In tema di accertamento sintetico, è legittima la rettifica della dichiarazione dei redditi di un coltivatore diretto comprensiva soltanto del reddito agrario e dominicale – determinati in base agli estimi catastali – quando, da elementi estranei alla configurazione reddituale prospettata dal contribuente (disponibilità di autoveicoli non inerenti all’attività agricola, tenore di vita, eccetera) si possa fondatamente presumere che ulteriori redditi concorrano a formare l'imponibile complessivo: in questi casi spetta al contribuente, sul quale si inverte l’onere probatorio, dimostrare o di possedere altri redditi legittimamente esclusi da tassazione o che i redditi effettivi che egli ritrae dall’attività agricola sono sufficienti a giustificare il suo tenore di vita.
Lo ha affermato la Cassazione, con la sentenza 10747 del 16 maggio, che recepisce un orientamento ormai consolidato.

La vicenda processuale
La vicenda vede protagonista un coltivatore diretto al quale era stato notificato un avviso di accertamento per l’anno di imposta 1997, con cui l’Agenzia delle Entrate aveva proceduto alla rideterminazione sintetica del reddito dichiarato, come previsto dall’articolo 38, commi 4 e 5, del Dpr 600/1973 vigenti ratione temporis.

I gradi di merito vedevano entrambi soccombere il contribuente: in particolare, i giudici di appello, con un’interessante motivazione, precisavano che, a fronte dell’attività dell’Amministrazione finanziaria di determinazione sintetica del reddito di un coltivatore diretto titolare unicamente di reddito agrario, quest’ultimo, nel fornire la prova contraria, non avrebbe dovuto limitarsi a produrre elementi generici (quali una consulenza tecnica di parte con cui veniva illustrata la potenzialità produttiva del fondo), ma avrebbe dovuto dimostrare il reddito finanziario effettivamente ritratto dall’attività, magari attraverso “la documentazione relativa all’IVA”.

Col successivo ricorso in Cassazione il contribuente lamentava, sotto il profilo sia della violazione di legge che dell’error in procedendo, che erroneamente la Ctr aveva posto a suo carico l’onere della prova mentre, in realtà, avrebbe dovuto essere l’Agenzia delle Entrate a provare l’esistenza di redditi diversi rispetto a quello agrario.

La pronuncia della Cassazione
La Cassazione, con la pronuncia in commento, rigetta in via definitiva il ricorso del contribuente.
I giudici ricordano, infatti, un orientamento ormai consolidato secondo cui l’Amministrazione finanziaria “può legittimamente procedere con metodo sintetico alla rettifica della dichiarazione dei redditi di un coltivatore diretto comprensiva soltanto del reddito agrario e dominicale – determinati in base agli estimi catastali – del fondo da lui condotto, quando da elementi estranei alla configurazione reddituale prospettata dal contribuente (disponibilità di autoveicoli non inerenti all'attività agricola, tenore di vita ecc.) si possa fondatamente presumere che ulteriori redditi concorrano a formare l'imponibile complessivo” (cfr, ex multis, Cassazione, sentenze 10385/2009, 6952/2006 e 12192/2002).

Infatti, la disponibilità di autovetture (così come degli altri beni previsti dai decreti ministeriali attuativi del redditometro) costituisce una presunzione di capacità contributiva che la stragrande maggioranza della giurisprudenza di legittimità ha considerato avente natura legale, ai sensi dell’articolo 2728 del codice civile, perché è la stessa legge a desumere dal fatto certo della disponibilità di tali beni un indice di capacità contributiva. Per questo motivo, all’ufficio non è richiesto null’altro che l’accertamento e la dimostrazione di tali elementi.
In tal caso, spetta al contribuente provare, secondo quanto disposto dall’articolo 38, comma 6, del Dpr 633/1972 (vigente prima delle modifiche apportate dall’articolo 22 del Dl 78/2010 convertito nella legge 122/ 2010) di possedere altri redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte e/o che i redditi effettivi ritratti dall’attività agricola siano sufficienti a giustificare il suo tenore di vita.

Se ne desume che la Ctr ha fatto corretta applicazione di tali principi ritenendo, con un giudizio tipicamente di fatto, insindacabile in sede di legittimità ove congruamente motivato, che gli elementi probatori offerti dal contribuente non fossero sufficienti a vincere le presunzioni invocate dal Fisco.

Ulteriori osservazioni
La titolarità di un reddito agrario non mette al riparo il contribuente dall’attività di controllo dell’Amministrazione finanziaria: infatti, riprendendo un principio espresso dalla Corte costituzionale con la sentenza 377/1995, numerose pronunce di legittimità hanno sostenuto che, ove la capacità di spesa del contribuente manifesti il possesso di un reddito superiore a quello effettivo realmente conseguito nell'esercizio delle attività agricole e quindi di un reddito diverso da quello denunciato (possesso di altri terreni o esercizio di attività diverse non riconducibili a quelle agricole), diventa legittimo l'accertamento sintetico in base a elementi e circostanze di fatto certi, salva la facoltà del contribuente di fornire la prova che egli possieda altre fonti di reddito non tassabili, o tassate separatamente oppure che i redditi effettivi frutto della sua attività agricola siano sufficienti a giustificare il suo tenore di vita (cfr Cassazione, sentenze 6952/2006, 7005/2003, 12192/2002).
A quest’ultimo fine, secondo l’odierna pronuncia, non è sufficiente fornire una prova generica (vale a dire una perizia da cui si possa desumere solamente la potenziale capacità di sfruttamento del fondo agricolo) diventando fondamentale la tenuta di una contabilità puntuale e attendibile.

Sul tema del reddito finanziario effettivo, l’Agenzia delle Entrate, con circolare 25/E del 19 giugno 2012, ha precisato che il reddito dichiarato non sempre costituisce un termine di confronto omogeneo rispetto a quello determinato sinteticamente: per questo, in molti casi, l’importo andrà adeguato nel corso del contraddittorio per stabilire il reddito effettivamente a disposizione del contribuente (che è l’unico che ne esprime la reale capacità di spesa). Ciò vale sia per il reddito di impresa, che risente delle regole del Tuir (aventi l’effetto di limitare la deducibilità di alcuni costi oppure di consentire, per esempio, la rateizzazione, a soli fini fiscali, delle plusvalenze) sia nei casi di redditi “figurativi” come il fondiario.


Fonte: Agenzia Entrate

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