La disciplina antielusiva, che consente di imputare a un soggetto il reddito di cui è formalmente titolare un altro, meramente interposto, non presuppone necessariamente un comportamento fraudolento da parte del contribuente, essendo sufficiente un uso improprio, ingiustificato o deviante di un legittimo strumento giuridico atto a eludere l’applicazione del regime fiscale che costituisce il presupposto d’imposta.
Il principio è stato sancito dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 21794 del 15 ottobre 2014.

Il fatto
La controversia trae origine dall’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate per il recupero a tassazione della plusvalenza realizzata sulla cessione a titolo oneroso di un terreno edificabile, acquisito per donazione solo tre mesi prima della vendita.
A parere dell’ufficio, la donazione dell’immobile a favore del coniuge e delle figlie ravvisava un’operazione elusiva perché le donanti erano da ritenere soggetti meramente interposti.

Avverso l’atto de qua proponevano ricorso gli eredi del donante, nel frattempo deceduto, accolto sia in sede di primo grado sia in appello.
In particolare, la Commissione tributaria regionale aveva sancito che la donazione e la successiva vendita immobiliare fossero legittime e perfettamente opponibili al Fisco precisando, altresì, che il solo risparmio di imposta, indubbiamente ottenuto dal contribuente, non fosse elemento sufficiente a ritenere le operazioni elusive.

L’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione, lamentando violazione e falsa applicazione dell’articolo 37, comma 3 del Dpr 600/1973.
In tale sede, l’Amministrazione finanziaria ha chiesto alla Corte di giudicare errata in diritto la sentenza di secondo grado, nel punto in cui non ha riconosciuto la strumentalità della donazione dei terreni, posta in essere al solo fine di evitare il pagamento delle imposte gravanti sulla plusvalenza maturata, e ritenere così applicabile le disposizioni antielusive di cui all’articolo 37, comma 3, Dpr 600/1973.
Esaminati gli atti, la suprema Corte ha deciso per l’accoglimento dei motivi di ricorso dell’Agenzia delle Entrate, disponendo la cassazione con rinvio della sentenza impugnata.

La fattispecie
Prima della modifica del Testo unico delle imposte sui redditi, disposta con l’articolo 1 del Dlgs 344/2003, gli effetti fiscali delle operazioni di cessione a titolo oneroso di terreni edificabili erano disciplinati dall’articolo 81 del Dpr 917/1986 (sostituito, a decorrere dall’1 gennaio 2004, dall’articolo 67).
La lettera b) del comma 1, nel testo vigente ratione temporis, considerava redditi diversi – se non conseguiti nell’esercizio di arti e professioni, di imprese commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice, né in qualità di lavoratore dipendente – le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni “esclusi quelli acquisiti per successione o donazione”.

La decisione
La decisione dei giudici della Suprema corte ha preso le mosse dal principio affermato dalla Commissione tributaria regionale, secondo cui la donazione dell’immobile da parte del contribuente a favore dei propri familiari costituiva un’operazione legittima.
Secondo i giudici d’appello, inoltre, l’esclusiva finalità del risparmio d’imposta, ammessa dalla normativa fiscale, non può costituire elemento sufficiente a presumere che l’operazione sia elusiva.

Di diverso parere i giudici di legittimità, secondo i quali l’intera operazione, costituita dalla sequenza donazione-vendita, appare in contrasto con la corretta interpretazione dell’articolo 37, comma 3, del Dpr 600/1973, che testualmente recita: “in sede di rettifica o di accertamento d’ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l'effettivo possessore per interposta persona”.
Secondo la Cassazione, la disciplina antielusiva “non presuppone necessariamente un comportamento fraudolento da parte del contribuente, essendo sufficiente un uso improprio, ingiustificato o deviante di un legittimo strumento giuridico, che consenta di eludere l’applicazione del regime fiscale che costituisce il presupposto d’imposta”.

Alla luce di principio, pertanto, si può attuare lo scopo elusivo anche con operazioni effettive e reali, quali una donazione e una successiva vendita immobiliare, se è accertata la sussistenza di elementi di fatto idonei a costituire presunzioni dotate dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, tanto che si possa ritenere “provata la finalità elusiva del complessivo, artificioso meccanismo negoziale adottato” (cfr Cassazione 25671/2013).

Nel caso di specie, l’Amministrazione finanziaria aveva raccolto una serie di elementi idonei a ravvisare lo scopo elusivo delle operazioni, primo tra i quali la vicinanza temporale tra i due atti (vendita disposta a soli tre mesi dalla donazione).
Altri elementi indiziari in tal senso erano il fatto che l’acconto del prezzo, pari a oltre due terzi del corrispettivo, fosse stato percepito direttamente dal donante e non, come sarebbe stato logico ritenere, dalle venditrici-donatarie e che tale somma fosse stata poi trasferita, senza apparente giustificazione, a favore delle donatarie prima della stipula dell’atto di vendita.
Siffatti elementi hanno fatto correttamente presumere che il contribuente abbia utilizzato strumenti giuridici perfettamente legittimi in modo improprio e ingiustificato, al solo scopo di eludere l’applicazione del regime fiscale costituente il presupposto d’imposta.


Fonte: Agenzia Entrate

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