Nel processo tributario è legittimo l’utilizzo delle dichiarazioni rese alla Guardia di finanza e delle intercettazioni telefoniche, nel rispetto dei principi di garanzia previsti dalla Costituzione (articolo 15). Spetta al giudice di merito, infatti, decidere sull’ammissibilità o meno delle informazioni raccolte.
È la conclusione della sentenza della Cassazione 2916/2013 del 7 febbraio.

Il caso trae origine dalla notifica di un avviso di accertamento compiuto dall’Amministrazione finanziaria nei confronti di una società in accomandita semplice e di un’altra persona fisica (in realtà unico gestore della società), finalizzato al recupero dell’Iva.
Contro l’atto impositivo degli uffici finanziari, i destinatari dell’accertamento si sono rivolti alla Commissione tributaria provinciale che ha accolto il ricorso. La sentenza, però, è stata completamente ribaltata dalla Ctr. I giudici di merito, infatti, hanno riconosciuto nella “persona fisica” il vero gestore materiale della società, ribadendo in toto quanto rilevato in sede di accertamento.

Le parti hanno, quindi, presentato ricorso in cassazione, articolando la motivazione dell’appello su due elementi: in primis che la motivazione della sentenza loro sfavorevole era contraddittoria e illogica, in secundis che i giudici di merito non avevano tenuto conto dei dettami dell’articolo 7, comma 4, del Dlgs 546/72, avendo accolto le “sommarie informazioni testimoniali ed intercettazioni telefoniche” all’interno del processo tributario che avrebbero causato l’alterazione del libero convincimento del giudice nella formulazione della decisione.

Il primo punto del ricorso non è stato accolto dalla Corte di cassazione perché ritenuto infondato, in quanto carente di “adeguata specificazione dei fatti controversi”.
Più in particolare, la recente giurisprudenza della Cassazione ha più volte chiarito che per far sì che il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione venga riconosciuto dalla Corte, “deve essere dedotto mediante esposizione chiara e sintetica del fatto controverso - in relazione al quale la motivazione assume omessa o contraddittoria - ovvero delle ragioni per le quali l'insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione, fornendo elementi in ordine al carattere decisivo di tali fatti, che non devono attenere a mere questioni o punti” (Cassazione 16655/2011).

Cassato radicalmente il primo punto della motivazione del ricorso, il Collegio ha spostato l’analisi sul secondo, riguardante la legittimità della sentenza formulata sulla base di sommarie di “informazioni testimoniali ed intercettazioni telefoniche, in violazione dell'articolo 7, comma 4 del d.legs 546/1992 e art. 246 c.p.c.”.
Se è vero che la citata norma non ammette il giuramento e la prova testimoniale in seno al processo tributario, nel caso di specie non sono state dedotte dai ricorrenti le prove testimoniali ma le intercettazioni telefoniche in quanto tali.
E’ la stessa Corte a ricordare che quando sono inserite nel processo verbale di constatazione le dichiarazioni di terzi raccolte dalla polizia tributaria le stesse non hanno natura di testimonianza ma di mere informazioni inserite nell’ambito delle indagini amministrative e che, dunque, non sono in contrasto con i succitati dettami di legge.

E’ bene ricordare, a questo punto, quanto chiarito in precedenza dalla Corte di cassazione, con la sentenza 4306/2010, in merito al divieto imposto dall’articolo 270 cpp di utilizzare i risultati di intercettazioni telefoniche in procedimenti diversi da quello in cui sono state disposte.
Ribadiscono in tal caso i giudici di legittimità che detto divieto non opera nel contenzioso tributario, ma soltanto in ambito penale, essendo, come noto, la norma penale tipica, a numerus clausus, non potendosi arbitrariamente estendere la propria efficacia, posta a garanzia dei diritti di difesa in quella sede, a dominii processuali diversi, come quello tributario, muniti di regole proprie.
La giurisprudenza ha ammesso come principio generale, per l’utilizzo delle informazioni raccolte dalla polizia tributaria all’interno del processo, quanto disposto dall’articolo 63 del Dpr 633/1972, in forza del quale la Guardia di finanza, previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria, trasmette i documenti o le notizie acquisite anche da altre Forze nell’esercizio dei poteri di polizia giudiziaria. Tutelando in tal caso la riservatezza delle indagini penali.

Nel caso di specie, i ricorrenti non hanno dubitato della legittimità delle intercettazioni telefoniche in ambito penale, svolte dall’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge, ma hanno sollevato qualche perplessità sull’estensione di tale mezzo nel processo tributario, il che trova invece legittimazione, come detto, dall’articolo 63 in forza del quale acquisisce “pieno titolo del materiale probatorio e indiziario che il giudice tributario di merito deve valutare”.
Osserva la Suprema corte che la ratio normativa del divieto stabilito dall’articolo 63 del Dpr 633/1972 sta nell’evitare “che procedimenti con imputazioni fantasiose possano legittimare il ricorso alle intercettazioni, al fine di propiziarne l'utilizzazione in procedimenti per reati che non avrebbero consentito questo mezzo d'indagine”.

In definitiva, la sentenza n. 2916 legittima l’utilizzo degli elementi desunti da dichiarazioni rese alla Guardia di finanza e dalle intercettazioni telefoniche, raccolti secondo i principi di garanzia riconosciuti dall’articolo 15 della Costituzione, la cui valutazione, in seno al processo tributario, spetta alla discrezionalità di apprezzamento dei fatti e degli elementi di prova, attribuita al giudice di merito.


Fonte: Agenzia Entrate

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