Le informazioni acquisite dal computer dell’imprenditore, rappresentative di una contabilità non ufficiale, costituiscono, in quanto scritture dell’impresa stessa, elemento probatorio, sia pur presuntivo, utilmente valutabile, a condizione però che ai documenti extracontabili rinvenuti vengano affiancate altre prove.
E’ il principio contenuto nell’ordinanza della Corte di cassazione n. 5226 del 30 marzo, che ha però accolto la censura dall’Agenzia delle Entrate sul vizio di motivazione della sentenza impugnata.

La vicenda processuale
I fatti di causa traggono origine dal ricorso proposto da una società di capitali contro un avviso di rettifica Iva, concernente corrispettivi non contabilizzati.
La Commissione tributaria provinciale adita accoglieva il ricorso, che veniva confermato anche in secondo grado.
La Commissione regionale, nel respingere l’appello dell’ufficio, sosteneva che la rettifica in contestazione appariva fondata su mere presunzioni, poiché non suffragata da ulteriori elementi a supporto, tali da commutare i semplici elementi indiziari in presunzioni gravi, precise e concordanti. Conclusione confortata dall’esistenza di una relazione tecnica d’ufficio concernente altro analogo processo tra le medesime parti, con la quale si era escluso che i documenti informatici reperiti in sede di verifica costituissero prova sufficiente a ritenere veritiera la cessione di beni non contabilizzati.

L’ente impositore ricorre per cassazione sulla scorta di due rilievi, con i quali, denunciando l’insufficiente motivazione su un fatto decisivo della controversia, sostiene, tra l’altro, che ha errato la Commissione del riesame a recepire sic et simpliciter le risultanze peritali concernenti un giudizio diverso da quello in corso, omettendo di allegare agli atti quali parti della perizia avrebbero svolto un ruolo determinante ai fini del decidere. Ciò, dopo avere la ricorrente con il primo rilievo avanzato rimostranze sulle ulteriori verifiche fatte dall’ufficio e sull’inattendibilità, quindi, dei file rinvenuti.

La decisione
La sezione tributaria della Cassazione non ha, però, condiviso le conclusioni del relatore circa l’infondatezza del ricorso proposto dall’Amministrazione finanziaria relativamente al secondo rilievo, accogliendolo nel punto in cui taccia la sentenza impugnata di insufficiente motivazione.
Su questo aspetto, il giudice di legittimità ha dato ragione all'Amministrazione finanziaria ritenendo che la motivazione della sentenza impugnata fosse “insufficiente” e “monca”.

Occorre precisare innanzitutto che i file in questione, rinvenuti in azienda, sono da considerarsi a tutti gli effetti scritture dell’impresa che, contenendo il riferimento a dati parzialmente extracontabili, raggruppati in prospetti, forniscono, con sufficiente probabilità, il reale quadro della situazione aziendale, fornendo quindi presunzioni gravi, precise e concordanti.
Il motivo dell’ente impositore non è stato ritenuto fondato sotto il profilo del giusto governo della prova da parte della Commissione regionale, la quale, disattendendo le risultanze dei file in cui la contabilità della contribuente era contenuta, ne ha negato la rilevanza sotto il profilo delle presunzioni che da essi potevano essere tratte, richiedendo che l’ufficio fornisse altre e ulteriori prove, rispetto ai dati già considerati ed esposti nell’avviso.

L’orientamento della Cassazione al riguardo considera che la cosiddetta contabilità in nero, costituita da appunti personali, annotazioni o informazioni dell’imprenditore, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti della gravità, precisione e concordanza prescritti dall’articolo 39 del Dpr 600/1973, dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili disciplinate dall’articolo 2709 codice civile tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti di impresa ovvero rappresentino la situazione patrimoniale e il risultato economico dell’attività svolta, incombendo sul contribuente l’onere di fornire la prova contraria (Cassazione 6949/2006, 19329/2006, 25610/2006 e 3388/2010).

Nel caso di specie, tuttavia, il giudice dell’appello ha omesso di dare adeguato riscontro al rilievo dell’Amministrazione sulla denunciata carenza di motivazione della sentenza impugnata. Si legge, infatti, nella sentenza 5226/2012 che è dovere del giudice effettuare una comparazione tra documenti ufficiali e non e procedere, se del caso, all’acquisizione. Proprio come doveva essere fatto nella vicenda trattata, visto che la contabilità ufficiale e i documenti extracontabili avevano in comune numerosi nominativi e procedure adottate dalla ditta.
Anche su questo aspetto è, infatti, principio altrettanto pacifico (Cassazione 12668/2002, 2498/2006 e 18701/2010) quello secondo cui, al fine di adempiere all’obbligo della motivazione, che il giudice di merito non solo deve indicare il procedimento logico posto alla base della decisione adottata, ma deve, altresì, menzionare, “attraverso adeguata critica”, tutti gli altri rilievi e circostanze che risultino logicamente incompatibili con la decisione adottata.


Fonte: Agenzia Entrate

0 commenti:

 
Top