Nell’ipotesi in cui due soci cedano a un terzo, contestualmente, parte della loro partecipazione sociale, configurandosi un’ipotesi di collegamento negoziale, l’imposta di registro è dovuta su ciascun singolo trasferimento.
È quanto si desume dall’ordinanza n. 23518 del 5 novembre 2014 della Corte di cassazione.

La vicenda processuale
La controversia trae origine dall’impugnazione di un avviso di liquidazione con il quale l’Agenzia delle Entrate aveva rideterminato la maggiore imposta di registro su un atto con cui due soci di una Snc avevano ceduto, ciascuno, il 10% della propria quota di partecipazione nei confronti del medesimo cessionario.

La pretesa fiscale veniva inizialmente delegittimata dalla Commissione tributaria provinciale, la quale, in applicazione dell’articolo 11 della tariffa allegata al Dpr 131/1986, riteneva l’operazione sottesa riguardante la negoziazione di quote di partecipazione in società, soggetta a unica imposta di registro in misura fissa.

Il verdetto veniva rovesciato in sede d’appello, dove la Commissione regionale, facendo leva sull’articolo 21 del Testo unico del registro, escludeva la sussistenza di un vincolo di consequenzialità, ritenendo che le singole operazioni autonomamente identificabili, scontassero ciascuna distintamente l’imposta di registro.

La decisione veniva impugnata dai contribuenti in Cassazione, la quale si pronunciava definitivamente a favore dell’ufficio finanziario.

La pronuncia della Cassazione
Nel rigettare il ricorso del contribuente, i giudici di merito, configurando nel caso di specie un’ipotesi di collegamento negoziale, hanno ritenuto ciascun trasferimento, retto da una propria causa giuridica distinta, autonomamente assoggettabile a imposta di registro.

Osservazioni
L’articolo 21 del Tur, nello stabilire il regime tributario di registro applicabile nel caso in cui l’atto contenga più disposizioni, detta il criterio distintivo tra tassazione unica e tassazione separata delle singole disposizioni, individuandolo – in linea con il principio generale della tassazione secondo l’intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto, a prescindere dal nomen iuris adoperato (articolo 20, Tur) – nella sussistenza o meno della circostanza che le disposizioni derivino “…necessariamente per la loro intrinseca natura le une dalle altre”, attribuendo rilevanza al nesso causale intercorrente tra le disposizioni stesse.
Nelle ipotesi di negozio complesso, pertanto, contrassegnato da una causa unica, in cui le disposizioni derivano necessariamente, per loro intrinseca natura, le une dalle altre, si applicherà un’unica imposta di registro. Là dove nel collegamento negoziale, distinti e autonomi negozi si riannodano a una fattispecie complessa pluricausale, scontando ciascuno autonoma tassazione.

La giurisprudenza di legittimità, in detto contesto, ha specificato che le disposizioni soggette a tassazione unica sono soltanto quelle tra le quali intercorre, in virtù della legge o per esigenza obiettiva del negozio, e non per volontà delle parti, un vincolo di connessione o compenetrazione, immediata e necessaria: occorre cioè che sussista tra le convenzioni, ai fini della tassazione unica, un collegamento che non dipenda dalla volontà delle parti, ma sia con carattere di oggettiva causalità, connaturato, come necessario giuridicamente e concettualmente alle convenzioni stesse.

La suprema Corte, con riguardo alla fattispecie esaminata, ha dunque ribadito, confermando documenti di prassi in tal senso (si veda la risoluzione 225/E del 2008) che le cessioni di più quote sociali da parte di più alienanti, benché per motivi di tecnica redazionale dell’atto siano contenute in un unico documento, conservano una propria e autonoma rilevanza giuridica, in quanto si tratta di distinte disposizioni negoziali non necessariamente derivanti le une dalle altre. Ognuna di esse rileva, ai sensi dell’articolo 21, primo comma, del Tur, autonomamente ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro.

Non è pertanto corretta l’impostazione del contribuente, per cui nella specie l’atto si sarebbe risolto in una modifica statutaria, sicché si sarebbe dovuto considerare in maniera unitaria.
Invero, lo stesso articolo 2252 del codice civile connette l’effetto della modificazione del contratto sociale, invocato dalla contribuente, non già alle cessioni di quota, bensì al consenso di tutti i soci. Tale consenso non incide sul perfezionamento e sulla validità del negozio di cessione, ma opera come una condicio iuris per l’opponibilità del trasferimento della quota sociale alla società.
Dunque, deve considerarsi corretto, quanto statuito dai giudici di merito per cui “la modificazione del contratto sociale è effetto connesso ad autonoma manifestazione di volontà, data dal consenso dei soci, del tutto estranea e comunque logicamente e cronologicamente successiva al contratto di cessione di una o più quota”.

Né a conclusioni diverse conduce l’invocato articolo 11 della Tariffa allegata al Tur, in base al quale, per gli “atti pubblici e scritture private autenticate aventi per oggetto la negoziazione di quote in partecipazione in società”, deve essere corrisposta l’imposta di registro in misura fissa. Considerato quanto altresì specificato nella risoluzione sopra citata “la ratio sottesa all’articolo 11 della tariffa, tesa ad assoggettare a tassazione l’atto di trasferimento delle quote sociali indipendentemente da ogni valutazione in ordine all’effettiva capacità contributiva delle parti contraenti – con conseguente applicazione dell’imposta di registro in misura fissa – non legittima una deroga ai principi generali dettati in materia di interpretazione degli atti che contengono più disposizioni, la cui disciplina si ricava dal combinato disposto degli articoli 20 e 21 del Tur”.

Da tali premesse è derivato il rigetto del ricorso proposto dal contribuente con conseguente condanna alla spese del giudizio.


Fonte: Agenzia Entrate

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