La pronuncia pregiudiziale è stata resa dai giudici sovranazionali nell’ambito di una controversia insorta tra una società danese che gestisce servizi per diversi fondi pensione e l’Amministrazione fiscale nazionale.

I protagonisti della controversia
Il maggior cliente della società è un fondo pensione professionale danese che gestisce regimi pensionistici in base ad accordi collettivi e aziendali. In merito è utile ricordare che  i regimi pensionistici professionali costituiscono un elemento essenziale del sistema pensionistico danese, che si fonda su tre pilastri: un regime pensionistico pubblico finanziato tramite le imposte, un regime pensionistico professionale e piani pensionistici individuali.  La società danese parte in causa fornisce tre tipi di servizi ai fondi pensione, pur non essendo direttamente coinvolta nell’investimento dei contributi, che è svolto dagli stessi fondi pensione.
In primo luogo, fornisce servizi relativi alla manutenzione e allo sviluppo del sistema, e cioè lo sviluppo e la manutenzione della piattaforma su cui sono forniti i servizi della società stessa. In secondo luogo, svolge compiti amministrativi, come ad esempio fornire informazioni consulenza e assistenza ai datori di lavoro e ai lavoratori in relazione ai regimi pensionistici. In terzo luogo, fornisce servizi relativi ai versamenti nei regimi pensionistici e ai pagamenti effettuati da questi ultimi. In particolare, la società apre conti individuali  per i singoli affiliati sulla base delle informazioni che riceve dal datore di lavoro, distribuendo su tali conti la somma globale versata dal datore di lavoro in conformità con le disposizioni dell’accordo collettivo o dell’accordo aziendale.
Fino al 30 giugno 2002, la società ha fatturato l’Iva sui propri servizi. In seguito, anche in considerazione di alcune sentenze maturate in ambito comunitario, ha mutato avviso e ha sostenuto che i propri servizi relativi ai versamenti nei regimi pensionistici e ai pagamenti effettuati da questi ultimi dovrebbero essere esenti da Iva, secondo l’articolo 13, parte B, lettera d), punto 3, della sesta direttiva.

La posizione dell’Amministrazione fiscale
Di tale mutamento, la società ne ha dato comunicazione all’Amministrazione fiscale danese per la quale i servizi della società relativi alle somme pagate per le pensioni fossero effettivamente esenti da Iva, ma ha negato l’applicazione dell’esenzione alla maggior parte dei servizi relativi ai versamenti in entrata, e precisamente alla registrazione dei datori di lavoro tenuti al versamento dei contributi pensionistici, all’apertura dei conti individuali, alla fornitura di prestazioni per la gestione dei versamenti da parte dei datori di lavoro, alla ricezione e alla registrazione di rapporti da parte dei datori di lavoro sulla ripartizione dell’importo totale tra i singoli lavoratori, all’accreditamento dei contributi sui conti individuali e all’aggiornamento di tali conti, alla registrazione dei versamenti mancanti, all’informazione ai beneficiari dei fondi pensione sui contributi versati e all’invio degli estratti conto.

Il ricorso al giudice nazionale
La società ha fatto ricorso dinanzi al giudice competente contro la determinazione del fisco danese, sostenendo che i servizi che sono stati ritenuti soggetti all’Iva ne sono invece esenti in quanto costituiscono «la gestione di fondi comuni d’investimento» di cui all’articolo 13, paragrafo 1, punto 11, lettera f), della legge danese sull’Iva, che recepisce l’articolo 13, parte B, lettera d), punto 6, della sesta direttiva,  ed in quanto «operazioni  relative ai depositi di fondi, ai conti correnti, ai pagamenti, ai giroconti» ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, punto 11, lettera c), sempre della legge nazionale sull’Iva, che recepisce l’articolo 13, parte B, lettera d), punto 3, della sesta direttiva.

Il contesto normativo
Per quanto concerne  il diritto dell’Unione, ai sensi dell’articolo 2 della sesta direttiva Iva, le prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso all’interno del Paese da un soggetto passivo che agisce in quanto tale sono soggette all’Iva. L’articolo 13 della sesta direttiva (considerata la data dei fatti della presente causa si applica la sesta direttiva. Si ricorda, comunque, che le disposizioni citate sono state riprodotte, senza variazioni di rilievo, nell’articolo 2, paragrafo 1, lettera c), e nell’articolo 135, paragrafo 1, lettere d) e g), della direttiva 2006/112/CE) prevede alcune esenzioni dall’Iva. Due di esse, in particolare quelle previste dall’articolo 13, parte B, lettera d), punti 3 e 6, riguardano proprio le operazioni, compresa la negoziazione, relative ai depositi di fondi, ai conti correnti, ai pagamenti, ai giroconti, ai crediti, agli assegni e ad altri effetti commerciali, e la gestione di fondi comuni d’investimento, quali sono definiti dagli Stati membri. Per quanto riguarda il diritto interno, invece,  le citate disposizioni del diritto comunitario sono trasposte dall’articolo 13, paragrafo 1, punto 11, lettere c) e f), della legge danese sull’Iva secondo cui le operazioni, compresa la negoziazione, relative ai depositi di fondi, ai conti correnti, ai pagamenti, ai giroconti, ai crediti, agli assegni e ad altri effetti commerciali (ad eccezione del ricupero dei crediti) nonché la a gestione di fondi comuni d’investimento sono esenti dall’imposta.

