In tema di Irap, il quadro RE della dichiarazione dei redditi può costituire elemento decisivo ai fini del riscontro del requisito dell’autonoma organizzazione in capo al professionista in quanto, dall’esame dei dati relativi ai compensi erogati a terzi può desumersi l’impiego, in maniera continuativa, di altri lavoratori che apportino valore aggiunto all’attività professionale.
Questo il principio di diritto desumibile dalla sentenza 8119 della sezione tributaria della Corte di cassazione depositata lo scorso 23 maggio.

La vicenda
Il contenzioso è originato dal ricorso avverso il silenzio rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso dell’Irap versata da un libero professionista per gli anni di imposta 2000-2004.
Sia la Commissione tributaria provinciale, sia quella regionale, ritenevano fondato il diritto del ricorrente alla restituzione dell’imposta.
In particolare, la Ctr riteneva insussistente il presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione in capo al professionista da intendersi, secondo i giudici, quale valore aggiunto fornito da un’organizzazione assimilabile a quella richiesta per esercitare l’attività di impresa.
Contro tale pronuncia l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione denunciando il difetto di motivazione della sentenza.

La pronuncia della Cassazione
Il Collegio supremo, accogliendo il ricorso dell’Agenzia, ha cancellato la pronuncia dei giudici di merito e ha rigettato il ricorso introduttivo del contribuente.
Secondo la Cassazione, la Ctr ha innanzitutto errato nel ritenere che il requisito dell’organizzazione sviluppi un concetto unitario valido universalmente sia per l’attività d’impresa che per quella libero professionale. Con riferimento a quest’ultima, il concetto di organizzazione va ricondotto a “…una struttura organizzata in un complesso di fattori che – per la loro rilevanza, anche sul piano economico – siano suscettibili di creare un valore aggiunto rispetto alla mera attività individuale”, mentre non è necessario che il plusvalore sia conseguito esclusivamente con l’organizzazione dei fattori della produzione, indispensabile, invece, per l’esercizio di un’attività di impresa.

La seconda censura alla sentenza riguarda la carenza di prova in relazione alla sussistenza del presupposto dell’autonoma organizzazione. Secondo la giurisprudenza di legittimità, l’onere della prova “negativa” incombe sul contribuente che deve all’uopo dimostrare:
di non essere sotto qualsiasi forma il responsabile dell’organizzazione
di non impiegare beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure di non avvalersi in modo non occasionale del lavoro altrui.

Nel caso di specie, secondo la Cassazione, la motivazione della sentenza, oltre a non spiegare le ragioni per cui il contribuente avrebbe dato prova della sussistenza dell’autonoma organizzazione, risulta contraddittoria laddove afferma che l’esame delle dichiarazioni dei redditi per gli anni in contestazione esclude la presenza di “retribuzioni a collaboratori”.

Per i giudici di legittimità, l’analisi dei quadri RE (redditi di lavoro autonomo) della dichiarazione, debitamente riportati nel ricorso per cassazione prodotto dall’Agenzia, evidenzierebbero esattamente il contrario e cioè che il contribuente, negli anni dal 2000 al 2003, ha “…erogato sistematicamente e continuativamente compensi a terzi per prestazioni afferenti all'esercizio dell'attività professionale”.
Ed è proprio l’utilizzo del lavoro altrui che, comprovando la ricorrenza dell’autonoma organizzazione, imporrebbe al libero professionista di pagare l’Irap.

Ulteriori considerazioni
Con la pronuncia in esame la Suprema corte, pur ribadendo il principio secondo cui l’onere della prova in merito alla sussistenza dei presupposti che danno diritto al rimborso è sempre posto a carico dell’istante, esprime il concetto secondo cui il quadro RE della dichiarazione dei redditi del professionista può costituire per il giudice un utile strumento ai fini dell’individuazione degli elementi che connotano l’autonoma organizzazione.
In particolare, dall’analisi dei costi ivi esposti, si può comprendere se il professionista ha erogato in maniera continuativa compensi a terzi avvalendosi, in questo modo, del plusvalore apportato dalle prestazioni lavorative di altri soggetti all’attività individuale.

Il placet ottenuto dalla Cassazione in riferimento a tale metodologia di indagine convalida le istruzioni di prassi già fornite sul punto con la circolare n. 45/E del 2008.
La predetta circolare, al fine di accertare la ricorrenza del requisito dell’autonoma organizzazione, ritiene altresì utile l’esame dei modelli per la comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore, dei contratti registrati, del registro dei beni ammortizzabili o, in mancanza, del registro delle fatture d’acquisto o del registro cronologico dei componenti di reddito e delle movimentazioni finanziarie.
Dall’analisi di questi documenti, oltre a verificare l’impiego o meno di altri lavoratori, si può anche comprendere se il professionista si è avvalso di beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile per l’esercizio della professione.


Fonte: Agenzia Entrate

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