La Corte di cassazione, con la sentenza 15250 del 12 settembre, ha riconosciuto la legittimità dell’accertamento induttivo basato sulla valutazione delle rimanenze finali diverse da quelle dell’esercizio successivo, rimanenze iniziali, nonostante, per tale periodo, fosse stato richiesto, dal contribuente, l’accertamento con adesione.
Il Collegio ha chiarito che, se è vero come è vero che, le rimanenze finali di un esercizio sono pari a quelle iniziali dell’esercizio successivo, non è altrettanto valido il caso contrario.

Il fatto trae origine dalla notifica di un avviso di accertamento e della cartella di pagamento effettuati dall’Amministrazione finanziaria nei confronti di un contribuente, al quale erano state rettificate le rimanenze finali del magazzino, riconducendo a tassazione i maggiori redditi ai fini Irpef, Irap e Iva.

Contro l’atto impositivo del fisco è stato proposto ricorso alla Commissione tributaria provinciale che ha accolto soltanto parzialmente le richieste del contribuente.
Di conseguenza, per veder accolte in toto le proprie pretese, il contribuente si è rivolto alla Commissione tributaria regionale che, ricalcando il solco tracciato dai giudici di primo grado, ha rigettato sia il ricorso principale che quello incidentale proposto dall’Agenzia delle Entrate, la quale ribadiva la legittimità della rivalutazione delle rimanenze finali di magazzino, nonostante l’accertamento per adesione delle rimanenze iniziali per l’anno di imposta successivo.

Contro la sentenza di secondo grado il contribuente presenta ricorso in Cassazione, seguito dal controricorso dell’Agenzia delle Entrate.
Nel ricorso principale viene evidenziato dal contribuente l’erronea valutazione, da parte dell’Amministrazione finanziaria, delle rimanenze finali di magazzino: quest’ultima, infatti, non aveva tenuto conto dell’avvenuto accertamento con adesione delle rimanenze iniziali per l’anno successivo e che i due esercizi devono ritenersi  autonomi, ai sensi dell’articolo 7 del Dpr 917/1986.
La Corte di cassazione, con la sentenza in esame, ha ritenuto infondato il ricorso presentato dal contribuente perché ricade in capo a questi l’onere di provare che i costi, o qualsiasi altro elemento negativo del reddito, siano inerenti e direttamente imputabili all’attività produttiva.

Ne consegue che, l’attività di accertamento è da ritenersi del tutto legittima, anche quando la contabilità sia stata tenuta correttamente dal punto di vista formale, ma sia in contrasto con i principi della ragionevolezza e dell’antieconomicità della gestione d’impresa.
“In tali casi è, pertanto, consentito all'ufficio dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici - purchè gravi, precise e concordanti - maggiori ricavi o minori costi, con conseguente spostamento dell'onere della prova a carico del contribuente (Cass. 6337/02, 1711/07)”.
La ricostruzione induttiva del reddito del contribuente, operata dall’Agenzia delle Entrate, era stata calcolata secondo l’attribuzione al venduto di parte delle merci acquistate nell’anno precedente, effettuando opportuna comparazione con la documentazione contabile fornita dall’imprenditore.
In sostanza, è stato evinto dagli inquirenti che esisteva una cospicua giacenza di magazzino superiore all’ammontare dei ricavi dichiarati che erano inferiori ai costi di acquisto delle merci, evidenziando un’evidente antieconomicità della gestione aziendale che ha legittimato, di fatto, l’accertamento induttivo da parte del Fisco del reddito non dichiarato dal contribuente.
I giudici di legittimità, nella sentenza 15250/2012, hanno evidenziato, altresì, come non corrisponda la reciprocità tra le rimanenze delle merci in magazzino finali e le merci iniziali, stante il principio di autonomia dei periodi d’imposta  sancito dall’articolo 7 del Dpr 917/1986.
In conclusione, secondo la Corte, gli uffici finanziari hanno operato correttamente, stante i consistenti elementi di dubbio rilevati dalla documentazione contabile presentata dal contribuente, accertando i maggiori redditi prodotti, calcolati sulla base dell’evidente disparità tra le rimanenze finali e le rimanenze iniziali, anche se quest’ultime siano state oggetto di accertamento induttivo con adesione.


Fonte: Agenzia Entrate

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