Il reddito d’impresa deve essere determinato utilizzando il criterio di competenza. Il principio – precisa la Corte di cassazione nell’ordinanza 28 aprile 2014, n. 9317 – si applica anche se i ricavi, relativi alla transazione con un’altra azienda, sono stati pagati con assegni mai incassati.

Il fatto
La vicenda riguarda una Srl che aveva percepito alcuni assegni circolari a titolo di transazione con un cliente inadempiente. Le somme non erano state contabilizzate perché ancora non incassate. L’ufficio aveva notificato avviso di accertamento per le maggiori imposte, sostenendo che qualunque emolumento in favore della società poteva essere usato per il calcolo del reddito d’impresa con il criterio di competenza e non di cassa (a tale proposito, giova ricordare che, in base al principio di cassa, assumono rilevanza soltanto le spese effettivamente sostenute nel corso del periodo d’imposta, mentre, secondo il principio della competenza, rilevano le spese inerenti all’esercizio, seppure non realmente sostenute nel corso dell’esercizio medesimo).

La tesi dell’ufficio non è stata condivisa dalla Commissione tributaria provinciale, alla quale è ricorsa la società contribuente, che ha annullato l’atto impositivo. La decisione è stata poi confermata dalla Commissione regionale, la quale ha affermato che il giudice di primo grado aveva correttamente ritenuto inapplicabile, al caso esaminato, il criterio d’imputazione dei ricavi “per competenza”, posto che la transazione in questione prevedeva la corresponsione di una somma mediante assegni bancari e che la società contribuente aveva fornito idonea prova del mancato incasso della stessa.

L’ufficio procede allora con ricorso per cassazione, evidenziando come il giudice dell’appello non aveva tenuto alcun conto del vigente principio di competenza in materia di determinazione del reddito d’impresa, in virtù del quale l’effetto delle operazioni economiche deve contabilmente essere attribuito all’esercizio al quale esse si riferiscono. Ciò indipendentemente dal successivo incasso delle conseguenze economiche delle operazioni. In sostanza, secondo il ricorrente, la contribuente avrebbe dovuto contabilizzare il ricavo nell’anno di competenza e in un secondo tempo rettificare tale dato – con imputazione della sopravvenienza passiva (articolo 101 del Tuir) – per dar conto del mancato incasso delle somme dovutele in base alla transazione.

Motivi della decisione
Decidendo la vertenza, con la sentenza 9317/2014, la Corte di cassazione, nell’accogliere il ricorso dell’Amministrazione finanziaria, ha stabilito che, ai fini della determinazione del reddito d’impresa, le somme portate dagli assegni bancari non ancora incassati devono essere contabilizzate secondo il principio di competenza.
Al contrario, annullando l’atto impugnato, il giudice di merito ha applicato un principio del tutto opposto a quello vigente in materia.

Premesso che, in tema di accertamento dei redditi d’impresa, costituisce principio consolidato che l’onere di dimostrare l’esistenza dei fatti che determinano la sussistenza di costi e oneri deducibili, nonché la presenza dei requisiti previsti dal Tuir, spetta al contribuente ai sensi dell’articolo 75 del Dpr 917/1986 (cfr Cassazione 5349/2014), nel testo vigente ratione temporis (ora, articolo 109), nel prevedere che i ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza e che, ai fini dell’individuazione di tale esercizio, le spese di acquisizione dei beni mobili si considerano sostenute alla data della consegna o spedizione, non consente di attribuire rilievo alla data in cui perviene la fattura della spesa sostenuta, né permette la detrazione dei costi in esercizi diversi da quello di competenza, non potendo il contribuente essere lasciato arbitro della scelta del periodo in cui registrare le passività, in quanto l’imputazione di un determinato costo a un esercizio anziché a un altro può, in astratto, comportare l’alterazione dei risultati della dichiarazione, mediante i meccanismi di compensazione dei ricavi e dei costi nei singoli esercizi (cfr Cassazione 3418/2010).

In sostanza, il principio di competenza prescinde dal momento nel quale il documento giustificativo del costo viene acquisito o viene esibito, giacché, se si ritenesse il contrario, si verrebbe a collegare, inammissibilmente, l’imputabilità del costo non a fatti oggettivi e a effetti ben precisi, individuabili nel tempo alla stregua della norma, ma alla volontà di soggetti che avrebbero la possibilità di fornire il documento rappresentativo del costo nel momento più opportuno, a seconda della convenienza (cfr Cassazione 1655/2013).
L’articolo 75 del Tuir consente una deroga solo per le ipotesi nelle quali, nel periodo di competenza, “non sia ancora certa l’esistenza” delle spese o il loro ammontare non sia “determinabile in modo obiettivo” (cfr Cassazione 8577/2006).


Fonte: Agenzia Entrate

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