L'Amministrazione finanziaria ha considerato produttive di reddito d'impresa le attività artistiche e professionali nel cui svolgimento l'organizzazione in forma d'impresa assume un ruolo prevalente rispetto all'opera prestata dall'artista o professionista. Si tratta, in particolare, delle prestazioni didattiche, di cure estetiche, dei laboratori medici, nonché delle attività svolte da fotografi e agenti teatrali.

In un precedente intervento sono stati esaminati i criteri in base ai quali è possibile distinguere i redditi di lavoro autonomo da quelli di lavoro dipendente, illustrando anche i requisiti della professionalità e dell’abitualità.
Nel presente intervento si analizzano, invece, i rapporti tra i detti redditi di lavoro autonomo e quelli derivanti da attività produttive di reddito d’impresa, esaminando, in particolare, alcune tipologie di attività che hanno formato oggetto di approfondimento da parte della giurisprudenza e della prassi.

Nell’art. 53, comma 1, del T.U.I.R. è precisato che per esercizio di arti e professioni si intende l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di attività di lavoro autonomo diverse da quelle produttive di reddito di impresa ai sensi dell’art. 55 del T.U.I.R., compreso l’esercizio di tali attività in forma associata.
Particolarmente delicato e incerto appare il confine tra le attività in esame e quelle “organizzate in forma d’impresa dirette alla prestazione di servizi che non rientrano nell’art. 2195 del codice civile”, che danno luogo a redditi considerati d’impresa ai sensi dell’art. 55, comma 2, lett. a), del T.U.I.R.
Si ricorda che, in base al detto art. 55 del T.U.I.R., si considerano, innanzitutto, quali redditi d’impresa quelli che derivano dall’esercizio di attività commerciali, cioè dall’esercizio, per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività indicate nell’art. 2195 c.c. (attività industriali dirette alla produzione di beni e servizi, attività intermediarie nella circolazione dei beni, attività di trasporto per terra, per acqua o per aria, attività bancaria o assicurativa e altre attività ausiliarie delle precedenti) e di quelle agricole indicate nell’art. 32, comma 2, lett. b) e c), qualora eccedano i limiti stabiliti. Tali attività sono produttive di reddito d’impresa anche se non organizzate in forma d’impresa.
Sono, inoltre, considerati redditi d’impresa quelli:
- derivanti dall’esercizio di attività organizzate in forma d’impresa dirette alla prestazione di servizi che non rientrano nell’art. 2195 c.c.;
- derivanti dall’attività di sfruttamento di miniere, cave, torbiere, saline, laghi, stagni e altre acque interne,
- dei terreni, per la parte derivante dall’esercizio delle attività agricole di cui all’art. 32, anche se svolte nel rispetto dei limiti ivi stabiliti, se spettano a società di capitali, a società commerciali di persone e alle stabili organizzazioni di persone fisiche non residenti che esercitano attività d’impresa.
Le dette attività di prestazioni di servizi non rientranti nell’art. 2195 c.c. si considerano produttive di reddito d’impresa anche se organizzate prevalentemente con il lavoro del contribuente e dei suoi familiari.
Rientrano in quest’ultima categoria anche le attività artistiche e professionali nel cui svolgimento l’organizzazione in forma d’impresa assume un ruolo prevalente rispetto all’opera prestata dall’artista o professionista. Si tratta, in particolare, come chiarito nella C.M. 30 aprile 1977, n. 7, delle prestazioni didattiche, di cure estetiche, di laboratorio e simili.

