Con la sentenza 14041 del 27 giugno, la Corte di cassazione ha fornito alcuni elementi interpretativi sulla presunzione di redditività dei conti bancari (articolo 32, comma 1, n. 2), Dpr 600/1973) che, come noto, prevede l’imputazione a reddito imponibile (di impresa o di lavoro autonomo) delle somme rinvenute sulle movimentazioni dei conti bancari riferibili al contribuente, sia in addebito che in accredito, delle quali non sia stata fornita giustificazione in contraddittorio con l’ufficio.

Tale presunzione, osserva la sentenza, riguarda sia le imprese che i lavoratori autonomi, anche per l’accertamento delle annualità che precedono la modifica portata all’articolo 32 dalla legge 311/2004, nella parte in cui ha aggiunto al termine “ricavi” la parola “compensi”; è comunque ritenuta dalla giurisprudenza della Corte di cassazione espressione di un principio generale in materia di accertamento anche per le annualità anteriori al 2005 (Cassazione, sentenza 11750/2008, ha ritenuto irrilevante la circostanza che l’articolo 32 usasse l’espressione “ricavi”: la presunzione è rivolta alla generalità dei contribuenti, compresi i professionisti).

L’articolo 32, n. 2), del Dpr 600/1973 dispone, nella sua attuale formulazione, che “sono altresì posti come ricavi o compensi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni”.
Nella formulazione precedente, in vigore fino al 31 dicembre 2004, la norma in esame prevedeva i soli “ricavi” come oggetto del controllo, ingenerando dubbi interpretativi sulla possibilità di estendere tale forma di controllo anche ai lavoratori autonomi i quali, invece, percepiscono “compensi”. Per fugare ogni dubbio al riguardo, la legge 311/2004 ha modificato l’articolo 32, che dunque, nella sua versione attuale, comprende “ricavi” e “compensi”.

Si riporta di seguito quanto affermato in motivazione dalla sentenza 14041/2011 della Cassazione: “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la presunzione, di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, secondo cui sia i prelevamenti sia i versamenti operati sui conti correnti bancari vanno imputati ai ricavi conseguiti dal contribuente nella propria attività, se questo non dimostra di averne tenuto conto nella base imponibile oppure che sono estranei alla produzione del reddito - ha portata generale (nonostante l’utilizzo, nella versione applicabile ratione temporis, dell’accezione ricavi e non anche di quella compensi) ed è applicabile, non solo al reddito di impresa, ma anche al reddito da lavoro autonomo e professionale (Cfr. Cass. 11750/08, 430/08, 4601/02)”.

In termini descrittivi, sulla natura giuridica degli accertamenti fondati sulla presunzione derivante dall’esame dei conti bancari, la giurisprudenza ritiene che dagli stessi sorga una presunzione cosiddetta legale, poiché è il citato articolo 32, n. 2), del Dpr 600/1973, ad attribuire rilevanza all’esame dei conti, cui non sia data giustificazione in contraddittorio da parte dell’interessato. Come affermato in un precedente della Cassazione: “l’inversione dell’onere della prova, iscritta espressamente in tale norma, è infatti tipico ed unico effetto della praesumptio juris”(Cassazione, 11750/2008).

Inoltre, la presunzione, oltreché legale, è altresì “relativa”. In proposito, se dall’esame dei conti correnti risultano “dati ed elementi” precedentemente non contabilizzati, ciò equivale a prova legale circa la presumibile esistenza di maggiori redditi non dichiarati. Grava sul contribuente l’onere di dimostrare che di detti ricavi “… ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine …”. Analogamente, costituiscono ricavi non dichiarati i prelevamenti annotati nei medesimi conti e non contabilizzati “… se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario …”. La presunzione di avere conseguito maggiori redditi attraverso i prelievi non giustificati dà luogo a una “doppia presunzione” poiché ciò presume l’esistenza di costi in nero dai quali conseguono ricavi non dichiarati.
Poiché la prova in oggetto è di fonte “legale”, l’elemento di prova offerto dall’amministrazione non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’articolo 2729 codice civile per le presunzioni semplici (cfr, Cassazione 21180/2008), potendo quest’ultima semplicemente allegare l’esistenza delle movimentazioni bancarie non giustificate, a differenza di altre tipologie di accertamento (come gli accertamenti cosiddetti standardizzati basati su parametri e studi di settore), in cui i caratteri cosiddetti “qualificanti” della prova sono “ricavabili solo dalla concorrenza univoca di altri elementi ….” (Cassazione, sentenza 11750/2008).

Infine, anche se si tratta di conti non formalmente intestati al contribuente, essi possono essere riferibili a quest’ultimo. In tal senso, la presunzione di redditività delle movimentazioni bancarie è stata altresì ritenuta operante nelle società a ristretta partecipazione, spesso a base familiare, ritenendo che i conti personali dei soci fossero fondatamente riferibili alla società. In ogni caso, “nell’effettuazione di indagini bancarie valide ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi, l’utilizzo dei movimenti effettuati sui conti correnti bancari dei soci implica che l’Amministrazione finanziaria provi, anche tramite presunzioni (come già sopra evidenziato), il carattere fittizio dell’intestazione o la riferibilità alla società delle operazioni, mentre spetta al contribuente fornire la prova contraria”(Cassazione, 9162/2011).


Fonte: Agenzia Entrate

0 commenti:

 
Top