La tassazione ai fini ICI degli immobili di interesse storico o artistico, va fatta sulla base della norma che prevede un regime di natura speciale applicabile in via esclusiva, anche se gli immobili stessi siano oggetto degli interventi edilizi di restauro, risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia e ristrutturazione urbanistica, in quanto i criteri di determinazione della base imponibile ICI previsti per tali interventi costituiscono un'eccezione (o agevolazione fiscale) interna al regime ordinario di tassazione degli immobili non altrimenti qualificati, che non può avere applicazione in altri regimi di tassazione caratterizzati da specialità propria
La S.C. ha affermato che la tassazione ai fini ICI degli immobili di interesse storico o artistico, va fatta sulla base dell'art. 2, comma 5, D.L. 23 gennaio 1993, n. 16, convertito nella L. 24 marzo 1993, n. 75, come interpretato dall'art. 74, comma 6, L. 21 novembre 2000, n. 342, in quanto tale norma prevede un regime di natura speciale -giustificato dai pesanti oneri manutentivi che il riconoscimento della specifica qualità comporta per tale tipologia di immobili- applicabile in via esclusiva anche se gli immobili stessi siano oggetto degli interventi edilizi indicati dalle lettere c), d) ed e) dell'art. 31, comma 1, L. 5 agosto 1978, n. 457 (restauro, risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia e ristrutturazione urbanistica), in quanto i criteri di determinazione della base imponibile ICI previsti per tali interventi dall'art. 5, comma 6, D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, costituiscono un'eccezione (o agevolazione fiscale) interna al regime ordinario di tassazione degli immobili non altrimenti qualificati, che non può avere, per sua natura e collocazione, applicazione in altri regimi di tassazione caratterizzati da specialità propria, connessa ad una qualità specifica (e sostanzialmente intrinseca) dell'immobile oggetto dell'imposta.
La S.C. ha così risposto alla Sezione V che, con le ordinanze interlocutorie n. 14362, n. 14363, n. 14364, n. 14365, n. 14366, n. 14367 del 2010, aveva sollevato la questione della determinazione della base imponibile ICI nel caso di interventi di recupero, a norma dell'art. 31, comma 1, lett. c), d) ed e), L. 5 agosto 1978, n. 457 e successive modificazioni, aventi ad oggetto gli immobili di interesse storico o artistico ai sensi dell'art. 3, L. 1 giugno 1939, n. 1089 e successive modificazioni.
La questione si poneva per la concorrenza di due norme con carattere di specialità rispetto al criterio ordinario fissato dall'art. 5, comma 1, D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 (valore degli immobili di cui al comma 2 dell'art. 1) e precisamente: l'art. 5, comma 6, D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, in relazione alla realizzazione di interventi di recupero a norma dell'art. 31, comma 1, lettere c), d) ed e), L. 5 agosto 1978, n. 457, e l'art. 2, comma 5, D.L. 23 gennaio 1993, n. 16 convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 24 marzo 1993, n. 75, relativamente agli immobili di interesse storico o artistico ai sensi dell'art. 3, L. 1 giugno 1939, n. 1089, e successive modificazioni.
La causa è stata quindi assegnata alle Sezioni Unite ed è stata richiesta a questo Ufficio la redazione di una relazione su questione di massima di particolare importanza.
L'art. 2, comma 5, D.L. 23 gennaio 1993, n. 16 convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 24 marzo 1993, n. 75, ritenuto applicabile in via esclusiva dalla S.C., prevede: " Per gli immobili di interesse storico o artistico ai sensi dell'art. 3, L. 1 giugno 1939, n. 1089, e successive modificazioni, la base imponibile, ai fini dell'imposta comunale sugli immobili (ICI), è costituita dal valore che risulta applicando alla rendita catastale, determinata mediante l'applicazione della tariffa d'estimo di minore ammontare tra quelle previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è sito il fabbricato, i moltiplicatori di cui all'art. 5, comma 2, D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504".
