Con la sentenza 13926 del 24 giugno, la Corte di cassazione ha ritenuto che i contribuenti che presentano la dichiarazione Iva con un ritardo di oltre trenta giorni devono sempre pagare le sanzioni, al di là del grave impedimento. Ciò perché avrebbero potuto delegare l'adempimento a un terzo.

Il fatto
Una contribuente aveva presentato la propria dichiarazione Iva con ritardo superiore a trenta giorni, ossia oltre il periodo di tolleranza previsto dalla normativa, incorrendo così nei relativi provvedimenti sanzionatori derivanti da tale omissione. Impugnando l'atto impositivo, la contribuente si era giustificata sostenendo di essersi trovata nella materiale impossibilità di provvedere alla presentazione della dichiarazione annuale per causa di forza maggiore, documentando lo stato patologico della grave malattia cui era incorsa.
Il ricorso viene accolto dalla Commissione tributaria provinciale e trova, poi, conferma anche in secondo grado. La Ctr giustifica l'inadempienza anche per il fatto che si tratta di un'irregolarità meramente formale.

Ritenendo irrilevanti dette giustificazioni, l'ente impositore propone ricorso per cassazione, censurando la sentenza impugnata per violazione del previgente articolo 37 del Dpr 633/1972 (abrogato con effetto dal 22 settembre 1998 e sostituito dall'articolo 9 del Dpr 322/1998).

Motivi della decisione
La Corte di cassazione, ribaltando le pronunce di primo e secondo grado, accoglie il ricorso dell'Amministrazione finanziaria, in quanto il contesto letterale delle disposizioni contenute nell'articolo 37 della legge Iva non autorizza una diversa interpretazione.

Infatti, la citata norma - che disciplina le modalità di presentazione della dichiarazione annuale Iva - stabilisce, al comma 5, la validità delle dichiarazioni presentate entro trenta giorni dalla scadenza del termine, salvo l'assoggettamento alle sanzioni previste per il ritardo (articolo 43 previgente, che richiede la pena pecuniaria da due a quattro volte l'imposta dovuta), mentre il successivo comma 6 stabilisce inderogabilmente che le dichiarazioni presentate con ritardo superiore a trenta giorni "si considerano omesse a tutti gli effetti", costituendo solo titolo per la riscossione dell'imposta dovuta.
Secondo la Suprema corte, dunque, nessuna attenuante può essere concessa ai contribuenti che presentano la dichiarazione Iva con un ritardo di oltre trenta giorni (cfr Cassazione 14505/2001, 17158/2005 e 4986/2007). Tant'è che, anche nel caso di impedimento assoluto, come la grave malattia, soccorre sempre e soltanto l'irrogazione delle relative sanzioni, senza alcuna eccezione.

Nella stessa normativa che si commenta, il primo comma prescrive (analogamente all'attuale articolo 1, comma 3, Dpr 322/1998) che le dichiarazioni Iva devono essere sottoscritte dal contribuente o da un suo rappresentante legale o negoziale.
La Cassazione ha quindi sancito che l'impedimento assoluto della contribuente non poteva costituire una "scriminante" dell'onere di presentare la dichiarazione annuale entro i termini fissati dalla legge, potendo tale incombenza essere delegata a un altro soggetto (anche per ciò che concerne la sottoscrizione della dichiarazione, ma questo non è in discussione).
Si tratta, infatti, come ribadisce la pronuncia, di un onere che non necessariamente deve essere assolto dalla "persona" del contribuente. Pertanto, lo stato patologico invocato come esimente non può costituire "ragione di deroga" all'applicazione della disciplina sanzionatoria.

Irrilevante, quindi, il personale impedimento fisico della contribuente. Irrilevante anche la circostanza che il ritardo non abbia determinato pregiudizio per gli interessi erariali (vedi Cassazione 25213/2011, in cui si sottolinea che il reato di omessa dichiarazione di cui all'articolo 5, Dlgs 74/2000, si perfeziona nel momento in cui la condizione si verifica, anche se non è voluta dal contribuente stesso).

Del resto, il principio affermato dalla sentenza 13926/2011 non è nuovo, avendo già trovato applicazione in tema di studi di settore, ove la Suprema corte ha ritenuto che la malattia del contribuente non giustifica lo scostamento dalla soglia di congruità (Cassazione 22555/2010).


Fonte: Agenzia Entrate

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