Il rinvio alla Corte Ue
Il giudice danese, dopo aver sentito e valutato sia la tesi della società che quella dell’Amministrazione fiscale, ha deciso di sospendere il giudizio per chiedere alla Corte una pronuncia pregiudiziale su diverse questioni. In primis, i magistrati scandinavi domandano ai colleghi sovranazionali se l’articolo 13, parte B, lettera d), punto 6, della sesta direttiva debba essere interpretato nel senso che la nozione di “fondi comuni d’investimento quali sono definiti dagli Stati membri” comprende anche le Casse pensioni come è certamente definibile la società danese oggetto della causa e se la nozione di «gestione» comprende un servizio come quello di cui trattasi nel procedimento principale, fornito dalla società. In secondo luogo i giudici del rinvio domandano ai giudici di Lussemburgo se un servizio concernente versamenti pensionistici  debba essere considerato, con riferimento all’articolo 13, parte B, lettera d), punto 3, della sesta direttiva, come un servizio unico o come una serie di servizi specifici, da valutarsi separatamente e se la medesima previsione debba essere interpretata nel senso che l’esenzione dall’Iva, stabilita nella disposizione per operazioni relative ai pagamenti o ai giroconti, comprende un siffatto servizio. Infine, in ipotesi di soluzione negativa della questione da ultimo citata, i magistrati danesi chiedono se l’articolo 13, parte B, lettera d), punto 3, della sesta direttiva, debba essere interpretato nel senso che l’esenzione dall’Iva, stabilita nella disposizione per operazioni relative ai depositi di conti o ai conti correnti, comprende un servizio come quello di cui trattasi nel procedimento principale riguardante versamenti pensionistici.

La decisione della Corte
Chiamati a pronunciarsi nel merito delle questioni, i giudici hanno innanzitutto sottolineato che, secondo una giurisprudenza costante, sebbene le esenzioni previste all’articolo 13, parte B, lettera d), punto 6, della sesta direttiva costituiscano nozioni autonome di diritto dell’Unione e devono pertanto ricevere una definizione comune che miri a evitare divergenze nell’applicazione del regime Iva da uno Stato membro all’altro, ciò non vale, tuttavia quando il legislatore ha affidato loro il compito di definire taluni termini di un’esenzione. Ebbene, l’articolo 13, parte B, lettera d), punto 6, della sesta direttiva conferisce agli Stati membri il potere di definire la nozione di fondi comuni d’investimento. Tale potere definitorio riconosciuto agli Stati membri trova tuttavia il proprio limite nel divieto di violare i termini stessi dell’esenzione utilizzati dal legislatore comunitario non potendo, senza negare i termini stessi di “fondi comuni d’investimento”, selezionare quali tra i fondi comuni di investimento beneficino dell’esenzione e quali no.  Per il merito della controversia risulta necessario determinare, ai fini dell’applicazione della sesta direttiva, se i fondi pensione, come quelli di cui al procedimento principale, costituiscono dei “fondi comuni d’investimento”, ai sensi dell’articolo 13, parte B, lettera d), punto 6, di tale direttiva. A tale riguardo si deve ricordare che i fondi che costituiscono organismi d’investimento collettivo in valori mobiliari ai sensi della direttiva 85/611 costituiscono fondi comuni d’investimento.  Inoltre, vanno altresì considerati fondi comuni d’investimento i fondi che, pur non costituendo organismi d’investimento collettivo ai sensi della direttiva 85/611, presentano caratteristiche identiche a questi ultimi ed effettuano quindi le stesse operazioni o, quanto meno, presentano tratti comparabili a tal punto da porsi in rapporto di concorrenza con essi.