Va precisato che gli immobili di interesse storico o artistico di cui all'art. 3, L. 1 giugno 1939, n. 1089, sono quelli appartenenti a privati proprietari che siano stati riconosciuti particolarmente importanti con apposito provvedimento amministrativo. La L. n. 1089 cit. è stata abrogata dal D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, a sua volta abrogato e sostituito dal D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio).
L'art. 74, comma 6, L. 21 novembre 2000, n. 342 ha fornito l'interpretazione autentica dell'intero art. 2 cit. affermando:
"Le disposizioni di cui all'art. 2, D.L. 23 gennaio 1993, n. 16 convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 24 marzo 1993, n. 75, si interpretano nel senso che, ai soli fini del medesimo decreto, tra le imposte dirette è inclusa anche l'imposta comunale sugli immobili (ICI)".
Il riferimento, evidentemente, è alle tariffe d'estimo ed alle rendite ed in particolare al comma 1 nella parte in cui prevede: "Le tariffe e le rendite stabilite, per effetto di quanto disposto dai commi 1-bis e 1-ter del presente articolo, con il decreto legislativo di cui all'art. 2 della legge di conversione del presente decreto, si applicano per l'anno 1994; tuttavia, ai soli fini delle imposte dirette, con esclusione delle imposte sostitutive di cui agli artt. 25, comma 3, e 58, comma 2, L. 30 dicembre 1991, n. 413, si applicano dal 1 gennaio 1992 nei casi in cui risultino di importo inferiore rispetto alle tariffe d'estimo, di cui al , pubblicati nel supplemento ordinario n. 70 alla Gazzetta Ufficiale n. 99 del 29 aprile 1992, e alle rendite determinate a seguito della revisione disposta con il predetto D.M. 20 gennaio 1990".
La soluzione delle Sezioni Unite è in linea con l'orientamento giurisprudenziale in tema di imposta sul reddito per gli immobili di interesse storico od artistico.
Per tale imposta, l'art. 11, comma 2, L. 30 dicembre 1991, n. 413, prevede:
" In ogni caso, il reddito degli immobili riconosciuti di interesse storico o artistico, ai sensi dell'art. 3, L. 1 giugno 1939, n. 1089 , e successive modificazioni e integrazioni, è determinato mediante l'applicazione della minore tra le tariffe d'estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è collocato il fabbricato".
La Corte costituzionale, con Sent. n. 346 del 2003, dichiarò non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 11, comma 2, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione. Successivamente la Corte, con ordinanza n. 170 del 2004, dichiarò la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 11, comma 2, sollevata in riferimento art. 3 della Costituzione.
La questione di legittimità costituzionale presa in esame dalla prima sentenza era stata sollevata dalla Commissione tributaria provinciale di Torino, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, sul rilevo dell'esistenza di un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale la regola dettata dalla norma troverebbe applicazione anche nel caso di immobili locati, interpretazione, questa, che "si porrebbe però in contrasto con il principio di capacità contributiva e con quello di "parità di trattamento nell'imposizione fiscale", rappresentando una ingiustificata eccezione ai principi generali in tema di imposizione dei redditi da fabbricato, secondo i quali l'imponibile ai fini delle imposte dirette è rappresentato dal reddito effettivo derivante dalla locazione a terzi, qualora esso sia superiore -pur tenuto conto dei correttivi di legge- a quello catastale. Il locatore di immobile vincolato risulterebbe perciò indebitamente avvantaggiato sia nei confronti dei proprietari di analoghi immobili non locati, sia nei confronti dei locatori di immobili non compresi tra quelli riconosciuti di interesse storico o artistico".
