La Corte di cassazione, con la sentenza 1439 del 22 gennaio, ha qualificato come legittimo l’accertamento induttivo emesso dall’Amministrazione finanziaria a carico di un professionista, il cui reddito si discostava dai parametri di settore, anche in presenza di un verbale redatto dalla Guardia di finanza con esito regolare.
L’espletamento di una verifica fiscale non sembra possa inibire all’Amministrazione finanziaria la ricerca e, dunque, l’acquisizione di altri elementi istruttori da porre a fondamento della pretesa erariale, anche in assenza di irregolarità.

Con la sentenza in esame, i giudici di legittimità hanno statuito, in relazione ai parametri di reddito, un principio di diritto estensibile anche agli studi di settore, vista la forte analogia che li contraddistingue sotto il profilo della presunta capacità reddituale.
Le differenze fondamentali, tuttavia, risiedono nel fatto che gli studi di settore prendono a base dati forniti da tutti i contribuenti e non solo quelli di un campione, peraltro significativo.
I parametri, inoltre, non tengono conto di variabili strumentali (non contabili) interne ed esterne all’attività d’impresa, quali l’area di vendita, le caratteristiche del ciclo produttivo e la localizzazione.
Elementi, questi ultimi, esplicitati negli studi di settore.

I coefficienti di reddito
L’articolo 12 del Dl 69/1989 consentiva agli uffici di basare sui coefficienti presuntivi la rideterminazione induttiva dell’ammontare dei ricavi o delle operazioni imponibili ai fini Iva, spostando l’onere della prova contraria sul contribuente che avesse dichiarato importi inferiori.
La dottrina appariva concorde nel qualificare i coefficienti di reddito come presunzioni semplici utilizzabili dall’ufficio, nel più ampio insieme dei poteri di accertamento.
Dal punto di vista procedimentale, l’accertamento in base ai coefficienti doveva essere preceduto da una richiesta di chiarimenti al contribuente, in modo da consentirgli di spiegare le ragioni per le quali il reddito dichiarato si discostava da quello risultante dall’applicazione dei coefficienti.

La legge 413/1991 ha soppresso i coefficienti di congruità e ha ridenominato “i coefficienti presuntivi di compensi e ricavi” in “coefficienti presuntivi di reddito” basandoli su una serie di parametri extracontabili relativi all’attività esercitata.
Le difficoltà di ricostruire il reddito, basandosi su elementi extracontabili, hanno portato alla loro abrogazione e alla scelta di utilizzare, a partire dall’esercizio d’imposta del 1998, un nuovo strumento di accertamento dato dagli studi di settore, previsti dall’articolo 62-bis del Dl 331/1993.

Iter giuridico
Nel caso concreto, il contribuente proponeva ricorso avverso un avviso di accertamento, ai fini Irpef, con il quale l’ufficio aveva rideterminato il reddito dichiarato perché inferiore a quello calcolato con l’applicazione dei coefficienti, ex Dpcm 22 dicembre 89.

La Ctr delle Marche, nel disattendere le doglianze avanzate dall’ufficio, rigettava l’appello, argomentando che i redditi dichiarati dal contribuente erano risultati veritieri a seguito della verifica condotta dalla Gdf e che lo stesso contribuente non poteva subire accertamenti sulla base di coefficienti presuntivi di reddito avendo optato per la contabilità ordinaria.
A parere dei giudici di secondo grado, infatti, l’attività di verifica della Guardia di finanza ha natura di controllo sostanziale, esaurendo il potere accertativo dell’ufficio.
Ne deriva che, in presenza di un processo verbale di costatazione chiuso con esito regolare, l’Amministrazione non ha i poteri per l’espletamento di un’attività di controllo ulteriore, anche se si tratta di accertare induttivamente il reddito avvalendosi di coefficienti presuntivi.

Di diverso avviso i giudici di legittimità, che accolgono in toto i motivi di ricorso proposti dall’ufficio.
La Cassazione spiega che la legislazione applicabile all’epoca dei fatti individuava, tra le modalità di accertamento di eventuali redditi non dichiarati, il metodo analitico, quello induttivo e infine il metodo analitico-induttivo, tutti enucleati nell’articolo 39, Dpr 600/1973.

In questo contesto si inseriva anche l’accertamento mediante coefficienti, disciplinato dall’articolo 12 del Dl 69/1989, nella versione ratione temporis.
La predetta disposizione consentiva agli uffici, indipendentemente dall’ambito di operatività dell’articolo 39, di procedere a una ricostruzione induttiva del volume d’affari nei casi in cui il reddito dichiarato, sulla base di coefficienti presuntivi, fosse da ritenere non congruo rispetto al volume d’affari correlato al tipo di attività svolta, nel caso di specie attività di geometra.

Nella sentenza, inoltre, si osserva come la verifica compiuta dalla Guardia di finanza non possa inibire il potere accertativo degli uffici “….potendosi eventualmente porre in discussione la sola legittimità dell’azione accertativa” espletata dalla Guardia di finanza.
Del resto, continuano i giudici di legittimità, “……. un accertamento mediante coefficienti presuntivi prescinde dalla verifica della regolarità delle scritture contabili, offrendo al contribuente di dimostrare, in caso di scostamento del reddito dichiarato dai detti coefficienti, la non applicabilità dei coefficienti rispetto all’attività esercitata”.

Conclusioni
L’assenza di irregolarità nella tenuta di scritture contabili non può sottrarre il contribuente a possibili controlli degli uffici, specie se viene riscontrata una forte incongruenza tra il reddito dichiarato e quello risultante dall’applicazione degli studi di settore o dei coefficienti presuntivi di reddito, come nel caso esaminato.
L’ufficio, infatti, è l’unico legittimato a compiere accertamenti tributari, potendo avvalersi di tutte le informazioni acquisite e di tutti gli strumenti istruttori all’uopo predisposti.

Si può, eventualmente, parlare di decadenza dal potere accertativo o, come dicono i giudici di merito, “di consumazione del potere” solo nei casi di decorrenza dei termini di legge.
I provvedimenti impositivi, infatti, devono essere notificati entro precisi termini di decadenza, pena la nullità insanabile dell’atto.


Fonte: Agenzia Entrate

0 commenti:

 
Top