Le somme dovute a titolo di interessi moratori, se formano oggetto di condanna contenuta in un provvedimento giudiziale, sono assoggettate all’imposta proporzionale di registro, anche quando riguardano una somma capitale soggetta a Iva, dovendosi differenziare il trattamento fiscale della sorte capitale e degli interessi di mora, visto che quest’ultimi sono espressamente esclusi dal campo di applicazione dell’Iva in forza dell’articolo15 del Dpr 633/1972.
A ribadirlo è la Corte di cassazione con la sentenza n. 21775 del 15 ottobre 2014.


Il fatto
Il contenzioso in esame riguarda un avviso di liquidazione, scaturente dalla registrazione di una sentenza del tribunale civile di Roma, con cui l’ufficio applicava l’aliquota del 3% prevista dall’articolo 8, lettera b), della tariffa parte I allegata al Dpr 131/1986, sugli interessi maturati dalla domanda al saldo, mentre la somma capitale, oggetto della condanna, non veniva tassata perché rientrante nel campo di applicazione dell’Iva.
In particolare, la sentenza, oggetto di registrazione, riguardava un’azione di revocatoria fallimentare promossa nei confronti della società accertata, quale intermediario finanziario.
Concluso il giudizio civile, l’ufficio liquidava l’imposta di registro applicando l’aliquota del 3%, prevista dal citato articolo 8, lettera b), agli interessi moratori maturati sulle somme oggetto di condanna.

Adita la competente autorità giudiziaria, la società eccepiva che gli interessi moratori, essendo meri accessori dell’obbligazione principale, andavano tassati con le medesime modalità del capitale, pertanto andava esclusa l’applicazione dell’imposta di registro in misura proporzionale.
Tale assunto trova l’avallo dei giudici di merito che, sia in primo sia in secondo grado, respingono le doglianze dell’ufficio e ammettono l’applicazione dell’imposta di registro in misura fissa, trattandosi di operazione di finanziamento soggetta a Iva.

Da qui, il ricorso per cassazione affidato a un unico motivo, con cui l’Agenzia deduce violazione e falsa applicazione degli articoli 40 e 8, lettera b), tariffa, parte I allegata, Dpr 131/1986, e dell’articolo 15, Dpr 633/1972.
A parere dell’ufficio, infatti, le somme dovute a titolo di interessi moratori, non concorrendo a formare la base imponibile ai fini Iva, vanno assoggettate all’imposta di registro in misura proporzionale, anche se riguardano una somma capitale sottoposta a Iva.
La società resiste con controricorso.

Decisione e osservazioni
A parere della Corte, la norma cui deve essere ricondotta la fattispecie in esame, non è quella di cui alla lettera e) dell’articolo 8, comma 1, della tariffa, parte prima allegata al Dpr 131/1986, come erroneamente sostenuto dalla società, bensì quella di cui all’articolo 8, lettera b), alla stregua del quale sono da assoggettare a imposta proporzionale gli atti dell’autorità giudiziaria “recanti condanna al pagamento di somme o valori, ad altre prestazioni o alla consegna di beni di qualsiasi natura”.

Oggetto della tassazione, nel caso in esame, non è stata la sorte capitale della condanna, rientrante nel campo di applicazione dell’Iva, ai sensi dell’articolo 10, Dpr 633/1972, piuttosto quanto dovuto a titolo di interessi moratori che, avendo natura risarcitoria, sono espressamente esclusi dall’Iva, ai sensi dell’articolo 15, comma 1, Dpr 633/1972.
Tale assunto, sottolinea la Corte, è confermato dal più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui le somme dovute a titolo di interessi moratori, ove formino oggetto di condanna contenuta in un provvedimento giudiziale, sono assoggettate all’imposta proporzionale di registro, anche quando riguardano una somma capitale soggetta a Iva; difatti, sottolineano i giudici, va differenziato il trattamento fiscale della sorte capitale e degli interessi di mora, perché questi sono espressamente esclusi dal campo di applicazione dell’Iva, in forza dell’articolo 15 del Dpr 633/1972.

In particolare, nella sentenza 12906/2007, i giudici di legittimità, superando il precedente indirizzo formatosi in materia (cfr Cassazione 2696/2003 e 3572/1998), hanno espressamente riconosciuto che la ratio del principio di alternatività fissato dal Dpr 131/1986, articolo 40, è quella di evitare che siano assoggettate all’imposta proporzionale di registro somme già colpite dall’Iva, con conseguente duplicità di imposizione. È evidente che “tale esigenza non ricorre quanto agli interessi moratori, che devono ritenersi assoggettati all’imposta proporzionale di registro, anche quando riguardino una somma capitale soggetta ad Iva”.
Stesso contenuto e stessa conclusione anche nella sentenza 4748/2006, dove si chiarisce che “il disposto del Dpr n. 633 del 1972, articolo 15, esenta dalla base imponibile Iva gli interessi moratori e le altre penalità (con conseguente applicabilità ad essi dell’imposta proporzionale di registro del 3% a sensi dell’articolo 8 di tariffa)”.

Fatte queste premesse, la Corte ritiene che l’ufficio abbia legittimamente ripreso a tassazione gli interessi moratori maturati sull’obbligazione principale, in virtù dell’articolo 8, lettera b), della tariffa, parte prima, allegata al Dpr 131/1986, che assoggetta a imposta proporzionale del 3% gli atti dell’autorità giudiziaria “recanti condanna al pagamento di somme o valore, ad altra prestazioni o alla consegna di beni di qualsiasi natura”.

Al riguardo, peraltro, si ritiene che non possano esservi dubbi circa la corretta qualificazione degli interessi in parola quali interessi moratori ex articolo 1224 del codice civile, in quanto, la sentenza oggetto di tassazione condanna il debitore al pagamento degli interessi a decorrere dalla domanda giudiziale. Tali interessi, liquidati dal giudice, hanno la funzione di ristorare il danno derivante dal ritardo nell’adempimento dell’obbligazione di dare (e cioè di restituzione) gravante sul debitore.
In definitiva, la non imponibilità degli interessi moratori ai fini Iva, ex articolo 15, ne legittima la sottoposizione a imposta di registro in misura proporzionale, in omaggio al principio di alternatività dell’Iva, ex articolo 40, Dpr 131/1986, secondo cui “per gli atti relativi a cessioni di beni e prestazioni di servizi soggetti all’imposta sul valore aggiunto, l’imposta si applica in misura fissa”.
Privo di pregio, invece, l’assunto dei giudici di merito che, argomentando sulla natura finanziaria dell’operazione, hanno ammesso, errando, la tassazione in misura proporzionale di interessi con chiara finalità risarcitoria.


Fonte: Agenzia Entrate

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