La questione di fatto nasce dal ricorso presentato da un gruppo societario al quale appartengono società la cui attività principale è costituita dall’organizzazione di viaggi turistici. In particolare, l’assunto a fondamento delle richieste del soggetto passivo è che i viaggi organizzati al di fuori del territorio dell’Unione non debbano essere assoggettati ad imposta sul valore aggiunto. A tal proposito viene contestata una normativa nazionale che prima dell’emanazione della direttiva comunitaria di specie preveda l’assoggettamento ad Iva delle operazione connesse all’organizzazione di viaggi turistici extra territorio comunitario. Ecco che allora veniva presentata richiesta di rimborso dell’Iva assolta su tali operazioni. Dalla diatriba interpretativa che vedeva contrapporsi da una  parte le società ricorrenti e, dall’altra l’amministrazione finanziaria la quale affermava la legittimità della controversa normativa nazionale, il giudice nazionale decideva di sospendere il procedimento e di proporre le questioni pregiudiziali ai togati europei.

Le questioni pregiudiziali
Con le questioni  pregiudiziali i giudici europei sono chiamati a stabilire se le disposizioni delle direttive sull’Iva, ostino o meno all’introduzione da parte dello Stato membro, in pendenza del termine di trasposizione della sesta direttiva Iva, alla modifica della legislazione vigente al fine di assoggettare ad Iva i viaggi effettuati fuori dall’Unione. E’ compatibile col diritto comunitario una normativa nazionale che esenta dall’Iva le prestazioni di servizi delle agenzie di viaggio in quanto assimilate ad attività di intermediazione? La possibilità, per i paesi membri, di assoggettare o meno ad imposizione i servizi relativi a viaggi extra unione costituisce violazione dei principi fondamentali dell’Unione europea? Viola il principio della neutralità fiscale lo Stato che concede l’esenzione esclusivamente per i viaggi e non anche per le attività di intermediazione?

Sulle questioni pregiudiziali
Il punto focale della questione è quella di stabilire se a partire dal primo dicembre 1977, data di entrata in vigore della sesta direttiva Iva, prima della quale le prestazione di servizi delle agenzie di viaggio erano esenti, tali prestazioni rientrassero, invece, tra le operazioni imponibili, in considerazione della cd. “clausola di standstill”, di cui all’articolo 28 paragrafo 3, sesta direttiva Iva. Dal combinato disposto degli articoli 18 e 15 della sesta direttiva comunitaria si evince come il legislatore dell’Unione abbia concesso la facoltà di derogare all’obbligo di esentare le prestazione di cui al procedimento principale. Ma come emerso anche da costante giurisprudenza, gli stessi Stati membri non possono adottare disposizioni che possano compromettere in maniera irreversibile il raggiungimento delle finalità prescritte dalle direttive stesse. Quanto alla direttiva di cui al procedimento principale, sottolineano i giudici europei, non si è in condizioni di poter affermare una siffatta grave deviazione dal raggiungimento degli scopi della direttiva stessa. Ne consegue come l’assoggettamento ad imposta sul valore aggiunto delle prestazioni di servizi legate alle operazioni di organizzazione viaggi è compatibile con la disciplina comunitaria seppur nella sua fase di trasposizione.

Il giudizio finale
La direttiva 77/388/CEE e la direttiva 2006/112/UE di cui rispettivamente agli articoli 28, paragrafo 3, e 370 non ostano ad una normativa nazionale che, in pendenza del termine di trasposizione della stessa direttiva 77/388, assoggetti ad imposta sul valore aggiunto i viaggi effettuati al di fuori del territorio comunitario a condizione che, come prescrive l’articolo 309, suddetti viaggi fossero gia assoggettati ad imposta al momento di attuazione della direttiva 77/388. Ecco che allora, aggiungono i giudici della ottava sezione della Corte, rispettate tali condizioni non si palesa alcuna violazione non solo delle richiamate direttive, ma anche dei principi quali uguaglianza, proporzionalità e neutralità fiscale.


Fonte: Agenzia Entrate

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