Integra il reato di peculato la condotta del commissario liquidatore che incamera gli interessi moratori rimborsati dall’Agenzia delle Entrate travasandoli nel suo conto corrente personale e così facendone uso uti dominus, con ripetute movimentazioni bancarie non inerenti ad alcuno dei numerosi incarichi pubblici ricoperti e ne’ ad attivita’ svolte per le societa’ liquidate. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza 33624 del 4 settembre.

I fatti
A conclusione del giudizio svoltosi nelle forme ordinarie, il tribunale ha dichiarato la parte colpevole di due imputazioni di peculato.
 Condotte criminose integrate dall’essersi l’imputato, commissario nella procedura di liquidazione coatta amministrativa di due società cooperative a responsabilità limitata, appropriato indebitamente - dopo la chiusura delle procedure, la presentazione dei bilanci finali e la cancellazione delle società dal registro delle imprese - di somme di denaro erogate dall’Agenzia delle Entrate alle societa’, a titolo di interessi di mora su rimborsi Iva, diversi anni dopo la chiusura della liquidazione (nel 2001 con riferimento alla chiusura avvenuta nel 1996: dal 1997 al 2003, per la chiusura avvenuta nel 1994).

Il commissario aveva dichiarato di essere convinto in buona fede che gli organi di vigilanza della Regione (articolo 2545-terdecies cc) erano a conoscenza delle procedure contenziose (pendenti presso la Commissione tributaria) da lui instaurate per ottenere i rimborsi di imposta e i connessi interessi vantati dalle cooperative. Il tribunale ha considerato provata per tabulas la responsabilità dell’imputato sulla base:
- delle omesse doverose comunicazioni alla Regione dei crediti sopravvenuti alla chiusura delle due procedure di liquidazione ed emerse dalle dichiarazioni rese dai funzionari regionali esaminati in dibattimento (crediti dei quali il commissario liquidatore non aveva offerto alcuna indicazione e che in ogni caso avrebbe dovuto annotare nei bilanci finali, pur trattandosi di crediti potenziali)
- della consapevole appropriazione delle somme erogate dall’erario a favore delle societa’ delle quali solo l’imputato - nella sua qualità - avrebbe potuto informare la Regione per promuovere la riapertura delle procedure concorsuali e provvedere al riparto delle sopraggiunte poste attive tra i creditori
- della testimonianza del nuovo liquidatore cui il vecchio avrebbe rivelato (“dichiarazioni confessorie”) di aver inteso praticare una sorta di “autocompensazione” per ritenuti crediti vantati verso le due procedure di liquidazione per le sue prestazioni professionali.
In appello, la Corte, dopo aver confermato la sentenza di primo grado, ha evidenziato che se l’Agenzia delle Entrate non avesse, di propria iniziativa, comunicato alla Regione Friuli la corresponsione dei pagamenti al commissario, gli organi regionali di vigilanza non avrebbero saputo delle sopravvenienze attive incamerate dall’imputato.
Infine, anche in Cassazione i fatti non hanno avuto diversa qualificazione. La Corte, infatti, ha dichiarato inammissibile il ricorso del commissario affermando che “la scriminante dell’adempimento del dovere che avrebbe caratterizzato il comportamento ... elidendone la volontà criminosa (dolo), in rapporto alla sua qualità di commissario liquidatore, ancorché cessato dalla carica (per chiusura delle procedure commissariali), è destituito di serio pregio ed erroneo in rapporto alla struttura normativa del reato di peculato ex art. 314 co. 1 c.p.”.

Osservazioni
La Corte analizza la condotta del reato di peculato posta in essere da un soggetto cessato dalla carica, con provata esperienza professionale e inadempiente del dovere generale di comunicazione. Nonostante cessato dalla carica (munus publicum), il commissiario liquidatore ne conservava prerogative e oneri con riferimento ad attività che, in quanto pertinenti alla chiusura delle procedure, si rendano necessarie dopo la chiusura delle stesse. Di conseguenza, secondo i giudici di legittimità, non regge la scriminante dell’adempimento del dovere, ex art. 51 codice penale, la circostanza che il commissario si fosse trovato “imbrigliato” tra la necessità di incassare il vaglia cambiario con cui l’Ufficio finanziario restituiva gli interessi e l’impossibilità di incassare la somma se non a titolo personale, non potendo aprire un conto corrente intestato a persone giuridiche estinte (alla data del pagamento delle somme, le cooperative erano state liquidate e cancellate dal registro delle imprese). Ne’ poteva ritenersi che l’imputato, avendo agito iure privatorum perché cessato dalle cariche commissariali, non avrebbe avuto alcun obbligo di informare gli organi regionali di vigilanza, anche a distanza di tempo dalla chiusura delle procedure. Al riguardo, la Corte afferma che sussite “un pacifico obbligo del commissario di una procedura di liquidazione ormai definita di avvisare i competenti organi pubblici della sopravvenienza di cespiti attivi a lui direttamente versati (per la sua preesistente carica pubblica) da soggetti od organi che non siano a conoscenza dell’avvenuto esaurirsi della procedura concorsuale...”.
E, a prescindere dalla voluta omissione della comunicazione dei fatti (sicuro indice oggettivo di consapevolezza del reato di peculato), i giudici di legittimità hanno evidenziato che la consapevolezza nel reato di peculato è evidente proprio per la sua natura di reato istantaneo: si consuma nel momento in cui il soggetto, venuto in possesso ratione officii di denaro della p a (pertinente a una procedura concorsuale), ne disponga a titolo personale (uti dominus). Tale denaro, fin dall’inizio appartenente alla pa, non può essere confuso o commisto con quello personale dell’agente (Cassazione 12141/2009, 38691/2009 e 26476/2010).

Ma non senza possibilità di giustificazione. Soltanto l’immediatezza della retrocessione, per equivalente controvalore monetario, della somma di denaro introitata dal pubblico ufficiale potrebbe consentire di elidere la valenza appropriativa della condotta, a condizione che il tempo tra riscossione e successivo versamento sia ragionevolmente breve (il minimo occorrente per perfezionare una tale operazione). Ma così non e’ stato nella fattispecie esaminata: tra il versamento degli interessi di mora erariali sul conto personale e l’accertamento di tale circostanza (per la casuale informativa dell’Agenzia delle Entrate) sono intercorsi diversi anni. E non certo perchè il commissario, di provata esperienza professionale (titolare di analoghi incarichi commissariali in oltre trenta procedure), sia incorso in una semplice e incolpevole dimenticanza (incompatibile con l’entità globale delle somme fatte proprie).


Fonte: Agenzia Entrate

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