La prima questione pregiudiziale
Orbene, poiché i fondi pensione professionali, come quelli di cui al procedimento principale, non rientrano nella direttiva 85/611 è importante verificare se tali fondi siano comparabili con gli organismi rientranti nella citata direttiva e se si trovino in rapporto di concorrenza con essi. La caratteristica principale di un fondo comune d’investimento è la messa in comune dei patrimoni di numerosi beneficiari, che consente la ripartizione del rischio sopportato da costoro su un insieme di titoli. Secondo le indicazioni del giudice nazionale, questa sembra anche essere l’ipotesi che ricorre nel procedimento principale, poiché il secondo e il terzo pilastro del sistema previdenziale danese sono finanziati dai beneficiari delle pensioni versate. Le modalità secondo le quali viene pagato agli affiliati il corrispettivo del risparmio dopo il raggiungimento dell’età pensionabile, sotto forma di capitale o di rendita, non rimettono, poi, più in discussione gli elementi essenziali del risparmio investito nei fondi pensione. Si tratta, infatti, di una semplice differenza nei metodi di calcolo finanziario di tale corrispettivo. Il fatto che i contributi finanziari siano deducibili dal reddito imponibile a titolo di imposta sul reddito non può avere un’incidenza sul carattere esente o meno, con riguardo all’Iva, delle attività dei fondi pensione. Infatti una regolamentazione nazionale in materia di imposte sul reddito non può rimettere in causa il carattere uniforme delle esenzioni previste dalle regole comunitarie in materia di Iva. Per tutto quanto ora esaminato, la Corte ha chiarito che l’articolo 13, parte B, lettera d), punto 6, della sesta direttiva deve essere interpretato nel senso che possono rientrare in tale disposizione i fondi pensione, come quelli di cui al procedimento principale, allorché finanziati dai beneficiari delle pensioni versate, che il risparmio sia investito secondo il principio della ripartizione dei rischi e che il rischio degli investimenti ricada sugli affiliati. È irrilevante a tal riguardo, hanno puntualizzato i giudici europei, che i contributi siano versati dal datore di lavoro, che i loro importi risultino da contratti collettivi tra le organizzazioni dei datori di lavoro e i sindacati, che le modalità finanziarie di restituzione del risparmio siano diversificate, che i contributi siano deducibili sulla base delle regole applicabili alle imposte sul reddito o che sia possibile aggiungere un elemento assicurativo accessorio.

La seconda questione pregiudiziale
Sulla seconda questione, relativa alla nozione di “gestione di fondi comuni di investimento”, il giudice danese chiede se l’articolo 13, parte B, lettera d), punto 6, della sesta direttiva Iva debba essere interpretato nel senso che la nozione comprende una prestazione di servizi come quella indicata nel procedimento principale. Secondo gli eurogiudici dal momento che l’articolo 13, parte B, lettera d), punto 6, della sesta direttiva non contiene alcuna definizione della nozione di “gestione di fondi comuni di investimento”, tale disposizione deve essere interpretata alla luce del contesto in cui si inserisce, della finalità e della struttura di tale direttiva, tenendo conto particolarmente della ratio legis dell’esenzione che la stessa prevede. In merito, l’obiettivo dell’esenzione delle operazioni correlate alla gestione di fondi comuni d’investimento è, segnatamente, quello di agevolare l’investimento in titoli tramite organismi d’investimento, mentre dal principio di neutralità fiscale discende che gli operatori devono poter scegliere il modello organizzativo che, da un punto di vista strettamente economico, appaia loro più confacente, senza incorrere nel rischio che le loro operazioni vengano escluse dall’esenzione prevista all’articolo 13, parte B, lettera d), punto 6, della sesta direttiva. E oltre alle funzioni di gestione di investimenti, costituiscono funzioni specifiche degli organismi d’investimento collettivo quelle di amministrazione degli stessi organismi d’investimento collettivo, come quelle indicate all’allegato II della direttiva 85/611. La Corte ha così statuito che rientrano nella nozione di “gestione” di un fondo comune d’investimento, ai sensi dell’articolo 13, parte B, lettera d), punto 6, della sesta direttiva, prestazioni quali il calcolo dell’importo degli utili e del prezzo delle quote o delle azioni del fondo, le valutazioni dei patrimoni, la contabilità, la preparazione di dichiarazioni per la distribuzione degli utili, il rilascio di informazioni e di documentazioni per i conti periodici e per le dichiarazioni fiscali, statistiche e Iva, nonché la preparazione delle previsioni di utili. In merito alle prestazioni in oggetto nel procedimento principale, la Corte ha chiarito che sembra a prima vista essenziale, per coloro che gestiscono i conti degli affiliati, elaborare le informazioni necessarie fornite dai datori di lavoro o determinare i contributi finanziari insufficienti, precisando che, tuttavia, è compito del giudice nazionale, che dispone dell’insieme degli elementi che gli consentono di analizzare ciascuna delle operazioni, valutare se tali servizi rientrano nella nozione di “gestione di fondi comuni d’investimento”, ai sensi dell’articolo 13, parte B, lettera d), punto 6 della sesta direttiva Iva.

Le conclusioni della Corte
La Corte ha quindi stabilito che l’articolo 13, parte B, lettera d), punto 6, della sesta direttiva deve essere interpretato nel senso che la nozione di “gestione di fondi comuni d’investimento” include le prestazioni di servizi tramite le quali un organismo concretizza i diritti degli affiliati ai fondi pensione tramite l’apertura di conti e l’accredito dei contributi versati per loro conto nel sistema dei regimi pensionistici. Tale nozione comprende, inoltre, i servizi di contabilità e di informazione relativi ai conti, come quelli ricompresi nell’allegato II della direttiva 85/611.


Fonte: Agenzia Entrate

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