Secondo il d.lgs n. 28/2010 il dovere di "riservatezza" rappresenta un principio fondamentale che deve ispirare lo svolgimento del procedimento di conciliazione.
Secondo il d.lgs n. 28/2010 il dovere di “riservatezza ” rappresenta un principio fondamentale che deve ispirare lo svolgimento del procedimento di conciliazione.

A tal proposito, l’art. 9, comma 1 del decreto legislativo in esame, prevede un obbligo generale di riservatezza nei confronti di tutti i soggetti ( ad eccezione delle parti) che , a vario titolo, svolgono la loro attività all’interno della procedura di mediazione.

Il succitato dovere di riservatezza, tuttavia, è posto a tutela dell’interesse delle parti, pertanto quest’ultime ne hanno la totale disponibilità e di conseguenza possono autorizzare i soggetti della procedura conciliativa ad operare in deroga al summenzionato obbligo.

L’art. 10 comma 2 , inoltre, al fine di garantire il rispetto del dovere di riservatezza, dispone, altresì, che “ il mediatore non può essere tenuto a deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite nel procedimento di mediazione, ne' davanti all'autorità giudiziaria ne' davanti ad altra autorità.

Al mediatore si applicano le disposizioni dell'articolo 200 del codice di procedura penale e si estendono le garanzie previste per il difensore dalle disposizioni dell'articolo 103 del codice di procedura penale in quanto applicabili”.

La norma sopra calendata , dunque, introduce a carico del mediatore un divieto di testimonianza che è strettamente collegato all’obbligo di riservatezza previsto dall’ art. 9, comma 1 del d.lgs 28/10.

Ed invero, una condotta posta in essere dal mediatore in violazione del predetto divieto , oltre a costituire una condotta illecita , configurerebbe a carico del mediatore anche una responsabilità per danni.

Da quanto sopra rilevato si evince chiaramente che l’astensione di cui all’art. 10, comma 2, non rappresenta una semplice facoltà della quale può avvalersi il mediatore, bensì rappresenta certamente un obbligo da osservare scrupolosamente.

Peraltro, il mediatore che dovesse rendere testimonianza sulle dichiarazioni rese o sulle informazioni acquisite nel corso del procedimento di mediazione, non solo porrebbe in essere una condotta illecita ma viepiù introdurrebbe nel processo una prova inutilizzabile.

Ed infatti, laddove il mediatore, in violazione del predetto divieto, dovesse rendere testimonianza in ordine alle dichiarazioni ed alle informazioni apprese durante lo svolgimento della procedura di conciliazione, la testimonianza resa sarebbe comunque da considerarsi inammissibile.

La superiore conclusione trova conferma nello stesso art. 10, il quale al comma 1 prevede espressamente che “le dichiarazioni rese o le informazioni acquisite nel corso del procedimento di mediazione non possono essere utilizzate nel giudizio avente il medesimo oggetto anche parziale, iniziato, riassunto o proseguito dopo l'insuccesso della mediazione”.

Ebbene, a differenza dell’obbligo di riservatezza , che vincola tutti i soggetti che intervengono a vario titolo nel procedimento di conciliazione, ad esclusione delle parti, il divieto di utilizzazione delle informazioni e delle dichiarazioni acquisite nel corso della procedura di mediazione , invece, è rivolto soprattutto alle parti ed è posto sempre nel loro interesse.

In particolare, il predetto divieto ha lo scopo di evitare che le parti possano utilizzare l’una contro l’altra le informazioni acquisite e le dichiarazioni rese nel corso della mediazione.

Tuttavia anche il divieto di utilizzare le prove relative alle informazioni ed alle dichiarazioni raccolte nel corso della mediazione, al pari di quanto previsto per l’obbligo di riservatezza, rientra nella piena disponibilità delle parti, le quali pertanto possono, consensualmente, autorizzare il mediatore a testimoniare in relazione alle succitate dichiarazioni ed informazioni.

Ciò posto, va poi rilevato che il summenzionato comma 1 dell’art. 10 rappresenta una disposizione avente un contenuto poco chiaro e per certi versi anche contraddittorio. Innanzitutto, uno degli aspetti problematici della norma in esame è costituito dal fatto che la stessa, sebbene preveda in via generale che le dichiarazioni e le informazioni acquisite nel corso della mediazione non possono essere utilizzate nel giudizio avente il medesimo oggetto, nel contempo specifica , altresì, che il divieto di utilizzare le suddette dichiarazioni-informazioni vale soltanto per la prova testimoniale e per il giuramento decisorio.

Tale ultimo inciso appare quanto meno ultroneo, considerato che la possibilità di deferire un giuramento sulle dichiarazioni ovvero sulle informazioni rese durante il procedimento di mediazione rappresenta un via che difficilmente le parti avrebbero intrapreso, anche in assenza di un preciso divieto in tal senso .

E ciò in quanto appare del tutto inverosimile che le dichiarazioni e le informazioni acquisite nel corso della mediazione possano concernere fatti o circostanze rilevanti ai fini dell’accoglimento o del rigetto della domanda giudiziale, potendo assumere al massimo una semplice valenza indiziaria e/o probatoria.

Ed infine , va osservato che, l’art. 10, 1° comma, presenta un altro profilo problematico, in quanto lo stesso , prevedendo che le dichiarazioni e le informazioni rese durante la procedura di mediazione sono inutilizzabili “salvo consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni”, consente, di fatto, la produzione in giudizio delle dichiarazioni del dichiarante.

A ben vedere, la normativa esclude che una delle parti possa produrre in giudizio le dichiarazioni della controparte, ma nel contempo, la stessa normativa offre alle parti la possibilità di produrre in giudizio le proprie dichiarazioni.

Orbene, appare evidente che, se una delle parti produce in giudizio le proprie dichiarazioni, è molto probabile che anche la controparte, al fine di replicare a tali osservazioni, sarà indotta ad agire nello stesso modo.

Così facendo risulta altamente probabile che tutte o gran parte delle dichiarazioni ed informazioni assunte nel corso della procedura di conciliazione vengano prodotte in giudizio, con ciò trasferendo in sede giurisdizionale il contenuto dell’attività svolta in sede di conciliazione.

In tal modo le risultanze della procedura di mediazione potrebbero assumere una notevole rilevanza ai fini dell’esito della successiva attività processuale, considerato che in tali ipotesi le dichiarazioni delle parti, benché assunte nel corso della procedura di mediazione , potrebbero essere utilizzate in sede giurisdizionale ai sensi dell’art. 116, 2°comma c.p.c.

Pertanto sotto tale profilo la norma in commento non realizza una effettiva separazione tra l’attività di conciliazione e la successiva attività giurisdizionale.

Da questo punto di vista , sarebbe stato probabilmente più opportuno prevedere un divieto assoluto di utilizzabilità delle predette dichiarazioni ed informazioni ovvero , in alternativa, il legislatore avrebbe potuto consentire l’utilizzazione di siffatte dichiarazioni soltanto in presenza del consenso di tutte le parti.


Fonte: IPSOA

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