Osservava ancora il rimettente che " le spese sostenute per la manutenzione, la conservazione ed il restauro degli immobili vincolati ai sensi della L. n. 1089 del 1939 sono già detraibili dall'imposta lorda ai sensi dell'art. 13-bis, lett. g), D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), e che in ogni caso tali spese gravano in eguale misura sul proprietario non locatore, il quale anzi deve farsi carico anche delle spese di manutenzione ordinaria (che in caso di locazione sono invece a carico del conduttore), cosicché risulterebbe palese l'irragionevolezza del vantaggio fiscale attribuito ai proprietari locatori".
La Corte costituzionale dichiarò non fondata la questione osservando che " (...) nessun dubbio può sussistere sulla legittimità della concessione di un beneficio fiscale relativo agli immobili di interesse storico o artistico, apparendo tale scelta tutt'altro che arbitraria o irragionevole, in considerazione del complesso di vincoli ed obblighi gravanti per legge sulla proprietà di siffatti beni quale riflesso della tutela costituzionale loro garantita art. 9, comma 2, della Costituzione.
La norma impugnata, d'altro canto, non è nemmeno illegittima, con riferimento sempre al canone di ragionevolezza, nella parte -specificamente oggetto di impugnazione- in cui prevede che il reddito imponibile sia "in ogni caso" determinato mediante l'applicazione della minore tra le tariffe d'estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è collocato il fabbricato, e perciò anche quando l'immobile di interesse storico o artistico sia locato.
Il profilo di irragionevolezza individuato dal rimettente sarebbe rappresentato, in buona sostanza, dalla deroga al principio generale posto dall'art. 34, comma 4-bis, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), in tema di determinazione del reddito imponibile degli immobili locati. E' tuttavia evidente che, una volta esclusa -per le considerazioni svolte- la comparabilità della disciplina fiscale degli immobili di interesse storico o artistico con quella degli altri immobili, la censura di irragionevolezza risulta priva di consistenza, in uno con quella, ad essa connessa, di violazione del principio di eguaglianza, essendo l'una e l'altra basate sull'erroneo presupposto della sostanziale omogeneità delle due categorie di beni.
Né può ritenersi, sotto un diverso aspetto, superato il limite della manifesta irragionevolezza per il fatto che il beneficio fiscale di cui si tratta si sostanzi in un criterio di determinazione del reddito imponibile fissato, con riferimento alle tariffe d'estimo, in modo indifferenziato tanto per gli immobili locati quanto per quelli non locati e perciò, di fatto, più vantaggioso per i primi. In proposito, a prescindere dal carattere generale del sistema catastale di tassazione degli immobili (Sent. n. 362 del 2000), è sufficiente osservare come il riferimento alle tariffe d'estimo censurato dal rimettente trovi una non irragionevole giustificazione nell'obiettiva difficoltà, evidenziata anche dalla più recente giurisprudenza di legittimità, di ricavare per gli immobili di cui si tratta dal reddito locativo il reddito effettivo, per la forte incidenza dei costi di manutenzione e conservazione di tali beni ().
Considerazione quest'ultima che comporta l'infondatezza della questione anche sotto il differente parametro art. 53 della Costituzione.
L'infondatezza della questione di costituzionalità non esclude peraltro l'opportunità di una nuova disciplina della materia che tenga conto non solo, come sottolineato dalla giurisprudenza di legittimità, della evoluzione del mercato immobiliare e locativo nel frattempo intervenuta (v., ancora, ), ma anche dell'esigenza di armonizzare la disciplina impugnata con quella, astrattamente di maggior favore, dettata per i contratti agevolati di locazione ad uso abitativo degli immobili (anche di interesse storico o artistico), che prevede una determinazione del reddito imponibile mediante il riferimento al canone locativo, forfetariamente ridotto del 45%, anziché agli estimi catastali (art. 8, L. 9 dicembre 1998, n. 431)".
