Il provvedimento di “sgravio” delle somme iscritte a ruolo effettuato dall’Agenzia delle Entrate in conseguenza della sentenza che annulla gli atti di riscossione, non equivale ad acquiescenza alla pronuncia e quindi non preclude la proposizione di un’eventuale impugnazione. Questo il principio di diritto desumibile dall’ordinanza della Corte di cassazione n. 5729, dello scorso 11 aprile.

La vicenda
Il contenzioso è originato dall’impugnazione di diverse cartelle di pagamento recanti il recupero di Iva, Irpef e Irap per gli anni di imposta 1999-2002.
La Commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso disponendo l’annullamento degli atti di riscossione. In conseguenza della decisione sfavorevole emessa dai giudici di prime cure, l’Ufficio provvedeva a effettuare lo “sgravio” dell’iscrizione a ruolo proponendo, altresì, impugnazione contro la sentenza della Ctp.
La Commissione tributaria regionale ribaltava l’esito della controversia accogliendo l’appello dell’Ufficio. Contro quest’ultima pronuncia, la parte privata presentava ricorso per Cassazione.

Il giudizio e la pronuncia della Cassazione
Fra i motivi di impugnazione il ricorrente lamentava la nullità della sentenza poiché la Ctr avrebbe omesso di pronunciarsi in ordine all’eccezione di inammissibilità dell'appello formulata dallo stesso nel corso del giudizio di merito.
In particolare, a giudizio del ricorrente l’appello dell’Ufficio sarebbe stato improponibile, in virtù dell’intervenuta acquiescenza alla sentenza di primo grado manifestatasi mediante lo “sgravio” dell’iscrizione a ruolo effettuato precedentemente alla proposizione del gravame.
La Suprema corte, diversamente opinando, ha ritenuto infondato il motivo addotto e, di conseguenza, pienamente legittimo l’appello proposto dall’Agenzia.

Aderendo al prevalente orientamento di legittimità, il Supremo collegio ha ritenuto che pur potendo l’acquiescenza manifestarsi in maniera tacita, può configurarsi nel solo caso in cui, dagli atti compiuti, sia possibile desumere in maniera precisa e univoca il proposito di non impugnare la pronuncia. Deve trattarsi in pratica di atti “assolutamente incompatibili” con la volontà di avvalersi dell'impugnazione.

Al contrario, è da ritenersi che l’aver provveduto spontaneamente ad eseguire la pronuncia di primo grado favorevole al contribuente, anche in assenza di apposita comunicazione al predetto circa la reale volontà di impugnare, non comporta acquiescenza alla sentenza e di conseguenza non preclude l'impugnazione.
A supporto del suo ragionamento la Cassazione ha evidenziato altresì che l’esecuzione della pronuncia, oltre a poter essere originata da un comportamento spontaneo, può derivare anche dalla vera e propria necessità “…di evitare le eventuali ulteriori spese di precetto e dei successivi atti di esecuzione".

Ulteriori considerazioni su acquiescenza e “sgravio”
L’acquiescenza alle sentenze emesse dalle commissioni tributarie è regolata in via generale dall’articolo 329 cpc, in virtù del richiamo operato dall’articolo 49 del Dlgs 546/992.
Essa può derivare dall’accettazione espressa della decisione sfavorevole ovvero da comportamenti incompatibili con la volontà di impugnare.
Sia essa espressa o tacita, una volta verificatasi, preclude la possibilità di proporre l’impugnazione.
La configurabilità della cosiddetta “acquiescenza tacita” molto spesso lascia spazio a dubbi interpretativi molto spesso chiariti dalle sentenze emesse dai giudici di legittimità.
Nel processo tributario un caso controverso è rappresentato proprio dalla fattispecie esaminata dalla Cassazione.

Nella prassi, infatti, non è infrequente che gli Uffici, spinti dalla necessità di uniformarsi ai precetti contenuti nelle pronunce delle commissioni tributarie sfavorevoli alle sorti erariali, dispongano lo “sgravio” del ruolo ossia, provvedano a rettificare contabilmente il carico a ruolo eliminando le somme ritenute indebite dal provvedimento giurisdizionale.
Con la pronuncia esaminata quindi la Cassazione chiarisce che non si può penalizzare oltremodo l’operato dell’Ufficio ritenendo improponibile la sua impugnazione in virtù della maturata acquiescenza allorquando esso, attraverso la spontanea esecuzione della decisione di merito a sé sfavorevole, si sia comportato in maniera più che diligente garantendo, altresì, il pieno rispetto del principio costituzionale di buona amministrazione.

Si evidenzia, infine, che i principi espressi nell’ordinanza in commento, oltre ad essere presenti in altre pronunce richiamate dalla stessa Cassazione (sentenze 24547/2009 e 2826/2008), trovano riscontro anche nella recente sentenza della Suprema corte 766/2011 (commentata in FiscoOggi del 9 febbraio 2011).


Fonte: Agenzia Entrate

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