Nella donazione di beni immobili gravati da vincolo espropriativo da un coniuge all’altro, a prescindere dalla legittimità, sul piano civilistico, del negozio posto in essere, può sussistere un intento elusivo agli effetti fiscali, se vengono riscontrati elementi e circostanze che, tutti insieme, consentono di prospettare la violazione degli articoli 37 e 37-bis, Dpr 600/1973, e dei principi di legittimità affermati in materia.
Lo ha affermato la Cassazione, con l’ordinanza n. 9905 del 7 maggio 2014.

I fatti
Con avviso di accertamento notificato nel 2008 relativo a Irpef per l’anno 2002, l’ufficio quantificava un minor credito derivante da un’operazione elusiva, posta in essere dal contribuente e dalla moglie, al fine di ottenere un indebito risparmio di imposta.
Il contribuente, infatti, riceveva in donazione dalla coniuge due terreni, pervenuti alla stessa per successione ereditaria. I fondi, poco prima della donazione, erano stati sottoposti a vincolo espropriativo in forza di due delibere con le quali il Comune decideva di approvare, nell’ambito degli strumenti di pianificazione del territorio, il piano degli insediamenti produttivi della zona.

Tale circostanza era nota alla donante, destinataria della comunicazione di avvio del procedimento, ed era stata dichiarata in atti al momento della stipula della donazione (quindi, ne era a conoscenza anche il donatario).
In sede di dichiarazione dei redditi, il contribuente sceglieva la tassazione ordinaria e chiedeva il rimborso delle ritenute subite dal Comune (che, in qualità di sostituto, aveva trattenuto il 20% sulla somma corrisposta a titolo di indennità, evitando in tal modo che sulla plusvalenza venisse applicata l’Irpef a scaglioni), sostenendo, innanzi al giudice di primo grado, che la somma gli era dovuta perché, nella fattispecie, non si erano realizzate plusvalenze tassabili.

La Commissione provinciale, limitandosi a enunciare il susseguirsi degli eventi, ha accolto il ricorso nonostante l’ufficio avesse denunciato elementi e circostanze (lo spazio temporale di circa venti giorni intercorso tra l’ultima delibera comunale e la donazione; la circostanza che nell’atto di liberalità emergeva che il coniuge accettante era a conoscenza del vincolo espropriativo; il valore dichiarato in donazione, artatamente di gran lunga superiore - quasi 28 volte - a quello indicato nella dichiarazione di successione, in modo da determinare una minusvalenza; il legame di natura familiare tra i coniugi, tale che nei fatti né i fondi, né l’indennità di esproprio erano mai usciti dal patrimonio familiare; il vantaggio concreto dell’operazione per entrambi: la moglie ha evitato la tassazione della plusvalenza e il marito, oltre l’indennità di esproprio, ha chiesto il rimborso fiscale) volti a provare che i coniugi, per sottrarre a tassazione l’eventuale plusvalenza generata dalla differenza tra il valore dell’indennità e quello dei terreni, avevano posto in essere un’operazione elusiva.

Anche in secondo grado l’ufficio è risultato soccombente.
In particolare, la Commissione tributaria regionale ha sostenuto che, dalla documentazione in atti, il contribuente aveva titolo a conseguire il rimborso in quanto: era inesistente lo schema dell’interposizione fittizia (sulla cui base si sarebbe dovuto indirizzare l’accertamento, ex articolo 37-bis, Dpr 600/1973, alla moglie del contribuente, quale interponente e effettiva titolare del reddito imponibile, anche se mediante soggetto interposto); mancava un atto simulato (in quanto non vi è stata alcuna plusvalenza a favore del contribuente, che non è mai divenuto proprietario dei beni poi espropriati); sussisteva l’arricchimento del donatario (che, invece, a parere dell’ufficio, mancava, considerato che i beni oggetto di donazione erano sottoposti a vincolo di espropriazione).

L’Agenzia ha proposto ricorso per cassazione, lamentando violazione e falsa applicazione degli articoli 37 e 37-bis, Dpr 600/1973, e dell’articolo 2697 cc, nonché omessa motivazione su fatto controverso e decisivo.
La Corte lo ha accolto, precisando che la questione doveva essere esaminata “tenendo conto dei principi desumibili da pregresse pronunce” di legittimità e cioè “Il principio secondo cui, in forza del diritto comunitario, non sono opponibili alla Amministrazione finanziaria quegli atti posti in essere dal contribuente che costituiscano ‘abuso del diritto’, cioè che si traducano in operazioni compiute essenzialmente per il conseguimento di un vantaggio fiscale” e quello a mente del quale “incombe sul contribuente la prova della esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti con carattere non meramente marginale o teorico. (Cass. n. 8772/2008, n. 25374/2008, n. 25537/2011, n. 10549/2011, n. 11236/2011)”.

Osservazioni
Due i principi enunciati dalla Corte:
l’inopponibilità degli atti che costituiscono “abuso del diritto” è principio da estendere a tutti i settori dell’ordinamento tributario, e dunque anche all’ambito delle imposte dirette, prescindendosi dalla natura fittizia o fraudolenta dell’operazione
la sussistenza del lamentato vizio di omessa motivazione della sentenza di secondo grado, in quanto il giudice di merito ha omesso di indicare, nella pronuncia, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero, anche se ha indicato tali elementi, lo ha fatto senza un’approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cassazione n. 1756/2006 e n. 890/2006) seguito per giungere a escludere l’intento meramente elusivo dell’operazione.
La Cassazione, infatti, ha sottolineato che i giudici d’appello si sono limitati ad affermare che l’Agenzia “non ha fornito alcuna prova a sostegno della … tesi” del negozio posto in essere solo per ottenere un indebito beneficio fiscale, e a notare che “il genuino intento di arricchire il donatario” era, nella fattispecie, desumibile dal fatto che il donatario aveva potuto godere del controvalore dei beni oggetto della donazione.

Di conseguenza, gli stessi giudici sarebbero pervenuti a conclusioni diverse, se avessero valutato elementi e circostanze, tutti evidenziati dall’Agenzia nell’accertamento e riproposti nei successivi atti di causa, secondo i quali, ragionevolmente, la donazione a favore del coniuge era stata dettata dall’intento di evitare l’emergere della plusvalenza tassabile che si sarebbe determinata in esito alla già avviata procedura espropriativa.
Il giudice del rinvio procederà al riesame della fattispecie e, attenendosi al quadro normativo di riferimento e ai richiamati principi, deciderà nel merito e sulle spese del giudizio di legittimità, “offrendo congrua motivazione”.


Fonte: Agenzia Entrate

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