La domanda di pronuncia pregiudiziale fa riferimento al procedimento C-10/10. Il ricorso è stato presentato dalla Commissione europea nei confronti dell’Austria che avrebbe violato gli obblighi sanciti all’articolo 56 CE e 40 dell’accordo sullo spazio economico europeo (SEE) consentendo la deduzione fiscale delle donazioni a favore della ricerca scientifica soltanto a quegli enti stabiliti nel territorio dello Stato austriaco.

La normativa di riferimento
L’articolo 40, dell’Accordo SEE dispone che tra le parti contraenti non vi sono restrizioni ai movimenti di capitali e disparità di trattamento fondate unicamente su nazionalità o residenza e sul luogo di stabilimento dell’attività. A tal proposito l’allegato XII, libera circolazione di capitali, disciplina in maniera giuridica l’assunto con disposizioni sulla libera circolazione di capitali. La normativa nazionale di riferimento è costituita dalla legge 7 luglio 1988 relativa all’imposta sul reddito. L’articolo 4 stabilisce come criterio di calcolo dell’imposta sul reddito l’utile di esercizio con possibilità di dedurre i costi di gestione. Il nuovo articolo 4 punto 1 della legge, modificato dalla riforma tributaria del 2009, contiene un elenco delle donazioni considerate costi di gestione e tra queste figurano le donazioni a favore dell’attività di ricerca scientifica. Sono considerati costi di gestione le donazioni effettuate per pubblicazioni e documentazioni scientifiche in favore di alcuni enti con i requisiti previsti alle lettere d) ed e) dell’articolo e che hanno ricevuto un attestato rilasciato dall’ufficio delle imposte di Vienna. La deducibilità permette di decurtare l’utile nella misura massima del 10% dell’importo corrisposto come donazione.

La fase precontenziosa
Nel maggio 2005 la Commissione europea faceva richiesta all’Amministrazione finanziaria austriaca di conoscere ne dettaglio la normativa sul regime di deduzioni fiscali delle donazioni, ex art. 4, n. 4, punto 5, lett. a)-e), a favore di chi svolge attività di ricerca scientifica. Nella lettera di risposta l’Amministrazione finanziaria precisava che la deduzione fiscale era possibile soltanto se effettuata a favore di Istituti di ricerca stabiliti nel territorio dello Stato. Con lettera di diffida la Commissione europea dapprima comunicava che, a suo parere, la disciplina violava l’articolo 49 CE e in secondo luogo invitava l’Amministrazione finanziaria a esprimersi al riguardo. Per contro l’Austria contestava il riferimento normativo alla disciplina sulla libera prestazione di servizi in quanto le donazioni controverse non rientravano nella tipologia di prestazioni con corrispettivo. Pertanto, non è plausibile l’ammonimento di una violazione di norme sulla libera prestazioni di servizi e tantomeno sulla libera circolazione di capitali. Ciò ha indotto la Commissione europea a ulteriori precisazioni attraverso una seconda lettera di diffida, definita “complementare”, per distinguerla dalla precedente. Nella lettera si dice che il regime delle deduzioni fiscali per le donazioni, di cui alla causa principale, rientra nel quadro di norme comunitarie sulla libera prestazione di servizi e sulla libera circolazione di capitali. E si precisa che per un residente in Austria, ai fini del calcolo delle imposte dovute, non è la stessa cosa effettuare donazioni a istituti di ricerca stabiliti nel territorio nazionale piuttosto che in altri Stati membri. Con parere motivato, la Commissione europea giungeva alla conclusione che l’Austria era venuta meno agli obblighi comunitari e, in particolare, alle disposizioni contenute negli articoli 56 e 40 CE dell’accordo SEE.

La questione pregiudiziale
La questione pregiudiziale in oggetto è giunta davanti alla Corte di giustizia europea a seguito del ricorso presentato dalla Commissione europea. La Commissione chiede di verificare se la disciplina nazionale austriaca, in materia di deducibilità fiscale delle donazioni a istituti di ricerca, così come formulata, possa essere compatibile con le disposizioni comunitarie. Nello specifico, con quanto stabilito dagli articoli 56 CE e 40 dell’accordo sullo spazio economico europeo.

