La domanda di pronuncia pregiudiziale, sollevata dinanzi alla Corte di Giustizia dalla Corte di Cassazione tedesca, riguarda l’interpretazione dell’articolo 1 della direttiva 2003/49/CE, sul regime fiscale applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni tra società consociate di Stati membri diversi. In particolare la controversia coinvolge l’Amministrazione Finanziaria tedesca e una società a responsabilità di diritto tedesco in ordine alla determinazione della base imponibile per il calcolo dell’imposta sul reddito da attività produttive.

Normativa comunitaria
L’articolo 1, n. 1 della direttiva 2003/49 prevede l’esenzione da ogni imposta per il pagamento degli interessi o dei canoni, tramite ritenuta alla fonte o previo accertamento fiscale a condizione che il beneficiario effettivo degli interessi o dei canoni sia una società di un altro Stato membro o una stabile organizzazione, situata in altro Stato membro, di una società di uno Stato membro. L’esenzione non trova applicazione con riferimento ad alcune ipotesi disciplinate dal n. 10 dell’articolo 1 della direttiva.

Normativa nazionale
In base a quanto previsto dall’articolo 2 della legge relativa all’imposta sulle attività produttive, ogni attività industriale o commerciale è soggetta, oltre che all’imposta sul reddito o sulle società, all’imposta sul reddito delle attività produttive esercitate sul territorio nazionale. Al riguardo, l’articolo 2 precisa che l’attività svolta dalle società di capitali è sempre considerata a tutti gli effetti attività commerciale o industriale. Infine, secondo l’articolo 6 della legge, i redditi da attività produttive e gli utili societari costituiscono la base imponibile di detta imposta.

La controversia e la richiesta del giudice del rinvio
Una società di capitali di diritto tedesco è controllata da un società olandese, sua azionista al 100%. La società controllata ha ottenuto dalla sua controllante un prestito, che la obbliga alla corresponsione di interessi a quest’ultima. La società controllata ha regolarmente versato alla controllante una somma a titolo di interessi e ha dedotto tale importo dai suoi utili a titolo di spese di gestione.
L’Amministrazione finanziaria tedesca ha tuttavia stabilito che la società controllata aveva titolo per fare valere la deduzione degli interessi dagli utili realizzati, esclusivamente nella misura del 50 per cento dell’importo. Pertanto, la società ha proposto ricorso avverso detta decisione, lamentando un contrasto con l’articolo 1 della direttiva 2003/49. Il ricorso veniva respinto; la società ha pertanto proposto ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione tedesca che ha sospeso il giudizio sottoponendo al vaglio pregiudiziale della Corte di Giustizia la seguente questione. In particolare se l’articolo 1 della direttiva 2003/49 sia in contrasto con una normativa in base alla quale gli interessi sui crediti pagati da una impresa avente sede in uno Stato membro a una impresa consociata di uno Stato membro diverso sono computati in capo alla prima impresa per il calcolo della base imponibile dell’imposta sul reddito da attività produttive.

Le valutazioni della Corte
Premesso che, in ossequio alla vigente normativa interna, l’Amministrazione finanziaria tedesca ha inserito nel calcolo della base imponibile dell’imposta sul reddito da attività produttive, computandola tra gli utili, la metà degli interessi versati dalla società controllata tedesca alla sua controllante con sede nei Paesi Bassi, la società controllata ha lamentato il fatto che il calcolo della base imponibile configura in sostanza un assoggettamento a imposta. La conseguenza è che la normativa interna darebbe luogo a una doppia imposizione economica degli interessi, incompatibile in quanto tale, con l’articolo 1 della direttiva 2003/49.
Al riguardo, la Corte precisa che la direttiva è diretta alla eliminazione delle doppie imposizioni per quanto attiene al pagamento di interessi e di canoni, effettuati tra società consociate di Stati membri diversi, e a stabilire che tali pagamenti siano assoggettati una sola volta ad imposizione in un unico Stato membro.
Tuttavia, l’articolo 1 della direttiva 2003/49 , diretto ad evitare una doppia imposizione giuridica dei pagamenti di interessi transfrontalieri, vietando l’assoggettamento a imposta degli interessi nello Stato membro di origine a danno del loro effettivo beneficiario, trova applicazione esclusivamente con riferimento alla posizione tributaria del creditore degli interessi.
Detto regime pertanto, non trova applicazione con riferimento al soggetto debitore di tali interessi.
Pertanto, la normativa interna oggetto del vaglio della Corte, non comporta una diminuzione del reddito del creditore, non assoggettando il beneficiario degli interessi ad alcuna imposizione. Tale normativa si riferisce esclusivamente alla determinazione della base imponibile relativa all’imposta sul reddito da attività produttive, cui è soggetto il debitore degli interessi versati.
Inoltre, la disposizione recata dall’articolo 1 della direttiva 2003/49 non contempla le modalità del calcolo della base imponibile di chi corrisponde gli interessi.
La Corte osserva anche che le regole relative alla deducibilità di alcune spese in tema di determinazione della base imponibile di chi corrisponde degli interessi, sono espressione della politica tributaria di ogni Stato membro. Pertanto, in mancanza di una espressa previsione al riguardo, l’ambito applicativo dell’esenzione riconosciuta dall’articolo 1 della direttiva 2003/49 non può estendersi al di là di quanto previsto da tale ultima disposizione.

Le conclusioni
La Corte conclude affermando che l’articolo 1, n. 1, della direttiva 2003/49, deve essere interpretato nel senso che non osta a una disposizione di diritto interno in base alla quale gli interessi relativi a un prestito, versati da una società con sede in uno Stato membro a una società consociata con sede in uno Stato membro diverso, siano computati nella base imponibile dell’imposta sul reddito da attività produttive cui è soggetta la prima società.


Fonte: Agenzia Entrate

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