Con la sentenza del 27 febbraio 2014, resa nel procedimento C-82/12, la Corte di giustizia ha chiarito che l’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 92/12/Cee del Consiglio, del 25 febbraio 1992 (regime generale, detenzione, circolazione e controlli dei prodotti soggetti ad accisa), deve essere interpretato nel senso che l’istituzione di un’imposta sulle vendite al dettaglio di oli minerali, come quella sulle cessioni di determinati idrocarburi (Impuesto sobre las ventas minoristas de determinados hidrocarburos – Ivmdh) osta a una normativa nazionale, qualora tale imposta non persegua la sua finalità specifica e cioè non miri, di per sé, a garantire la tutela della salute e dell’ambiente, finanziando l’esercizio da parte delle collettività territoriali competenti, appunto, in materia di salute e di ambiente.

In particolare, la domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione del richiamato articolo 3, il quale riconosce, agli Stati membri, la facoltà di introdurre o mantenere imposizioni indirette su prodotti già soggetti a norme armonizzate in materia di accise (oli minerali, alcol e bevande alcoliche e tabacchi lavorati), a condizione che l’imposta abbia una finalità specifica e che rispetti le regole di imposizione applicabili ai fini delle accise o dell’Iva sulla determinazione della base imponibile, il calcolo, l’esigibilità e il controllo dell’imposta.

Causa principale e questione pregiudiziale
Nella controversia in esame, un’impresa di trasporto merci spagnola dopo aver versato l’Ivmdh presentava una domanda di rimborso dell’imposta versata, ritenendo che la disciplina fosse in contrasto con l’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 92/12, nella misura in cui la stessa perseguirebbe finalità di bilancio e non rispetterebbe l’economia generale della disciplina dell’Unione in materia di Iva o di accise sotto il profilo dell’esigibilità.

L’Amministrazione finanziaria in merito respingeva la domanda di rimborso; il contribuente proponeva ricorso e il Tribunal económico‑administrativo regional de Cataluña (organo amministrativo paragiurisdizionale in ambito fiscale della Comunità autonoma di Catalogna) respingeva il reclamo. Il contribuente si rivolgeva, quindi, al Tribunal superior de justicia de Cataluña (Alta Corte di giustizia della Catalogna).

In merito il giudice di rinvio, ravvisando dubbi circa la finalità specifica dell’imposta e constatando che le disposizioni impositive dell’Ivmdh non rispettavano né le regole delle accise – l’imposta è esigibile all’atto della vendita al dettaglio nei confronti del consumatore finale – né le regole dell’Iva – non è percepita in ogni fase del processo di produzione e distribuzione – decideva di sospendere il giudizio e di sottoporre la questione alla Corte.

La normativa nazionale
La legge spagnola n. 24/2001 ha istituito l’Ivmdh, un’imposta indiretta che grava sul consumo di determinati oli minerali (benzine, gasolio, olio combustibile e cherosene non utilizzato come combustibile per riscaldamento). Tale imposta è assolta singolarmente sulle vendite al dettaglio e gli importi da essa derivanti sono destinati al finanziamento di spese sanitarie e, per la parte di risorse provenienti dalle aliquote d’imposta delle Comunità autonome, possono essere destinate al finanziamento di interventi nel settore dell’ambiente.

L’Ivmdh diviene esigibile al momento della messa a disposizione dei prodotti nei confronti degli acquirenti o all’atto del loro autoconsumo, purché sia stato appurato il regime di sospensione (articolo 4, paragrafo 20, della legge 38/1992), relativa alle accise. In caso di importazioni, invece, l’imposta è esigibile allorché i prodotti sono messi a disposizione degli importatori, purché l’importazione finalizzata al consumo e il regime di sospensione siano stati appurati.
La base dell’imposta è costituita, infine, dal volume dei prodotti soggetti a tassazione, mentre l’aliquota è data dalla somma dell’aliquota statale e di quella della Comunità autonoma corrispondente.

Decisione della Corte
Preliminarmente, i giudici comunitari ricordano che, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 92/12, gli oli minerali possono essere oggetto di un’imposizione indiretta, diversa da quella stabilita dalla stessa direttiva, purché siano rispettate due condizioni:
il perseguimento di una finalità specifica
il rispetto delle regole d’imposizione applicabili ai fini delle accise o dell’Iva per la determinazione della base imponibile, il calcolo, l’esigibilità e il controllo dell’imposta.

La ratio della disciplina è quella di evitare imposizioni supplementari che ostacolino gli scambi.
Occorre, quindi, verificare il rispetto di tali condizioni nell’ambito della disciplina dell’imposta in argomento.

Per quanto riguarda la prima condizione, i giudici comunitari chiariscono che non si realizza in presenza di una finalità puramente di bilancio. Nel caso concreto, infatti, il rafforzamento delle autonomie locali di una collettività territoriale, realizzato tramite il riconoscimento del potere di prelievo fiscale, costituisce un obiettivo puramente di bilancio che, di per sé, non soddisfa il requisito della finalità specifica.
Tale scopo, invece, si realizza nel caso in cui il gettito dell’imposta viene obbligatoriamente utilizzato per ridurre i costi sociali e ambientali specificatamente connessi al consumo degli oli minerali su cui grava l’imposta stessa, creando in tal modo un nesso diretto tra l’uso del gettito e la finalità dell’imposta.

L’Ivmdh spagnola, invece, è destinata alla copertura di spese sanitarie in generale e non a quelle specificatamente connesse all’uso degli oli minerali; ne consegue che la struttura dell’imposta non è costruita in modo da disincentivare l’utilizzo di oli minerali e incoraggiare quello di prodotti meno nocivi per l’ambiente.

Per le ragioni ora espresse, quindi, la Corte ritiene che l’imposta non rispetta la prima condizione richiesta dalla disposizione comunitaria e, quindi, può essere ritenuta non conforme alla stessa, senza necessità di esaminare il rispetto del secondo requisito.

In ultima analisi, infine, la Corte ha stabilito che, nel caso concreto, non possa applicarsi la limitazione degli effetti nel tempo della sentenza, così come richiesto dal governo spagnolo, limitazione riconosciuta soltanto in ipotesi eccezionali e in presenza di due requisiti essenziali (buona fede degli ambienti interessati e rischio di gravi inconvenienti riscontrabili in gravi ripercussioni economiche).
Si ricorda, in proposito, che l’interpretazione di una norma di diritto dell’Unione chiarisce e precisa il significato e la portata della norma stessa e, quindi, come deve o avrebbe dovuto essere interpretata la disposizione sin dal momento della sua entrata in vigore.
Ne discende che la disposizione, così interpretata, deve essere applicata a tutti i rapporti giuridici anche quelli sorti e costituiti prima della sentenza di interpretazione, purché sussistano i presupposti per sottoporre al giudice competente una lite relativa all’applicazione della norma stessa. Solo eccezionalmente, infine, la Corte può limitare gli effetti nel tempo della sentenza, per evitare di rimettere in discussione rapporti giuridici costituiti in buona fede, limitazione che la Corte ha ritenuto non applicare nel caso esaminato.

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