Doppia conferma dalla Corte di Cassazione sulla possibilità di utilizzare induttivamente i valori determinati in sede di accertamento del registro per accertare la plusvalenza da cessione d’azienda ai fini dell’imposta sul reddito.
Con la sentenza n. 5078 (e la parallela n. 5070) depositata in data 2 marzo 2011, la Suprema Corte ritorna sul controverso tema della interscambiabilità delle risultanze istruttorie tra procedimenti volti ad accertare tributi diversi.

La conclusione formulata è che:
a)benché il presupposto del registro (valore) non coincida con quello dell'imposta sui redditi (prezzo differenziale), il valore di registro può essere la base per presumere il prezzo di cessione, sulla base del ragionamento che, normalmente il prezzo non si allontana dal valore;
b)tale coincidenza prezzo=valore corrisponde a una presunzione legale, con inversione dell'onere della prova a carico del contribuente;
c)la sentenza che non si attenga a tali principi è viziata da violazione di legge (segnatamente dell'art. 54 TUIR).La tesi non è nuova e trova consacrazione in un consolidato indirizzo: Cass. n. 4914/1986, n. 2101/1990, n. 14448/2000, n. 14581/2001, n. 21055/2005, n. 19830/2008, n. 28791/2008, n. 21020/2009 (cfr. , il Quotidiano IPSOA del 9 ottobre 2009), n. 27019/2009 (cfr. , il Quotidiano IPSOA del 18 gennaio 2010).

A ben vedere, tuttavia, tale impostazione appare corretta solo sotto il profilo strettamente sostanziale, che corrisponde al primo dei tre passaggi del ragionamento esposto sopra.

E' indubbiamente normale che il prezzo di un bene sia congruo al valore.

Ciò che però risulta del tutto insostenibile è che tale ragionamento comporti una inversione dell'onere della prova. Una inversione dell'onere della prova (presunzione legale) deve essere prevista dalla legge. E, semplicemente, nella fattispecie, una norma non c'è. Né questa può essere certamente individuata nell'art. 54 (oggi 86) TUIR, che si limita a stabilire come viene determinata la plusvalenza.

L'equivalenza valore=prezzo non attiene affatto alla determinazione del presupposto (le regole legali di calcolo) ma la sua prova (come viene scoperto il valore).

L'errore in cui incorre la sentenza appare evidente: equivale a ritenere che incorra in violazione di legge (della norma che punisce l'omicidio) la sentenza che non valorizzi adeguatamente la prova desunta dalle analisi del RIS su tracce di DNA.

Prova e diritto non sono sullo stesso piano.

Sul piano della sostanza resta tuttavia confermato che chi alieni una azienda a un valore distante da quello di mercato deve precostituirsi la prova delle ragioni della diversa determinazione del prezzo, andando incontro altrimenti alla tassazione sul maggior valore.

Tale orientamento rigido potrebbe tuttavia anche avere effetti favorevoli al contribuente, quando il prezzo sia superiore al valore medio di mercato: la pretesa presunzione legale in questo caso rende più difficile all'ufficio provare il valore effettivo e serve a difendere il contribuente.

Un irrigidimento della valutazione della prova, insomma, alquanto inopportuno.

(Sentenza Cassazione civile 02/03/2011, n. 5078)


Fonte: IPSOA

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