E’ configurabile la responsabilità penale del titolare dell’autorizzazione allo svolgimento delle operazioni di recupero dei rifiuti prodotti da terzi nel caso di inosservanza delle relative prescrizioni (art. 256, comma quarto, D.Lgs. n. 152 del 2006), pur se l’attività di recupero sia gestita direttamente dal terzo.
Interessante sentenza della Corte di Cassazione sul tema delle attività di recupero dei rifiuti e dell’individuazione del soggetto responsabile in caso di violazione delle prescrizioni autorizzative. La Corte, soffermandosi su una particolare fattispecie concreta, ha affermato che colui che risulta titolare dell’autorizzazione è responsabilmente penalmente in caso di violazione delle prescrizioni autorizzative, quand’anche la gestione dell’attività sia concretamente svolta da un terzo.

Il fatto

La vicenda processuale è assai semplice. A seguito di rinvio a giudizio davanti al Tribunale, il legale rappresentante di una società di costruzioni, titolare di un’autorizzazione allo svolgimento delle operazioni di recupero rifiuti, mediante frantoi mobili, rilasciata dall’Amministrazione provinciale territorialmente competente, veniva assolta dalla violazione dell’art. 256, comma quarto, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152.

In particolare, l’attività di recupero dei rifiuti era stata effettuata presso un cantiere edile di altra ditta, e, nel corso di un accertamento da parte degli organi di vigilanza, veniva riscontrata, da un lato, la violazione dell’obbligo di comunicazione alla provincia competente del sito prescelto per lo svolgimento delle operazioni di recupero e, dall’altro, la violazione delle previsioni concernenti il c.d. test di cessione, da eseguirsi nelle forme previste dall’allegato al D.M. 5 febbraio 1998.

Il giudice di merito motivava l’assoluzione sulla circostanza che, di fatto, l’attività di gestione di recupero dei rifiuti speciali, costituiti da residui di demolizioni edili, era gestita direttamente dalla ditta titolare del cantiere; la società titolare dell’autorizzazione, infatti, si era limitata solo a fornire a noleggio il macchinario (costituito da un frantoio mobile necessario per la frantumazione dei rifiuti edili) insieme all’operatore del macchinario medesimo; quest’ultimo, peraltro, come emerso nel processo, aveva svolto l’attività seguendo esclusivamente le direttive della ditta titolare del cantiere.

Il ricorso

Il P.M. proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza assolutoria ritenendo configurabile un’ipotesi di violazione di legge, sostenendo, in sostanza, che l’esatta interpretazione dell’art. 256, comma quarto, T.U.A. avrebbe dovuto condurre all’affermazione della responsabilità penale dell’imputata.

Ciò che rilevava, infatti, non era la gestione “di fatto” dell’attività di recupero, quanto, piuttosto, la titolarità dell’autorizzazione allo svolgimento delle relative operazioni, spettante alla società di cui legale rappresentante era l’imputato beneficiario della decisione assolutoria.

La decisione della Cassazione

La Corte ha accolto la prospettazione del pubblico ministero pervenendo all’annullamento della sentenza assolutoria con rinvio al primo giudice per la corretta applicazione del principio di diritto.

Prima di esaminare il percorso motivazionale è utile una seppure breve precisazione per meglio inquadrare la fattispecie in esame, soprattutto alla luce delle modifiche introdotte alla Parte IV del T.U.A. dal recente D.Lgs. n. 205 del 2010.

Secondo i nuovi criteri di priorità nella gestione dei rifiuti previsti dall’art. 179 T.U.A., anzitutto, la gestione dei rifiuti deve avvenire nel rispetto di una particolare gerarchia:

a) prevenzione;

b) preparazione per il riutilizzo;

c) riciclaggio;

d) recupero di altro tipo, per esempio il recupero di energia;

e) smaltimento.

Le operazioni di recupero, quindi, sono oggi classificate al penultimo posto tra i criteri di priorità, anche il comma sesto dell’art. 179 prevede espressamente che “Nel rispetto della gerarchia del trattamento dei rifiuti le misure dirette al recupero dei rifiuti mediante la preparazione per il riutilizzo, il riciclaggio o ogni altra operazione di recupero di materia sono adottate con priorità rispetto all'uso dei rifiuti come fonte di energia”.

Il “recupero” è, poi, definito dalla novellata lett. t) dell’art. 183, comma primo, T.U.A. come “qualsiasi operazione il cui principale risultato sia di permettere ai rifiuti di svolgere un ruolo utile, sostituendo altri materiali che sarebbero stati altrimenti utilizzati per assolvere una particolare funzione o di prepararli ad assolvere tale funzione, all'interno dell'impianto o nell'economia in generale”; l'allegato C della parte IV del T.U.A. riporta, poi, un elenco non esaustivo di operazioni di recupero.

