Con la sentenza 1405 del 22 gennaio, la Cassazione è ritornata sul tema dell'abuso del diritto, affermando due importanti principi: 1) l'amministrazione finanziaria, in applicazione dell'articolo 20 del Tur è legittimata, ai fini della corretta imposizione, a verificare l'intrinseca natura e gli effetti giuridici di un contratto registrato, prescindendo dal titolo o dalla forma apparente; 2) il diritto alla detrazione dell'Iva non si acquisisce automaticamente per il fatto che la stessa sia stata indicata nella fattura emessa dal venditore.

La vicenda processuale
Con avviso di accertamento del 2003, relativo all'anno d'imposta 1998, l'Agenzia delle Entrate contestava alla società contribuente di aver ingiustificatamente annotato e contabilizzato nel registro Iva acquisti una fattura relativa a una vendita di un terreno con natura edificatoria, disconoscendo la detrazione dell'imposta.
Secondo l'Amministrazione finanziaria, infatti, tale compravendita riguardava un compendio immobiliare unitario, occupato per due terzi da un'azienda agricola, ceduta con applicazione dell'imposta di registro, e per la parte restante da un'annessa area fabbricabile, venduta con Iva per oltre 4 miliardi di lire.

Per questo motivo l'intera operazione era qualificata "cessione di ramo d'azienda", soggetta per intero all'imposta di registro (in quanto fuori campo Iva, ai sensi dell'articolo 2, comma 3, lettera a), del Dpr 633/1972).
Tale conclusione era avvalorata da molteplici indizi, come: l'adiacenza dei suoli edificabili rispetto a quelli dell'azienda agricola; il censimento catastale di tutti i terreni come agricoli e nella stessa partita; l'indicazione in fattura dell'appartenenza dei terreni edificabili all'azienda agricola; la conduzione agricola di tutti i terreni a opera della cessionaria.

Il ricorso della cessionaria, che sosteneva l'esistenza di autonome cessioni da sottoporre ognuna al proprio trattamento fiscale, veniva accolto in primo grado, con provvedimento riformato in appello dalla Ctr. In particolare, secondo la Commissione tributaria:
vista l'articolazione funzionale degli uffici dell'Agenzia delle Entrate in ragione delle diverse imposte, la registrazione dell'atto spettava all'ufficio di Roma, mentre i controlli in materia di Iva spettavano all'ufficio di Teramo (in relazione alla sede della compratrice), che era legittimato ad avvalersi dei più rilevanti poter accertativi (anche in termini temporali) previsti dal Dpr 633/1972
la certificazione dell'ufficio di Roma attestava solo la congrua applicazione dell'imposta di registro, senza poter incidere sul diverso tema della detraibilità dell'Iva
nel contratto si accennava a un "ramo d'azienda a vocazione agricolo immobiliare, costituito dal compendio dei terreni edificabili, agricoli e fabbricati soprastanti…"
l'edificabilità delle superfici controverse non ne impediva l'utilizzo agricolo e non ne comprometteva l'idoneità all'utilizzo imprenditoriale dell'adiacente azienda agricola
infine, il pagamento dell'Iva (erroneamente) indicata in fattura non costitutiva, di per se stessa, condizione legittimante la detrazione.
Contro la pronuncia d'appello, la società accertata proponeva ricorso per cassazione formulando, in relazione all'articolo 366-bis cpc vigente ratione termporis, i seguenti quesiti di diritto:
se il comportamento amministrativo di un ufficio delle Entrate territorialmente competente per la registrazione di un atto, manifestandosi in un atto esterno dove si confermano i criteri di assoggettabilità al registro (e, per il principio di alternatività, all'Iva) dell'atto stesso, possa essere superato da un successivo avviso di accertamento Iva emesso da un altro ufficio locale, avviso da ritenersi illegittimo per violazione degli articoli 9 e 40 del Tur (per lo stesso motivo la società aveva eccepito in sede di appello il vizio dell'eccesso di potere)
se, per qualificare un contratto come cessione d'azienda, occorre ricercare la comune intenzione delle parti, in ragione delle parole ed espressioni del contratto, potendosi ricorrere al comportamento complessivo delle parti solo in via sussidiaria, con conseguente violazione e falsa applicazione, da parte della sentenza di secondo grado, dell'articolo 1362 cc e dell'articolo 20 del Tur. Sostiene, infatti, la parte che, nel caso di compravendita avente ad oggetto un'azienda agricola e contestuale vendita di terreni edificabili, questi ultimi devono essere assoggettati a Iva se, in base alle parole ed espressioni riportate nel contratto, sono considerati nella loro individualità senza alcun collegamento col complesso unitario rappresentato dall'azienda agricola
se, nel caso di erroneo assoggettamento a Iva di un'operazione che doveva scontare l'imposta di registro (in quanto cessione d'azienda), non debba essere comunque negato il diritto alla detrazione Iva in capo all'acquirente, qualora lo stesso abbia agito in buona fede per aver ritenuto corretto il comportamento del cedente soggetto passivo d'imposta.
La pronuncia della Cassazione e ulteriori osservazioni
La Suprema corte, con la sentenza in commento, ha rigettato il ricorso, condannando la ricorrente alle spese del giudizio di legittimità.

