La fattispecie delittuosa prevista dall’articolo 3 del Dlgs 74/2000 (dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici) prescinde dall’uso di false fatturazioni o documentazione equipollente; pertanto, è configurabile esclusivamente nei confronti dei soggetti obbligati a tenere le scritture contabili.
Di contro, la condotta criminosa disciplinata dall’articolo 2 dello stesso decreto delegato (dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) può essere commessa da qualsiasi soggetto tenuto alla dichiarazione dei redditi e dell’Iva, mediante la sola utilizzazione di fatture o altri documenti relativi a operazioni inesistenti.
Questo l’interessante chiarimento fornito dalla terza sezione penale della Cassazione nella sentenza n. 18698 del 6 maggio 2014, che ha rigettato il ricorso dell’imputato.

La questione riguarda il ricorso proposto avverso la sentenza della Corte d’appello, che aveva confermato il giudizio di responsabilità pronunciato a carico del ricorrente, in relazione all’accusa di avere violato l’articolo 2 del Dlgs 74/2000.
In sostanza, al ricorrente – nella sua qualità di legale rappresentante di una società esercente attività di servizi di pulizia – si contesta di avere indicato nella dichiarazione annuale dei redditi, per gli anni d’imposta 2004-2006, elementi passivi fittizi, avvalendosi di schede carburante per rifornimenti mai effettuati.

Nell’articolato ricorso, l’imputato eccepisce, tra le altre, la violazione di legge, nella considerazione che la condotta contestata avrebbe dovuto essere riportata nell’alveo dell’articolo 3 e non in quella dell’articolo 2.
Infatti, secondo la tesi difensiva, la condotta ascrittagli non costituirebbe il mezzo per commettere il delitto di cui al citato articolo 2, ma, semmai, quello residuale dell’articolo 3 che, tuttavia, non è applicabile al caso di specie perché non è stata superata la soglia di punibilità ivi prevista.

Per i giudici di legittimità, il ricorso deve essere respinto in quanto infondato.
Nello specifico, la Cassazione prende atto che – dai riscontri incrociati eseguiti dalla Guardia di finanza sulle schede carburante relative al rifornimento eseguito presso un distributore e su quelle dei mezzi in riparazione – era emerso che gran parte dei prelievi indicati nelle schede era avvenuta durante i giorni di chiusura dell’impianto di distribuzione (con pagamento in contante di importo rilevante) e che, in alcuni giorni indicati sulle schede per il rifornimento di specifici automezzi, gli stessi si trovavano, in realtà, in riparazione presso officine e, pertanto, non potevano avere effettuato rifornimenti.
Per la Corte, quindi, la decisione impugnata si fonda su dati documentali talmente certi che non possono essere smentiti dal teorema della vendetta (perpetrata dal gestore dell’impianto di distribuzione nei suoi confronti) formulato dal ricorrente a sua difesa, ma non suffragato da alcuna prova.

Nel merito, poi, la Corte suprema ritiene “suggestiva”, ma infondata, la questione giuridica che il ricorrente pone invocando l’applicazione, nel caso di specie, dell’articolo 3 del Dlgs 74/2000, anziché quella dell’articolo 2, e quindi una declaratoria di non punibilità per mancato superamento delle soglie ivi previste.
Tuttavia, la fattispecie di cui al citato articolo 3 (il cui incipit è “fuori dai casi previsti dall’art. 2…”) ha natura residuale rispetto a quella dell’articolo 2, nell’ambito dell’ipotesi criminosa della dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici.

In particolare, la condotta punita dall’articolo 3, oltre a essere configurabile solo al superamento di una soglia minima dell’imposta evasa o degli elementi attivi sottratti all’imposta, è ipotizzabile solo nei confronti di determinate categorie di contribuenti.
Infatti, tale condotta ha, quali elementi costitutivi, una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie e il fatto di avvalersi di mezzi fraudolenti idonei a ostacolarne l’accertamento, sicché è evidente che trattasi di fattispecie che prescinde dall’uso di false fatturazioni o documentazione equipollente, ed è configurabile esclusivamente nei confronti dei soggetti obbligati a tenere le scritture contabili.

Di contro, il reato di cui all’articolo 2 può essere commesso da qualsiasi soggetto obbligato alle dichiarazioni dei redditi o Iva (Cassazione, sentenza 46785/2011).
Inoltre, è stato chiarito che “…l’elemento differenziale tra l’ipotesi delittuosa dell’art. 2 e quella dell’art. 3 non sia costituito dal tipo di falsificazione posta in essere (se materiale o ideologica) bensì dalla natura del documento usato per commettere la frode fiscale e, più precisamente, dalla sua efficacia probatoria, vale a dire il carattere più o meno subdolo del mezzo adoperato” (Cassazione, sentenza 9673/2011).

Ne consegue che, ai fini della condotta punita dall’articolo 2, deve trattarsi di fatture o altri documenti a esse equiparati, il cui valore probatorio discende dalla apparente affidabilità della documentazione contabile corrispondente allo schema normativo, cui la legge collega determinate conseguenze in materia fiscale; invece, per la ricorrenza del reato di cui all’articolo 3, occorrono solo una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie e il fatto di avvalersi di mezzi fraudolenti, idonei a ostacolarne l’accertamento.

Tanto premesso, applicando tali principi al caso concreto – nella considerazione che le schede carburante sono equiparate alle fatture, come si evince dall’articolo 1, lettera a), del Dlgs 74/2000 e dagli obblighi di annotazione e conservazione previsti, per le stesse schede, dagli articoli 25 e 39 del Dpr 633/1972 – la Corte suprema ritiene erronea la tesi difensiva. La stessa dovrebbe, semmai, portare alla conseguenza opposta, vale a dire, alla contestabilità di entrambe le fattispecie delittuose.

Osservazioni
In ordine alla distinzione tra le condotte delittuose di cui agli articoli 2 e 3 del Dlgs 74/2000, la Cassazione ha già avuto modo di precisare che la prima deve ritenersi applicabile a entrambe le tipologie di falso (ideologico e materiale), tenuto conto che la frode sanzionata da tale norma si distingue da quella di cui all’articolo 3, non per la natura del falso ma per il rapporto di specialità reciproca esistente tra le due disposizioni legislative (sentenza 27392/2012).

La stessa Cassazione, poi, ha precisato – in linea con l’attuale pronuncia – che integra la fattispecie di “dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”, di cui all’articolo 2, e non quella riconducibile all’ipotesi residuale di cui al successivo articolo 3, rispetto alla quale sono previste specifiche soglie di punibilità, il contribuente che utilizza schede carburante false, recanti operazioni inesistenti o comunque aumentate, al fine di evadere le imposte sui redditi e l’Iva (sentenza 912/2012).


Fonte: Agenzia Entrate

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