Lo svolgimento di un’operazione di recupero, poi, è oggi importante anche ai fini della cessazione della qualifica di rifiuto (184-ter, T.U.A.), in quanto “un rifiuto cessa di essere tale, quando è stato sottoposto a un’operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, e soddisfi i criteri specifici”, da adottare nel rispetto delle condizioni indicate dal comma primo della norma citata. In particolare, la nuova previsione stabilisce oggi (comma secondo) che l’operazione di recupero “può consistere semplicemente nel controllare i rifiuti per verificare se soddisfano i criteri elaborati conformemente alle predette condizioni”.

Per quanto concerne, poi, il regime giuridico applicabile alle operazioni di recupero dei rifiuti, il D.Lgs. n. 205 del 2010 non ha innovato particolarmente rispetto alla disciplina previgente.

Tali attività, infatti, possono essere svolte secondo la procedura semplificata prevista dall’art. 216 T.U.A. che, in particolare, assoggetta al regime della “comunicazione di inizio attività” l'esercizio delle operazioni di recupero dei rifiuti, decorsi novanta giorni da tale comunicazione alla provincia territorialmente competente.

Devono, però, essere rispettate le norme tecniche e le prescrizioni specifiche di cui all'art. 214, commi 1, 2 e 3. A tal proposito, il comma terzo dell’art. 214 T.U.A. stabilisce che le norme, le condizioni e le procedure semplificate devono garantire che i tipi o le quantità di rifiuti ed i procedimenti e metodi di smaltimento o di recupero siano tali da non costituire un pericolo per la salute dell'uomo e da non recare pregiudizio all'ambiente.

La legge, peraltro, affida ad appositi decreti del Ministro dell'ambiente l’adozione, per ciascun tipo di attività, delle norme, che fissano i tipi e le quantità di rifiuti e le condizioni in base alle quali le attività di recupero di cui all'Allegato C alla parte quarta del T.U.A. sono sottoposte alle procedure semplificate di cui agli artt. 215 e 216. Sino all'adozione dei decreti di cui sopra, relativamente alle attività di recupero, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui ai decreti del Ministro dell'ambiente 5 febbraio 1998 (per i rifiuti non pericolosi) e 12 giugno 2002, n. 161 (per quelli pericolosi).

In caso di violazione delle disposizioni previste dall’art. 216, l’art. 256 T.U.A. sanziona, al comma quarto, l’inosservanza delle prescrizioni contenute o richiamate nelle autorizzazioni, nonché la carenza dei requisiti e delle condizioni richiesti per le iscrizioni o comunicazioni, riducendo della metà le pene previste dal comma primo, lettere a) e b).

Così riassunta la disciplina applicabile, è agevole comprendere l’opzione seguita dalla Cassazione. Nonostante, infatti, la società titolare dell’autorizzazione allo svolgimento delle operazioni di recupero si fosse limitata a fornire a noleggio il macchinario per la frantumazione dei rifiuti edili unitamente all’operatore (ipotesi rientrante nel c.d. nolo a caldo, che prevede la fornitura di un bene e del personale addetto al suo impiego), rimaneva comunque intatta la responsabilità del titolare dell’autorizzazione, restando comunque quest’ultimo responsabile sia dell’attività di recupero dei rifiuti effettuata mediante il frantoio mobile (apparecchio ideato per la macinazione di inerti ed il recupero differenziato da scarti industriali), sia dell’osservanza delle prescrizioni previste nell’autorizzazione.

Tale affermazione è assolutamente condivisibile, tenuto conto della natura personale dell'autorizzazione all'esercizio di una delle tipiche attività di gestione (raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione).

Ciò spiega il motivo per il quale, ad es., la giurisprudenza di legittimità esclude che il titolare dell'autorizzazione possa delegare l'esercizio dell'attività a terzi che ne siano privi (V., in termini: Cass. pen., Sez. 3, n. 24723 del 22/06/2007, C. e altro, in Ced Cass. 236886; fattispecie nella quale il titolare di autorizzazione all'esercizio dell'attività di recupero di rifiuti speciali non pericolosi ne aveva delegato lo svolgimento a terzi non autorizzati che si avvalevano di materiali ed attrezzature di proprietà del titolare dell'autorizzazione).

(Sentenza Cassazione penale 14/02/2011, n. 5346)


Fonte: IPSOA

0 commenti:

 
Top