Con l'Ord. n. 170 del 2004, la Corte costituzionale riesaminò la stessa questione, dichiarandola manifestamente infondata mediante il richiamo della Sent. n. 346 del 2003 cit. e ribadendo, in particolare, come "a prescindere dal carattere generale del sistema catastale di tassazione degli immobili, (....) il riferimento alle tariffe d'estimo censurato dal rimettente trovi una non irragionevole giustificazione nell'obiettiva difficoltà, evidenziata anche dalla più recente giurisprudenza di legittimità, di ricavare per gli immobili di cui si tratta dal reddito locativo il reddito effettivo, per la forte incidenza dei costi di manutenzione e conservazione di tali beni".
L'orientamento giurisprudenziale della S.C. cui faceva riferimento la Corte costituzionale, è quello espresso, da ultimo, da Cass. Civ., Sez. V, 18 giugno 2009, n. 14149, secondo cui " l'art. 11, comma 2, L. 30 dicembre 1991, n. 413, nel fissare l'imponibile rispetto agli edifici di interesse storico o artistico, prevede che esso va determinato sempre con riferimento alla più bassa delle tariffe d'estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è collocato il fabbricato. Ai fini dell'applicazione di tale regime impositivo, che deve ritenersi di carattere speciale e non meramente agevolativo, non rileva nè la destinazione, abitativa o non abitativa, dell'immobile soggetto a vincolo, nè la circostanza che il medesimo sia locato a terzi, nè la categoria catastale nella quale lo stesso sia classificato" (successivamente, conforme, cfr. Cass. Civ., Sez. V, 30 dicembre 2009, n. 28078).
In precedenza, nella stessa prospettiva, si erano espresse, ex multis:
- Cass. Civ., Sez. V, 15 ottobre 2004, n. 20354, secondo cui: "l'art. 11, comma 2, L. 30 dicembre 1991, n. 413, deve essere inteso come norma contenente l'esclusiva ed esaustiva disciplina per la fissazione dell'imponibile rispetto agli edifici di interesse storico od artistico, da effettuarsi sempre con riferimento alla più bassa delle tariffe d'estimo della zona, a prescindere dalla locazione del bene a canone superiore. In relazione a tale regime fiscale non assumono rilievo le disposizioni di cui agli artt. 1, comma 2, lett. a), 2, comma 3, ed 8, L. 9 dicembre 1998, n. 431, atteso che, da un lato, le agevolazioni fiscali previste dal citato art. 8 si applicano, in particolare agli immobili di interesse storico o artistico, soltanto quando siano stati stipulati appositi contratti conformi ai modelli predisposti con accordi in sede collettiva tra le associazioni economiche della proprietà edilizia e dei conduttori (ipotesi non ricorrente nella fattispecie), e, dall'altro, il comma primo del medesimo art. 8, nel prevedere l'abbattimento del trenta per cento del reddito imponibile, non esclude l'applicazione della norma speciale di cui al suindicato art. 11, comma 2, L. n. 413 del 1991" (successivamente, conforme, Cass. Civ., Sez. V, 16 febbraio 2005, n. 3083 e Sez. V, 30 dicembre 2004, n. 24226);
- Cass. Civ., Sez. V, 12 agosto 2004, n. 15671, secondo cui "l'art. 11, comma 2, L. 30 dicembre 1991, n. 413, deve essere inteso come norma contenente l'esclusiva ed esaustiva disciplina per la fissazione dell'imponibile rispetto agli edifici di interesse storico od artistico, da effettuarsi sempre con riferimento alla più bassa delle tariffe d'estimo della zona, a prescindere dalla locazione del bene a canone superiore. Su tale regime fiscale non esplica alcun effetto il combinato disposto degli artt. 1, comma 2, lett. a), ed 8, L. 9 dicembre 1998, n. 431, non contenendo tale normativa alcuna disposizione cui possa attribuirsi natura abrogativa o interpretativa della suindicata norma speciale, il cui contenuto precettivo non si pone peraltro in contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost. (cfr. Corte Cost., Sent. n. 346 del 2003)".
Cass. Civ., Sez. Unite, 9 marzo 2011, n. 5518


Fonte: IPSOA

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