In merito alle attività dei laboratori di analisi mediche l’Amministrazione finanziaria ha affermato, nella C.M. 12 aprile 1983, n. 12/E, che le stesse rientrano, di regola, tra quelle produttive di redditi di lavoro autonomo. Si è, infatti, in presenza di una “prestazione che, estrinsecandosi in un giudizio di merito sull’analisi eseguita, costituisce un’attività professionale intellettuale autonoma” e l’espletamento dell’attività di analista postula necessariamente l’iscrizione all’ordine dei medici con la relativa specializzazione. E’ stato, però, precisato che non è escluso che i laboratori in discorso “possano qualificarsi come imprese commerciali qualora ne ricorra il presupposto atto a configurarle, costituito da una organizzazione di tipo imprenditoriale - secondo la nozione elaboratane dalla dottrina e dalla giurisprudenza - nel cui contesto viene a perdere ogni rilevanza e significato la figura del medico ai fini della prestazione dell’attività richiesta dalla clientela e resa sulla base di un rapporto fiduciario fondato sull’intuitus personae ed assume, viceversa, esclusiva o preponderante importanza la struttura sanitaria oggettivamente considerata”.

Analogamente, nella R.M. 17 luglio 1996, n. 129/E, è stato affermato che l’attività di fotografo può essere considerata quale attività rientrante nell’esercizio di arti e professioni ovvero attività produttiva di reddito d’impresa “a seconda delle modalità effettive con cui essa viene svolta”. In particolare, essa si configura quale attività di lavoro autonomo se la prestazione assume gli elementi tipici dell’attività professionale intellettuale di cui all’art. 2229 c.c. (anche se non è prevista alcuna iscrizione in appositi albi o elenchi), cioè l’impegno assunto dal professionista nei confronti del cliente a prestare la propria opera intellettuale per il raggiungimento del risultato sperato relativo al servizio fotografico reso, senza alcun obbligo di conseguirlo, e il rapporto fiduciario tra le parti. L’attività fotografica si viene a qualificare, invece, come esercizio di impresa commerciale quando l’apporto del professionista non è connesso ad una prestazione d’opera intellettuale ma “involge una prevalente opera di organizzazione di vari fattori produttivi e … la struttura dell’impresa così organizzata, e non la figura del professionista, assume nei confronti della clientela una rilevante importanza”.

Nella risoluzione 18 giugno 1976, n. 9/133, è stato, altresì, affermato, con riguardo al caso degli agenti teatrali per il collocamento dei complessi artistici, che gli stessi possono essere considerati imprenditori commerciali solo se la loro attività risulti organizzata in forma di impresa, problematica che va risolta caso per caso “previo vaglio degli elementi e delle circostanze di fatto che caratterizzano l’attività dei singoli agenti teatrali”.
Si ricorda, con riguardo all’esercizio delle attività artistiche, che l’Amministrazione finanziaria ha contestato ad un noto artista straniero (1) la natura imprenditoriale della sua attività e la conseguente esistenza di una stabile organizzazione in Italia, con riferimento ad un laboratorio nel quale esercitano l’attività dipendenti e collaboratori e si verifica una rilevante movimentazione di merce.
LA PRASSI AMMINISTRATIVA
I laboratori di analisi
Nella circolare n. 12/E del 1983 l’Amministrazione finanziaria ha affermato che le attività dei laboratori di analisi mediche rientrano, di regola, tra quelle produttive di redditi di lavoro autonomo. Non è, però, escluso che i laboratori possano qualificarsi come imprese commerciali qualora perda ogni rilevanza e significato la figura del medico ai fini della prestazione dell’attività richiesta dalla clientela ed assuma, viceversa, esclusiva o preponderante importanza la struttura sanitaria oggettivamente considerata.

(1) Si tratta dell’artista colombiano Fernando Botero. Cfr., al riguardo, A. Galimberti, “Il paradosso dell’artista-azienda”, in Il Sole - 24 Ore del 16 novembre 2008, pag. 24.

