Nella controversia oggetto della pronuncia, una società, costituita secondo il diritto lussemburghese e con sede sociale in uno Stato membro, beneficiava, dal 2004, di una riduzione dell’imposta sul patrimonio. A fronte di tale riduzione, aveva provveduto a costituire una riserva non distribuibile, così come prescritto dalla normativa nazionale.
Nel 2006, la società trasferiva, poi, la propria sede in Italia e, inoltre, era incorporata da un’altra società mediante fusione. In seguito alla fusione, la società incorporante, in qualità di successore, chiedeva di beneficiare, per il periodo in cui la società incorporata era stata contribuente in Lussemburgo, della riduzione dell’imposta dovuta dalla società in questione per gli anni 2005 e 2006.

La normativa nazionale
La legge 16 ottobre 1934, relativa all’imposta sul patrimonio, prevede la possibilità per gli enti societari di beneficiare di una riduzione dell’imposta, destinando parte dell’utile a una riserva che deve essere mantenuta per i cinque anni di imposta successivi. L’utilizzo di tale riserva, prima dei cinque anni previsti dalla normativa, per fini diversi dall’incorporazione al capitale, determina un aumento dell’imposta per il contribuente. In caso di fusione o incorporazione, poi, la società incorporante o una qualsiasi altra società appartenente al gruppo, può mantenere iscritta la riserva della società estinta per ottemperare al prescritto periodo di detenzione quinquennale.

La posizione del Fisco lussemburghese
L’Amministrazione fiscale negava tale facoltà ed emetteva un avviso di imposizione per ciascuno degli anni interessati in quanto, secondo l’Amministrazione, la società beneficiaria della riduzione aveva distribuito anticipatamente la riserva tramite destinazione dell’utile dell’esercizio per l’anno 2004.

Il ricorso della società
La società presentava reclamo contro i due avvisi di imposizione in ordine ai quali l’Amministrazione finanziaria lussemburghese, non si pronunciava; la società presentava, quindi, ricorso dinanzi al Tribunal Administratif per ottenere una modifica o un annullamento degli avvisi di imposizione. In particolare, la società segnalava al Tribunal Administratif la costituzione di una riserva speciale per l’imposta sul patrimonio corrispondente a cinque volte l’importo dovuto per gli anni 2004, 2005 e 2006. Riserva mantenuta anche a seguito del trasferimento della propria sede e della fusione.

Il rinvio ai giudici comunitari
Dinanzi al giudice del rinvio, il Fisco nazionale affermava che il mancato riconoscimento della riduzione d’imposta era dovuto, non tanto all’utilizzo della riserva, quanto piuttosto alla circostanza che la società non fosse soggetta all’imposta sul patrimonio durante i cinque anni successivi al riconoscimento del beneficio. Quest’ultimo, infatti, secondo l’Amministrazione, è subordinato non soltanto al mantenimento di una riserva in bilancio per i cinque anni d’imposta successivi ma anche al fatto che la società sia soggetta all’imposta per questo periodo.
In merito, la società obiettava il contrasto di questa interpretazione con il diritto dell’Unione in materia di libertà di stabilimento.
Il Tribunal Administratif decideva, quindi, di sospendere il procedimento e di sottoporre la questione alla Corte di giustizia dell'Unione europea.

La decisione della Corte
Per i giudici comunitari una normativa che prevede la revoca di un  beneficio a seguito del trasferimento operato dalla società in un altro Stato membro e che, di contro, non interviene in caso di mantenimento della sede sociale nel territorio nazionale, di fatto determina un trattamento sfavorevole per la società che decide per il cambiamento di sede e ciò può comportare una limitazione alla libertà di stabilimento.
I giudici, sottolineano, poi, che tali limitazioni sono ammesse soltanto qualora vi siano dei motivi imperativi di interesse generale e prescrivono che le restrizioni siano tali da poter perseguire lo scopo prefissato senza eccedere quanto necessario per raggiungerlo.
Occorre, quindi, individuare se è possibile nel caso di specie rinvenire motivi imperativi di interesse generale. Tra questi motivi rientrano il perseguimento di una equilibrata ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri o il  perseguimento della coerenza del regime fiscale nazionale.
Nel caso di specie, tuttavia, la Corte esclude entrambe le ipotesi. Nel primo caso, infatti, la natura stessa del meccanismo della revoca fa presupporre che lo Stato membro abbia già accettato di concedere un vantaggio e di ridurre quindi l’imposta sul patrimonio dei contribuenti residenti nel caso in cui si verifichino le condizioni richieste dalla normativa nazionale.  Allo stesso modo, per la seconda ipotesi, non è rinvenibile il nesso diretto tra vantaggio fiscale e compensazione di tale vantaggio tramite un prelievo fiscale determinato, circostanza richiesta per ammettere tale giustificazione.
Secondo la Corte di giustizia è in contrasto con l’articolo 49 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) la normativa di uno Stato membro che subordina la concessione di una riduzione dell’imposta sul patrimonio alla condizione che l’interessato rimanga assoggettato al tributo per i cinque anni successivi.


Procedimento C-380/11


Fonte: Agenzia Entrate

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