Con la sentenza 12 dicembre 2013, causa n. C-116/12, la Corte di Giustizia si è pronunciata in merito alla corretta interpretazione della normativa doganale comunitaria in materia di valore in dogana, nell’ambito di una controversia relativa a operazioni di esportazione di merci in un paese terzo per la loro lavorazione e successiva riesportazione del relativo prodotto finale nel territorio dell’Unione europea.

La controversia si riferisce, in particolare, a operazioni di esportazione definitiva (dalla Grecia) di zucchero e di succo d’arancia concentrato, destinati a un paese (al tempo dei fatti di causa) extracomunitario (la Bulgaria), nel quale il soggetto importatore svincolava i due prodotti mediante una dichiarazione di ammissione temporanea e li sottoponeva al regime doganale del perfezionamento attivo, per riesportarli senza versamento di dazi doganali; dopo aver semplicemente mescolato zucchero e succo d’arancia e averli diluiti con l’acqua, il preparato finale veniva riesportato in Grecia, dichiarando come paese d’origine la Bulgaria.

Al riguardo, i giudici comunitari hanno, in primo luogo, verificato se l’articolo 29 del codice doganale comunitario, istituito dal Regolamento (Cee) n. 2913/92, del 12 ottobre 1992, sia applicabile solamente a contratti di vendita o se anche contratti di lavorazione o di trasformazione possano rientrare nell’ambito di applicazione di tale articolo; in secondo luogo, hanno esaminato se, e in quale misura, la determinazione dell’origine delle merci, conformemente all’articolo 24 del predetto codice, intervenga nell’ambito della valutazione del valore in dogana.

Sotto il primo profilo, è utile ricordare che, in virtù dell’articolo 29, il valore in dogana delle merci importate è il valore di transazione, ossia il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci quando siano vendute per l’esportazione a destinazione del territorio doganale dell’Unione, fatte salve eventuali rettifiche da effettuare conformemente agli articoli 32 e 33 del medesimo codice doganale.
Secondo la Corte, dalla priorità attribuita dall’articolo 29 del codice doganale al valore di transazione, ai fini della valutazione in dogana, deve desumersi che tale metodo di determinazione del valore in dogana è da ritenersi il più adatto e il più frequentemente utilizzato.
Al fine di rispettare tale priorità, la nozione di “vendita” di cui al par. 1 dell’articolo 29 deve essere, quindi, interpretata in modo ampio: ne consegue che non rileva se il rapporto contrattuale tra il compratore e il venditore debba essere qualificato come contratto di vendita o se, invece, rientri in un mero contratto di lavorazione o di perfezionamento delle merci importate.

Sulla base di tali premesse, la Corte di giustizia ha concluso che l’articolo 29 del codice doganale deve essere interpretato nel senso che è applicabile alla determinazione del valore in dogana di merci importate sulla base di un contratto che, sebbene qualificato come contratto di vendita, si rivela essere, in realtà, un contratto di lavorazione o di trasformazione.

Per quanto concerne, infine, la determinazione dell’origine delle merci, i giudici comunitari – nel ricordare che, ai sensi dell’articolo 24 del codice doganale, una merce alla cui produzione hanno contribuito due o più paesi è originaria del paese in cui è avvenuta l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale, economicamente giustificata, effettuata in un’impresa attrezzata a tale scopo e che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo o che abbia rappresentato una fase importante della fabbricazione – hanno affermato che, nell’ambito della determinazione del valore in dogana di merci importate sulla base di un contratto di lavorazione o di trasformazione, non rileva sapere se le operazioni di lavorazione o di trasformazione soddisfino i requisiti fissati dall’articolo 24 al fine di considerare tali merci come originarie del paese in cui tali operazioni sono avvenute.


Fonte: Agenzia Entrate

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