L’avviso con il quale l’Amministrazione finanziaria provvede al recupero di un credito d’imposta può essere legittimamente emanato anche prima del decorso del termine di sessanta giorni previsto dall’articolo 12, comma 7, della legge 212/2000. Il mancato rispetto della disposizione in questione, in assenza di particolare e motivata urgenza, determina la nullità dell’avviso di accertamento o di liquidazione, ma non dell’avviso di recupero del credito, essendo quest’ultimo un atto propedeutico all’emissione del successivo atto impositivo, nei cui confronti il legislatore non ha previsto una tale sanzione di invalidità.
Questo il principio confermato dalla Corte di cassazione con la sentenza 4687 del 23 marzo.

Il fatto
La controversia trae origine dal ricorso presentato da un contribuente avverso un avviso di recupero di credito d’imposta per incremento occupazionale (ex legge 388/2000) indebitamente utilizzato.
La Commissione tributaria regionale, confermando quanto già dichiarato in sede di ricorso di prime cure, rigettava il ricorso di parte sulla base dell’assorbente motivo per cui al caso non fosse applicabile il termine di cui all’articolo 12, comma 7, della legge 212/2000, non trattandosi di un avviso di accertamento o di un atto riconducibile tra quelli impositivi.

Il contribuente provvedeva all’impugnazione della sentenza emessa dalla Ctr deducendo la violazione e la falsa applicazione della norma innanzi citata, nella parte in cui l’ufficio era tenuto al rispetto del termine di sessanta giorni prima della notifica dell’avviso di recupero del credito, decorrente dal termine delle attività di verifica, essendo l’atto in questione inquadrabile nel novero dei provvedimenti impositivi.

La Corte suprema rigettava il ricorso perché infondato, confermando così la legittimità dell’atto impugnato.

La decisione
Con la sentenza in esame, la Corte di cassazione si è espressa in materia di applicabilità del termine previsto a tutela del contribuente dalla legge 212/2000, nel rispetto del principio di cooperazione con l’Amministrazione finanziaria.
Ci si riferisce, in particolare, al testo dell’articolo 12, comma 7, dello Statuto del Contribuente: “dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza”.
Richiamando tale disposizione, il contribuente invocava la nullità dell’avviso di recupero del credito indebitamente utilizzato, lamentando che fosse stato notificato prima del decorso del suddetto termine.

Per motivare l’infondatezza delle richieste avanzate dal contribuente, i giudici di legittimità hanno prima di tutto chiarito un importante principio, secondo cui l’avviso di accertamento o di liquidazione non può essere emanato prima della scadenza del termine di sessanta giorni dal rilascio al contribuente della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni ispettive, “salvo casi di particolare e motivata urgenza”.
Il mancato rispetto del termine senza che l’atto rechi “motivazione sull’eventuale urgenza che ne ha determinato l’adozione” comporta la nullità dell’atto impositivo: la sanzione di invalidità è prevista in via generale dall’articolo 21-septies della legge 241/1990 e, con specifico riferimento all’accertamento delle imposte sui redditi e dell’Iva, rispettivamente dagli articoli 42, commi 2 e 3, del Dpr 600/1973, e 56, comma 5, del Dpr 633/1972.

Una volta chiarito tale importante principio, la Corte suprema ha dichiarato che l’avviso con il quale l’ufficio procede al recupero del credito d’imposta per l’incremento occupazionale, di cui alla legge 388/2000, non è un atto soggetto al rispetto del termine di sessanta giorni prescritto dall’articolo 12 della legge 212/2000.
Infatti, seppur l’avviso di recupero e l’avviso di accertamento (o di liquidazione) sono parificabili “con riferimento alla natura”, in quanto entrambi hanno come oggetto la comunicazione al contribuente di una pretesa tributaria definita, il primo è pur sempre un atto propedeutico all’emissione del successivo avviso di accertamento e, in quanto tale, non soggetto al rispetto del termine dei sessanta giorni.

A parere della Corte, “opinare diversamente significherebbe imporre surrettiziamente un termine di legge non contemplato dalla normativa”: il diverso trattamento riservato dal legislatore ai due diversi atti non comporta nessun nocumento o pregiudizio in capo al contribuente, che “è libero di impugnare sia l’avviso di recupero che l’avviso di accertamento con il rispetto, in quest’ultimo caso, del termine di sessanta giorni cit. a favore del contribuente”.


Fonte: Agenzia Entrate

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