L’articolo 55 del Dpr 633/1972 attribuisce agli uffici il potere, in caso di mancata presentazione della dichiarazione annuale Iva, di determinare induttivamente l’ammontare imponibile e l’aliquota applicabile sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o di cui siano venuti a conoscenza e, tra questi, può essere senza dubbio annoverato il dato indicato dalla parte nella dichiarazione presentata ai fini delle imposte sui redditi in relazione alla medesima annualità.
È questo il principio desumibile dalla sentenza della Cassazione n. 1240 del 22 gennaio 2014, che ha ritenuto, di conseguenza, legittimo l’avviso di accertamento con cui l’ufficio ha recuperato l’Iva non dichiarata, applicando l’aliquota ordinaria al reddito esposto ai fini delle imposte dirette nel modello 760.

La vicenda processuale
La vicenda riguarda l’impugnazione di un avviso di accertamento per omessa dichiarazione Iva, con cui l’Agenzia delle Entrate ha induttivamente determinato il volume d’affari attingendo ai dati dichiarati dalla società nel modello 760 relativo al medesimo periodo d’imposta.

La Commissione tributaria provinciale, in accoglimento del ricorso di parte, ha annullato l’avviso di accertamento.
La decisione è stata confermata in secondo grado, laddove la Ctr ha rigettato l’appello dell’ufficio, ritenendo che quest’ultimo, fondando la ricostruzione dei redditi per gli anni accertati sull’equiparazione tra reddito imponibile ai fini delle imposte dirette e volume d’affari, avesse confuso “due ambiti normativi disciplinati in maniera autonoma e distinta”.

L’Agenzia ha quindi proposto ricorso per cassazione, denunciando, ai sensi dell’articolo 360, n. 3, del codice di procedura civile, violazione e falsa applicazione dell’articolo 55 del Dpr 633/1972. Tale disposizione, al comma 1, dispone che “se il contribuente non ha presentato la dichiarazione annuale l'ufficio dell'imposta sul valore aggiunto può procedere in ogni caso all'accertamento dell'imposta dovuta indipendentemente dalla previa ispezione della contabilità. In tal caso l'ammontare imponibile complessivo e l'aliquota applicabile sono determinati induttivamente sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a conoscenza dell'ufficio e sono computati in detrazione soltanto i versamenti eventualmente eseguiti dal contribuente e le imposte detraibili ai sensi dell'art. 19 risultanti dalle liquidazioni prescritte dagli artt. 27 e 33”.

La pronuncia della Cassazione
La Corte suprema ha ritenuto di accogliere la doglianza dell’ufficio, rifacendosi al proprio consolidato, e più volte espresso, orientamento (ex plurimis, Cassazione, ordinanza 5228/2012), secondo cui, nell’ipotesi di omessa presentazione della dichiarazione da parte del contribuente, le disposizioni tributarie abilitano gli uffici finanziari a servirsi di qualunque elemento probatorio ai fini dell’accertamento del reddito e del volume d’affari e, quindi, di ricorrere anche al metodo induttivo, utilizzando, se necessario, in deroga alla regola generale, presunzioni semplici prive dei requisiti di cui al terzo comma dell’articolo 38 del Dpr 600/1972.
A fronte della legittima prova presuntiva della consistenza dell’imponibile offerta dall’Agenzia delle Entrate, quindi, l’onere di dedurre e provare i fatti impeditivi, modificativi o estintivi della pretesa, incombe sul contribuente.

Osservazioni
Le presunzioni fiscali, anche semplici e “semplicissime”, si ricorda, sorreggono buona parte dell’attività accertativa dell’Amministrazione. Tale circostanza rappresenta semplicemente l’effetto di una normativa che ha consentito di ricostruire induttivamente la materia imponibile in presenza di determinati indici, primo fra tutti l’omessa presentazione della dichiarazione, in grado di rivelare nel contribuente un comportamento “infedele” o inteso a ostacolare l’azione investigativa e di controllo. Da un lato, quindi, la legittimazione al metodo induttivo costituisce una “sanzione impropria”, dall’altro, una necessità, conseguente alla riscontrata mancanza di elementi attendibili per procedere al controllo.

In definitiva, l’omessa presentazione della dichiarazione, sia perché rappresenta una grave irregolarità, sia perché, in mancanza di essa, non si dispone di un “sostrato rettificabile”, giustifica l’attribuzione all’Amministrazione finanziaria di poteri di controllo maggiori, potendo essa determinare l’imponibile e la relativa imposta sulla base di dati o notizie comunque raccolti o di cui sia venuta a conoscenza. Tra tali dati o notizie rientrano a pieno titolo i dati indicati dallo stesso contribuente ai fini della determinazione di altro tributo, purché idonei a rappresentare in maniera puntuale e attendibile la realtà contributiva del soggetto sottoposto a controllo.
In tal senso, la stessa Cassazione ha già avuto modo di affermare che “anche in difetto di una espressa previsione normativa deve ritenersi che i principi costituzionali di divieto di disparità di trattamento, legalità ed imparzialità amministrativa e imposizione fiscale in base alla capacità contributiva, stabiliti dagli artt. 3, 97 e 53 Cost., impongano all'Amministrazione finanziaria un vincolo a precedenti accertamenti sul valore degli stessi fatti economici effettuati ai fini dell'applicazione di altro tributo, quando le singole leggi d'imposta non stabiliscono differenti criteri di valutazione” (Cassazione, sentenza 4381/2011).


Fonte: Agenzia Entrate

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