Sono stati, inoltre, ritenuti dalla Corte di cassazione titolari di reddito di lavoro autonomo:
- gli amministratori di una pluralità di condomini, costituiti da un elevato numero di partecipanti (sentenze 13 marzo 2009, n. 6136 e 24 luglio 1996, n. 6671. L’amministrazione di un solo condominio o di più condomini costituiti da un numero limitato di partecipanti darebbe, invece, luogo a rapporti di collaborazione coordinata e continuativa;
- i calciatori professionisti per l’attività svolta nella squadra nazionale (sentenza 1° marzo 1990, n. 1549;
- i chiromanti, cartomanti, medium, ecc.
La giurisprudenza, sia di legittimità che di merito, si è, invece, espressa in maniera difforme con riguardo alla questione della rilevanza reddituale dell’attività di prostituzione.
La Corte di cassazione, nella sentenza 1° agosto 1986, n. 4927, non ha ritenuto idonea alla produzione di reddito l’esercizio dell’attività di prostituzione, in quanto i relativi proventi assumono natura risarcitoria del danno derivante dalla lesione dell’integrità della dignità di chi subisce l’affronto della vendita di sé.
In senso conforme si era espressa la Commissione tributaria provinciale di Milano, sez. XLVII, con sentenza 22 dicembre 2005, n. 272. Tale decisione era stata, però, riformata dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia, che aveva affermato, nella sentenza 15 novembre 2007, n. 124, che “la circostanza addotta dal contribuente circa la provenienza dall’attività di prostituzione delle proprie fonti di reddito non esclude la legittimità dell’accertamento sintetico posto in essere dall’Amministrazione finanziaria, la quale non è onerata, ex art. 38 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, di fornire la determinazione della categoria di redditi che concorrono a formare la base imponibile, incombendo tale prova sul soggetto verificato”. La detta Commissione regionale ha, pertanto, evitato di pronunciarsi sulla tassabilità del reddito in esame.
Anche la Commissione tributaria regionale del Lazio ha condiviso l’orientamento interpretativo manifestato nella citata sentenza della Commissione provinciale di Milano, non contestando, nella sentenza 3 maggio 2010, n. 109, la natura non reddituale dei compensi in questione affermata dalla Commissione tributaria di primo grado di Viterbo, trattandosi di “una forma di risarcimento sui generis, a causa della lesione dell’integrità della dignità di chi subisce l’affronto della vendita di sé”. La Commissione regionale del Lazio ha, però, confermato la legittimità dell’accertamento effettuato dall’Ufficio delle entrate con metodo sintetico perché la ricorrente non ha fornito la prova che il reddito accertato sia stato prodotto nello svolgimento dell’attività di prostituta.
LA GIURISPRUDENZA
L’attività di prostituzione
La Corte di cassazione, smentendo il proprio precedente orientamento, ha stabilito, nella sentenza n. 20528 del 2010, che i proventi derivanti dall’esercizio dell’attività di prostituzione vanno sottoposti a tassazione.
La Corte di giustizia europea, nella sentenza del 20 novembre 2001 (causa C-268/99), ha affermato che la prostituzione rientra nelle attività economiche svolte in qualità di lavoratore autonomo, qualora sia dimostrato che è svolta senza alcun vincolo di subordinazione, sotto la propria responsabilità ed a fronte di una retribuzione che gli sia pagata integralmente e direttamente. Spetta al giudice nazionale accertare in ciascun caso, alla luce degli elementi di prova che gli sono forniti, se ricorrono tali presupposti.
Successivamente la Corte di cassazione ha, però, affermato, nella sentenza del 1° ottobre 2010, n. 20528, in merito ai proventi derivanti dall’esercizio dell’attività di prostituta (1), che “non vi è dubbio alcuno che anche tali proventi debbano essere sottoposti a tassazione, dal momento che, pur essendo un’attività discutibile sul piano morale, non può essere certamente ritenuta illecita. Quanto poi alla risposta ad interrogazione parlamentare (del 31 luglio 1990) del Ministero delle finanze secondo cui i proventi della prostituzione non sarebbero tassabili, tale affermazione non è certamente incidente per i giudici, trattandosi di una valutazione, peraltro risalente nel tempo, che non vincola in alcun modo i giudici tributari e, ovviamente, questa Corte”.
Ad analoga conclusione era giunta la Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia, con la sentenza 11 giugno 2009, n. 131, nella quale sono stati ritenuti fiscalmente rilevanti i proventi derivanti dall’attività di prostituzione, che sono stati ricondotti alla categoria del reddito di lavoro autonomo, a condizione che si tratti di un’attività esercitata abitualmente e che ricorrano le condizioni individuate dalla Corte di giustizia europea nella sentenza 20 novembre 2001, causa C-268/99 (2). In quest’ultima sentenza è stato affermato che “la prostituzione rientra nelle attività economiche svolte in qualità di lavoratore autonomo, qualora sia dimostrato che è svolta dal prestatore senza alcun vincolo di subordinazione per quanto riguarda la scelta di tale attività, le condizioni di lavoro e retributive, sotto la propria responsabilità ed a fronte di una retribuzione che gli sia pagata integralmente e direttamente. Spetta al giudice nazionale accertare in ciascun caso, alla luce degli elementi di prova che gli sono forniti, se ricorrono tali presupposti”. In sede di determinazione del reddito di lavoro autonomo dovrebbero, di conseguenza, essere deducibili le spese sostenute.
La Cassazione penale ha, inoltre, affermato, nella sentenza 29 novembre 2010, n. 42160, che sono assoggettabili ad imposizione, per l’intero incasso (compresa la quota percepita dalla prostituta), anche i proventi derivanti dallo sfruttamento e dal favoreggiamento della prostituzione, ancorché derivanti da attività illecite.
L’Amministrazione finanziaria ha ritenuto produttive di redditi di lavoro autonomo, ad esempio, le attività:
- dei consulenti di infortunistica stradale (R.M. 28 dicembre 1978, n. 8/1249) (14);
- delle guide turistiche (R.M. 27 marzo 1974, n. 10/148) (14);
- degli artisti lirici (R.M. 26 luglio 1976, n. 8/883) (14);
- dei medici dipendenti di una ASL autorizzati a svolgere a titolo personale un’attività di consulenza medico-legale con finalità assicurative o amministrative (risoluzione 12 marzo 2007, n. 42/E) (14);
- dei percettori degli assegni giornalieri per la frequenza di corsi di formazione professionale (R.M. 15 marzo 1980, n. 8/173) (14);
- degli spedizionieri doganali, da non confondere con quelli ordinari di cui all’art. 1737 c.c. (C.M. 7 settembre 1988, n. 22/E) (14).



