è valido “solo per i delitti di cui al capo I – titolo II”, ossia per i cosiddetti delitti dichiarativi elencati agli articoli dal 2 al 7 del Dlgs 74/2000.

Il reato di emissione plurima di fatture per operazioni inesistenti, invece, ricade nel capo II della disposizione normativa.
In questo caso, la fattispecie è interamente disciplinata dal “comma 1 del richiamato art. 18, in base al quale la competenza, se non può essere determinata a norma dell’art. 8 del c.p.c. è attribuita al Giudice del luogo di accertamento del reato”.
Alla luce di tale principio, pertanto, ha ben operato il Tribunale della libertà di Como che ha emesso l’ordinanza di sequestro preventivo sui beni dell’imputato, “sul rilievo che le fatture furono rinvenute e sequestrate all’esito della perquisizione eseguita dalla Guardia di Finanza presso la sede amministrativa della società in Mozzate, luogo ricompreso nel circondario del Tribunale di Como”.
Infatti, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte di legittimità, allorquando si parla di “luogo di accertamento del reato” deve intendersi il luogo in cui “gli ufficiali e gli agenti di polizia tributaria hanno proceduto alle opportune indagini in funzione della scoperta del reato nella sua materialità ed alla raccolta delle relative prove” (cfr Cassazione, sentenza 29667/2003).


Fonte: Agenzia Entrate

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