L'irregolare compilazione del foglio presenze non sempre costituisce giusta causa di licenziamento. Se, dal complesso degli elementi emersi nel corso del giudizio, non risulta la dolosa preordinazione del dipendente finalizzata ad impedire il controllo e trarre in inganno il datore di lavoro, la sanzione espulsiva e' eccessiva per difetto di proporzionalita'.
La sentenza in commento affronta la fattispecie, piuttosto frequente, della irregolare compilazione di fogli presenza (analoga al caso di omessa o irregolare timbratura del cartellino segnatempo) stabilendo che l’effettiva rilevanza disciplinare del comportamento deve essere valutata caso per caso.

In generale, costituisce principio acquisito che in tema di licenziamento per giusta causa, la legittimità di tale sanzione disciplinare è legata alla verifica circa la sussistenza di una condotta di una gravità tale da far venire meno il rapporto fiduciario che deve intercorrere tra datore di lavoro e dipendente, rapporto fiduciario che si sostanzia nell'aspettativa di una parte circa il comportamento dell'altra e presuppone una prognosi favorevole relativamente al corretto adempimento delle obbligazioni contrattuali (Cass. civ., Sez. lavoro, 12/04/2010, n. 8641). E tale accertamento è riservato al Giudice di merito che, se provvede a motivare correttamente la propria opinione, non è soggetto a controllo di legittimità sulla stessa da parte della Corte di Cassazione.

La condotta in esame è stata ripetutamente oggetto di esame da parte della Magistratura del lavoro che, generalmente, ha sempre assunto un atteggiamento molto rigoroso in tutti i casi in cui è risultato che la condotta rispondeva alla finalità di trarre in inganno il datore di lavoro. E così, è stato stabilito che il comportamento del caporeparto di un supermercato che procede alla timbratura irregolare del cartellino di uscita e di entrata in modo da far risultare la sua presenza in orario in cui è, invece, assente, lede irrimediabilmente l'elemento fiduciario, ed integra, perciò, una giusta causa di licenziamento (App. Milano, 18/09/2001 in Lavoro nella Giur., 2002, 388).

Analogamente, un Giudice di primo grado ha ritenuto che la timbratura del cartellino orologio per un collega, espressamente prevista come giusta causa dal contratto collettivo, costituisce inadempienza grave, idonea a compromettere per il futuro la fiducia che il datore di lavoro ripone nei suoi dipendenti circa l'osservanza della disciplina aziendale e la corretta esecuzione di qualsiasi obbligo inerente il rapporto (Trib. Milano, 10/11/1993 in Orient. Giur. Lav., 1993, 925).

Peraltro, il Giudice non è vincolato alle esemplificazioni di giusta causa di recesso contenute nel contratto collettivo poiché, in ogni caso, deve verificare se il fatto addebitato sia di entità tale da legittimare il recesso, tenendo anche conto dell'elemento intenzionale che ha sorretto la condotta del lavoratore (cfr. Cass. civ., Sez. lavoro, 19/08/2004, n. 16260 che ha confermato la sentenza di appello che aveva ritenuto la condotta del dipendente così grave da giustificare il licenziamento, in quanto questi, approfittando della sua qualifica di addetto al controllo dei fogli di presenza, alterava dolosamente per oltre un anno la documentazione relativa alle sue stesse presenze in ufficio, in modo da risultare in servizio anche quando era assente per ferie o per malattia).

Su questi corretti presupposti è quindi molto semplice, nel caso in oggetto, osservare che la sentenza in commento non corrisponde affatto ad una interpretazione benevola o lassista della nozione legale di giusta causa di recesso.

Nella fattispecie all’esame della Corte era infatti risultato che

- erano state introdotte da poco nuove procedure per la rilevazione delle presenze;

- che le iniziali indicazioni dell’azienda, nella fase di rodaggio, erano state disattese dalla generalità dei lavoratori;

- che il dipendente licenziato non aveva lo specifico intento di trarre in inganno l’azienda poiché era uscito in anticipo solo di pochi minuti e comunque dopo aver terminato il lavoro affidato.

Correttamente la Suprema Corte ha ritenuto che, a queste condizioni, l’elemento intenzionale della condotta illegittima (pur accertata) non è sufficientemente grave da sorreggere una sanzione espulsiva.

(Sentenza Cassazione civile 01/03/2011, n. 5019)


Fonte: IPSOA

0 commenti:

 
Top