Contro il diniego dell’Amministrazione di procedere all’esercizio del potere di autotutela può essere proposta impugnazione soltanto per dedurre eventuali profili d’illegittimità del rifiuto e non per contestare la fondatezza della pretesa erariale.
A ribadirlo, la Corte di cassazione con l’ordinanza 23628 del 5 novembre 2014.

Vicenda processuale
Il contenzioso origina dall’impugnazione di un diniego di autotutela emesso dall’Amministrazione finanziaria su istanza di un contribuente che lamentava l’illegittimità dell’avviso di liquidazione, con cui gli era stata revocata l’agevolazione “prima casa”.
In particolare, il contribuente aveva prospettato all’ufficio l’opportunità di uno sgravio, visto che la parte acquirente aveva provveduto al pagamento delle somme, oggetto di rettifica.
Interessata della questione, la Ctr ha declarato l’inammissibilità del ricorso.
Di poi, il ricorso per cassazione del contribuente, articolato in due motivi: violazione del principio della doppia imposizione, posto che il pagamento dell’importo rettificato da parte della società alienante avrebbe determinato una duplicazione d’imposta, e violazione dell’articolo 19 del Dlgs 546/1992.

Decisione
La Corte ha rigettato il ricorso, ricordando il principio di diritto, fortemente consolidato in ambito giurisprudenziale, secondo cui, in tema di autotutela, è possibile adire il giudice tributario soltanto per dedurre eventuali profili d’illegittimità del rifiuto e non per contestare la fondatezza della pretesa.
In particolare, si legge nella sentenza, “il contribuente che richiede all’Amministrazione finanziaria di ritirare in via di autotutela un avviso di accertamento divenuto definitivo, non può limitarsi a dedurre eventuali vizi dell’atto medesimo, la cui deduzione deve ritenersi definitivamente preclusa, ma deve prospettare l’esistenza di un interesse generale dell’Amministrazione alla rimozione dell’atto”.

Osservazioni
La decisione in rassegna si inserisce nel solco di quell’orientamento giurisprudenziale, per altro maggioritario, propenso ad ammettere l’impugnabilità del diniego di autotutela per i soli vizi di legittimità del rifiuto, senza possibilità alcuna, per il giudice, di sindacare la fondatezza della pretesa.

A tal proposito, la Corte di cassazione ha riconosciuto da sempre “la giurisdizione tributaria anche in ordine alle impugnazioni proposte avverso il rifiuto espresso o tacito della Amministrazione a procedere ad autotutela”, considerato che alla stessa sono attribuiti, ai sensi dell’articolo 2 del Dlgs 546/1992, tutti i giudizi aventi a oggetto “i tributi di ogni genere e specie” (cfr Cassazione, sezioni unite, 16776/2005 – tale orientamento è stato confermato dalle sezioni con le successive sentenze 2870/2009, 3698/2009, 7388/2007 e 9669/2009, nonché dalla sezione tributaria con sentenza 15451/2010 e ordinanza 22866/2011).

Dopo aver statuito sulla giurisdizione, la giurisprudenza di legittimità ha delimitato, altresì, l’oggetto del giudizio, stabilendo che “avverso l’atto con il quale l’Amministrazione manifesta il rifiuto di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo divenuto definitivo non è esperibile un’autonoma tutela giurisdizionale” (cfr Cassazione 11457/2010 e 18807/2010).

Il contribuente non può presentare ricorso avverso un diniego dell’ufficio che sia meramente confermativo della pretesa tributaria, al solo fine di contestare la pretesa erariale.
Difatti, il sindacato della Commissione tributaria non può estendersi fino alla valutazione della fondatezza dell’originaria pretesa tributaria, essendo precluso al giudice di procedere all’annullamento degli atti non impugnati ritualmente (cfr Cassazione 1219/2011 e 12930/2013).
Tale conclusione si giustifica in ragione sia della natura discrezionale propria dell’esercizio dell’autotutela sia del principio della certezza dei rapporti giuridici, che non consente di rimettere in discussione davanti al giudice la pretesa tributaria contenuta in atti definitivi (cfr Cassazione 11127/2012).

In sede giudiziale può effettuarsi esclusivamente un sindacato sul corretto esercizio del potere dell’Amministrazione, “nell’ambito della legittimità dell’operato … e non del merito, non essendo ammissibile la sostituzione del giudice tributario all’Amministrazione nell’adozione di un atto di autotutela” (cfr Cassazione 26313/2010 e, in tal senso, anche Cassazione 10020/2012, 7687/2012 e 15451/2010).

In pratica, l’impugnabilità dell’atto di diniego dell’autotutela è ammissibile solo per far valere vizi propri del medesimo atto (ad esempio, perché sottoscritto da soggetto non legittimato o perché fondato su motivi contraddittori) oppure perché fondato su una motivazione nuova o integrativa rispetto a quella contenuta nell’atto contestato. Diversamente, si eluderebbe il termine perentorio di 60 giorni per la proposizione del ricorso, relativamente breve, in quanto l’ordinamento ha voluto favorire comunque il consolidamento e la stabilità di situazioni giuridiche soggettive, anche a prescindere dall’eventuale illegittimità del relativo atto e presupposto procedimento.


Fonte: Agenzia Entrate

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