(1) L’Ufficio delle entrate aveva contestato, in sede di accertamento, la “sensibile differenza tra i versamenti eseguiti sui conti bancari ed il reddito di lavoro dipendente percepito” per lo svolgimento dell’attività di “ballerina in locali notturni”. La Cassazione ha, al riguardo, affermato che “appare assai poco credibile che l’attività della A. consistesse esclusivamente nel servire ai tavoli i clienti dei vari locali dove assume di avere svolto tale servizio. E ciò in quanto risulterebbe che tale funzione la stessa avrebbe svolto in diversi locali nello stesso giorno”.
(2) Cfr., con riguardo alla sentenza della Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia, M. Dalla Vecchia, “Il reddito da prostituzione è tassabile e deve inquadrarsi nella categoria dei redditi di lavoro autonomo”, in il fisco, 1, n. 47/2009, pag. 7770. In merito alla sentenza della Corte di giustizia si vedano, tra gli altri, M. Luciani, “Il lavoro autonomo della prostituta”, in Quaderni costituzionali, 2002, pag. 398, e R. Alesse, “Prostituzione: legalizzazione dell’attività o condanna di ogni forma di speculazione?”, in Quaderni costituzionali, 2002, pag. 801.


Fonte: IPSOA

0 commenti:

 
Top