In particolare, i giudici di legittimità hanno interpretato il quesito di cui al primo punto come richiesta di applicazione del principio del consolidamento del criterio impositivo, ritenuto non pertinente al caso de quo.
Tale principio è stato elaborato in relazione alla messa in discussione del criterio estimativo di tassazione ai fini dell'imposta di registro. Secondo lo stesso, decorsi tre anni dalla data di registrazione di un atto, si prescrive la possibilità di ottenere una revisione del titolo di tassazione e, conseguentemente, rimane preclusa, tanto per il contribuente quanto per l'amministrazione, la facoltà di far valere pretese che presuppongano la modificazione dei titoli o criteri di tassazione (cfr Cassazione, sentenze 7835/2001 e 7242/2003).
La fattispecie concreta si caratterizza, invece, per il fatto di essere un caso di imposizione alternativa, in cui "il contribuente ha l'obbligo di corrispondere il tributo previsto dalla legge e non quello scelto sulla base di considerazioni di tipo soggettivo".
Pertanto, non sono violati i principi di alternatività dell'imposta, di consolidamento del criterio impositivo e di divieto di doppia imposizione, se l'amministrazione finanziaria, in caso di cessione fuori campo Iva, e nell'intento di applicare la giusta imposizione, si limiti a escludere la detraibilità dell'imposta erroneamente pagata dall'acquirente, indicando come unico tributo il registro.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, infatti, "al fine di stabilire quale sia il tributo dovuto in caso di imposizione alternativa, non rileva il semplice fatto che sia stato corrisposto un tributo anzichè l'altro, atteso che il contribuente ha l'obbligo di corrispondere il tributo dovuto e non quello scelto in base a considerazioni soggettive" (Cassazione 18524/2010); deve desumersi che è legittimo l'operato dell'amministrazione finanziaria che non ha chiesto due tributi, ma, riqualificando l'intera operazione nell'ambito di un solo tributo (imposta di registro), si sia limitata a disconoscere la detraibilità dell'Iva esposta in fattura.

Anche il motivo di cui al secondo punto è stato rigettato dalla Cassazione. In tema di imposta di registro, infatti, l'articolo 20 del Tur, secondo cui "l'imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente", impone di privilegiare l'intrinseca natura e gli effetti giuridici reali prodotti dal contratto, rispetto al quale i canoni ermeneutici delineati in sede civile (articolo 1362 e seguenti del codice civile) assumono rilievo secondario.
In altre parole, la disposizione di cui al suindicato articolo 20, letta in combinato disposto con l'articolo 1 del Tur, oltre ad avere una funzione interpretativa degli atti registrati, identifica quello che è l'oggetto del rapporto giuridico tributario, rappresentato dagli effetti giuridici concreti prodotti dal contratto, indicativi della capacità contributiva dei soggetti che li compiono.
A tal proposito, con numerose sentenze (Cassazione 10273/2007, 11457/2005 e 10660/2003), la Corte suprema, dopo aver ribadito la funzione antielusiva dell'articolo 20, ha affermato che, ai fini della corretta applicazione dell'imposta di registro, non si deve valutare la precisa volontà contrattuale posto che "il tema dell'indagine non consiste nell'accertare cosa le parti hanno scritto ma cosa le stesse hanno effettivamente realizzato con il regolamento negoziale adottato e tanto non discende assolutamente dal contenuto delle dichiarazioni delle parti".
A conferma della bontà delle argomentazioni logico-giuridiche della sentenza di secondo grado, i giudici di legittimità, richiamando principi giurisprudenziali ormai consolidati, hanno ricordato che "in presenza di una cessione di beni atti, nel loro complesso e nel loro collegamento, all'esercizio d'impresa, si deve ravvisare una cessione d'azienda soggetta ad imposta di registro, mentre solo la cessione di singoli beni, inidonei di per sè ad integrare la potenzialità produttiva propria dell'impresa, deve essere assoggettata ad IVA" (Cassazione 897/2002). "V'è cessione di azienda anche nel caso in cui i beni ceduti nella loro complessità siano potenzialmente utilizzabili per attività d'impresa, senza che abbia rilievo il requisito dell'attualità" (Cassazione 9162/2010).

In merito al quesito di cui al terzo punto, infine, la Corte ha chiarito che l'esercizio del diritto alla detrazione, contemplato dalla sesta direttiva Cee del 1977, non si estende all'imposta dovuta esclusivamente per il fatto di essere indicata nella fattura. In caso di imposizione alternativa, ribadiscono i giudici, il contribuente è tenuto a corrispondere il tributo previsto dalla legge e non quello derivante da considerazioni soggettive: ne discende la legittimità del disconoscimento della detrazione dell'Iva, in quanto è stato accertato che l'unico tributo dovuto era l'imposta di registro.


Fonte: Agenzia Entrate

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