Le argomentazioni delle parti
La Commissione europea imputa all’Austria il mancato rispetto del principio della libera circolazione dei capitali. La non deducibilità delle donazioni a favore di enti di ricerca non stabiliti in Austria si basa su un principio prettamente geografico discriminando l’attività di ricerca in funzione del luogo di stabilimento di chi la esegue. Per contro l’Amministrazione finanziaria austriaca ribadisce che la misura controversa non è lesiva della libera circolazione dei capitali ed è giustificata da motivi di interesse generale. In altre parole, gli istituti a cui è concessa la possibilità di dedurre le donazioni hanno il merito di portare lustro all’Austria attraverso l’attività di ricerca quale motore del sapere e della cultura. Quanto sopra è avvalorato dal fatto che anche gli enti non stabiliti nel territorio nazionale hanno la possibilità di beneficiare della deducibilità delle donazioni ricevute se perseguono fini di interesse generale nel settore delle scienze e dell’economia (articolo 4a, punto 1, lett. a)-d) della legge sull’imposta sul reddito del 1988 e successive modifiche). Pertanto, se si ragionasse con una logica di dare e avere il mancato introito erariale, legato alla deducibilità fiscale delle donazioni, sarebbe compensato dalle risorse supplementari, che la ricerca è in grado di sviluppare e impiegate nell’espletamento di funzioni pubbliche. Un fatto che non sarebbe garantito da enti ed istituzioni non stabiliti in Austria e che comporterebbe, nel caso in cui l’agevolazione fosse egualmente concessa, il rischio di distrarre risorse da destinazioni che avvantaggerebbero la collettività nazionale.

La pronuncia della Corte
L’articolo 56, n. 1, CE dispone il divieto di ogni tipo di restrizione ai movimenti di capitali tra Stati membri e Paesi terzi, anche se non contiene una esatta definizione di cosa debba essere inteso per movimenti di capitali. Il caso di specie tratta della deduzione delle donazioni effettuate con capitale di gestione a favore di enti di ricerca e, in base alla localizzazione dell’istituto di ricerca nel territorio comunitario, si ha un diverso onere fiscale per il soggetto che eroga la donazione. Ovviamente l’onere fiscale sarà minore se la donazione è a favore di un istituto stabilito in Austria e viceversa. Secondo la giurisprudenza della Corte europea affinché una misura come quella protagonista della causa non comporti un problema di discriminazione occorre che tratti in maniera eguale situazioni eguali e in modo differente situazioni differenti. In questi termini la Commissione da una lato afferma che la misura attua una disparità di trattamento di situazioni eguali, mentre l’Austria sostiene che non vi è alcuna disparità di trattamento in quanto gli istituti di ricerca esteri non sono in grado di dare alcun apporto all’interesse generale della nazione. Ma volendo far passare come corretta quest’ultima affermazione è pur vero non è ammissibile non consentire la deduzione fiscale per donazioni a soggetti non residenti. Quindi, in primo luogo i giudici si esprimo ritenendo non giustificabile la misura per il semplice perseguimento di fini di interesse collettivo da parte degli enti di ricerca beneficiari. Quanto alla motivazione, secondo gli eurogiudici, pur volendo ammettere che tale promozione rientri nell’ambito dell’interesse nazionale, resta da dimostrare, quanto la mancata adozione della misura controversa, o meglio il suo impatto sulle casse dello Stato, sia incompatibile con il raggiungimento del decantato interesse. E l’Amministrazione austriaca non lo ha dimostrato.
Secondo i togati comunitari l’Austria ha violato gli obblighi comunitari contenuti, nello specifico, negli articoli 56 del Trattato CE e 40 dell’accordo sullo Spazio economico europeo. In altri termini non può ritenersi ammissibile una normativa di uno Stato membro che limiti la possibilità di beneficiare della deduzione fiscale delle donazioni effettuate a favore di enti o istituzioni stabiliti nello Stato membro. In linea di principio pertanto una normativa nazionale siffatta viola il principio comunitario sulla libera circolazione di capitali.

Fonte: sentenza della Corte UE del 16 giugno 2011, proc. C-10/10

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