La circolare n. 7/E del 28 febbraio rappresenta, probabilmente, il più organico intervento interpretativo fin qui operato dall’Agenzia delle Entrate sulla fiscalità delle società che adottano i principi contabili internazionali. La denominazione del documento di prassi (“Le regole di determinazione del reddito dei soggetti tenuti alla adozione dei principi contabili internazionali IAS/IFRS) si accompagna a una “parte generale” che avrebbe potuto far presagire a una mera ricognizione della materia. Soprattutto avendo riguardo alla ponderosità dei contributi arrivati dalla dottrina - pur limitandosi a quelli post-2008, quando si è virato verso la “derivazione rafforzata” - e ai dubbi da questa sollevati.

E invece la circolare n. 7/E, oltre a chiudere i conti con il passato, intendendo per tale l’era della neutralità sotto l’imperio del Dlgs 38/2005, quando affronta i temi attuali, vale a dire il nuovo impianto normativo ridisegnato dalla Finanziaria 2008, lo fa in maniera chiara, asciutta, non disdegnando di chiarire alcuni di quei dubbi interpretativi che tanto avevano fatto scrivere. A partire dalla “dichiarazione d’intenti” espressa a proposito delle modalità con cui saranno effettuati i controlli:
l’Amministrazione finanziaria ridetermina l’imponibile applicando i corretti criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione, se la rappresentazione contabile dei fatti di gestione adottata in bilancio non è conforme agli Ias/Ifrs
l’Amministrazione finanziaria potrà sindacare le opzioni adottate che, sulla base di specifici fatti e circostanze, risultino finalizzate al conseguimento di indebiti vantaggi fiscali, qualora i principi contabili internazionali consentano di effettuare scelte meramente discrezionali senza prevedere un criterio direttivo.

La corretta applicazione dei principi contabili internazionali
Possibile aumento del contenzioso e peggioramento nei rapporti Fisco-imprese. Timori ripetutamente evidenziati, per scongiurare i quali si avallava la tesi per cui la verifica della corretta applicazione dei principi contabili internazionali non dovesse spingersi troppo oltre.

Una conclusione a sostegno della quale si è portato anche quanto dalla stessa Amministrazione finanziaria era stato affermato: “…la normativa fiscale nulla dispone riguardo ai poteri dell'Amministrazione finanziaria di sindacare le valutazioni civilistiche … Qualora l’impresa non si attenga alle previsioni civilistiche … si può affermare, in via di principio, che l’Amministrazione non è legittimata ad entrare nel merito delle valutazioni operate in sede civilistica e dovrà pertanto attenersi alle risultanze di bilancio. Tuttavia, se, successivamente all'approvazione, il bilancio viene riconosciuto falso in sede giudiziaria e dalla declaratoria del giudice emerge materia imponibile non si può escludere un’azione accertatrice di detto maggior reddito”. Era il 1994 (circolare n. 73/E).

Erano, si può affermare, altri tempi. Non perché siano mutate norme e sensibilità sul tema delle verifiche alle società, bensì perché, in un certo senso, è cambiato il Tuir. Un cambiamento che ha interessato i soggetti Ias, per i quali il riconoscimento fiscale delle qualificazioni, delle classificazioni e delle imputazioni temporali operate in bilancio non può che significare una compenetrazione, di fatto, dei principi contabili internazionali nelle disposizioni tributarie.

Le cose magari cambieranno con i decreti, del ministero della Giustizia e del Mef, previsti dall’ultimo “milleproroghe” per fare da diaframma fra l’adozione di un principio contabile e la sua immediata applicabilità ai bilanci d’esercizio e, soprattutto, per regolarne le conseguenze fiscali. Se ciò accadrà, saranno fatte le opportune valutazioni. Nel frattempo, la circostanza per cui le disposizioni degli Ias/Ifrs potrebbero, idealmente, fare un tutt’uno con le norme del Tuir, come se fossero scritte al suo interno, è incontrovertibile.

Il passaggio alla derivazione rafforzata ha significato una differente tassazione dei componenti di reddito, non più legata all’aspetto giuridico-formale, su cui si appoggia il Tuir “comune”, ma alla sostanza economica a essi attribuita dagli Ias/Ifrs. Sarebbe ancora sostenibile l’affermazione per cui il bilancio, che fa norma fiscale, non è sindacabile?

E’ inutile negare il fatto che i mal di pancia più forti saranno provocati dalla parte della circolare in cui è stato scritto che qualora i principi contabili internazionali consentano di effettuare scelte meramente discrezionali senza prevedere un criterio direttivo, l’Amministrazione finanziaria potrà sindacare le opzioni adottate che, sulla base di specifici fatti e circostanze, risultino finalizzate al conseguimento di indebiti vantaggi fiscali.
In realtà, a ben vedere, la puntualizzazione altro non è che un corollario del principio, sopra esposto, per cui la corretta applicazione degli Ias/Ifrs è sindacabile, eccome.

L’Agenzia delle Entrate ha fatto riferimento a “specifici fatti e circostanze”, a “indebiti vantaggi fiscali” e soprattutto “a scelte meramente discrezionali senza criterio direttivo”.
Evitando di tralasciare il fatto che nessuna ipotesi specifica è stata portata ad esempio e che l’affermazione può anche assumere la forma di un “avviso ai naviganti”, di principio, non va dimenticato che la finalità del bilancio Ias è quella di fornire informazioni utili a un’ampia serie di utilizzatori, in grado, cioè, di influenzare le loro decisioni economiche, aiutandoli a valutare gli eventi passati, presenti o futuri oppure a confermare o correggere precedenti valutazioni. Finalità a cui si piega tutto l’impianto degli Ias/Ifrs. Tanto che è addirittura prescritta la non applicazione di una disposizione contenuta in principio contabile quando, la stessa “sarebbe così fuorviante da essere in conflitto con le finalità del bilancio…”.

Anche quando gli Ias/Ifrs aprono diverse strade, lo fanno, perciò, sempre per garantire l’utilità dell’informazione. L’attendibilità del bilancio.

Tanto premesso, può mai essere attendibile un bilancio nel quale un’operazione è rappresentata sulla base di una mera “convenienza fiscale”? Non sarebbe, forse, una non corretta applicazione dei principi contabili internazionali? In caso di risposta affermativa, si accetti la censurabilità e la correggibilità della scelta fatta dal redattore del bilancio.
Senza cadere nella tentazione di agitare spettri, quali l’abuso del diritto, che poco c’entrano. Ne soffrirebbe proprio quel rapporto Fisco-imprese che, viene detto, si vuole proteggere da logoramenti.


Fonte: Agenzia Entrate

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