La COVIP risponde ad una societa' istitutrice di un fondo pensione aperto sul caso di alcuni ex agenti delle Comunita' Europee che, rientrando in Italia al termine della loro esperienza professionale presso gli organismi comunitari, intendono trasferire ad un fondo pensione italiano quanto maturato presso il regime pensionistico delle Comunita'.
In un mercato del lavoro sempre più transfrontaliero si amplia la casistica delle possibili fattispecie reali anche in materia di previdenza complementare. Molto interessante in tale prospettiva la recente risposta fornita dalla Covip ad una società istitutrice di un fondo pensione aperto che aveva chiesto chiarimenti in merito alle modalità da seguire al fine di poter accogliere le richieste formulate da alcuni ex agenti delle Comunità Europee che, rientrando in Italia al termine della loro esperienza professionale presso gli organismi comunitari, intendono trasferire ad un fondo pensione italiano quanto maturato presso il regime pensionistico delle Comunità.

Come necessario presupposto giova rammentare cosa prevede il nostro ordinamento in materia di portabilità della posizione previdenziale individuale. L’art. 14 comma 6 del Dlgs 252/2005, in continuità con l’impianto legislativo precedente di cui al Dlgs 124/1993, afferma che l’aderente ha la facoltà di trasferire l’intera posizione individuale maturata ad altra forma pensionistica decorsi due anni dalla data di partecipazione ad uno strumento (fino al 31 dicembre 2006 il periodo di permanenza minimo era invece di tre anni, per FondINPS il termine di portabilità è ridotto ad un anno).

Viene poi disposto che gli statuti e i regolamenti degli strumenti complementari stabiliscano le modalità di esercizio relative alla portabilità non potendo al contempo contenere clausole che risultino anche di fatto limitative di tale diritto. Si ribadisce anche che debbano considerarsi inefficaci clausole che, all'atto dell'adesione o del trasferimento, consentano l'applicazione di voci di costo, comunque denominate, significativamente più elevate di quelle applicate nel corso del rapporto e che possono quindi costituire ostacolo alla portabilità.

Nella fattispecie riferita ai lavoratori dipendenti, in caso di esercizio della predetta facoltà di trasferimento della posizione individuale, è opportuno osservare come il diritto al versamento alla forma pensionistica del TFR maturando e dell'eventuale contributo a carico del datore di lavoro sia consentito “nei limiti e secondo le modalità stabilite dai contratti o accordi collettivi, anche aziendali” riaffermandosi in tal modo il principio della centralità della contrattazione collettiva.

Si rammenta poi che in caso di cessazione dei requisiti di partecipazione (art. 14 comma 2) il lavoratore può valutare oltre alla ipotesi del riscatto parziale o totale anche il “trasferimento ad altra forma pensionistica complementare alla quale il lavoratore acceda in relazione alla nuova attività”. Al ricorrere di tale fattispecie non si considerano quindi limiti temporali.

La possibilità del trasferimento sorge nel caso in cui il fondo pensione di riferimento in cui opera la azienda presso la quale si lavorava sia differente; se invece il cambiamento dell’azienda avvenga all’interno dello stesso settore produttivo potrebbe ipotizzarsi il caso in cui la impresa di provenienza avesse sottoscritto un accordo aziendale per un fondo pensione aperto ad adesione collettiva e quella di nuova assunzione ne abbia sottoscritto uno differente o trovi applicazione il fondo pensione chiuso settoriale.

Andando invece nel “vivo del quesito”, la Covip osserva come, per quanto concerne la tutela pensionistica, i funzionari comunitari sono iscritti ad uno speciale regime previdenziale, costituito nel quadro dell’organizzazione comunitaria, con finanziamento e configurazione completamente autonomi rispetto ai singoli regimi previdenziali dei vari Stati membri.

L'Autorità di Vigilanza rammenta ancora come i funzionari che lasciano l’istituzione comunitaria articolo 12 dell’allegato VIII dello Statuto dei funzionari della Comunità Europee (il riferimento puntuale è il Regolamento n. 259 del 1968, come modificato con successivo Regolamento n. 723/2004 del Consiglio del 22 marzo 2004), senza poter beneficiare di una pensione di anzianità, immediata o differita, possono trasferire quanto accumulato nel regime pensionistico delle Comunità presso un’assicurazione privata o un fondo pensione nazionale di loro scelta che garantisca (da intendersi limitatamente a dette somme trasferite):

1. che non sia rimborsato il capitale;

2. che non si provveda al versamento di una rendita mensile prima del sessantesimo anno di età e al più tardi a partire dal sessantacinquesimo;

3. che siano previste prestazioni in materia di reversibilità;

4. che un ulteriore trasferimento ad altro fondo sia autorizzato solo alle medesime condizioni di cui ai punti precedenti.

Si evidenzia di conseguenza come la normativa italiana in materia di fondi pensione e, di conseguenza, il Regolamento dei fondi pensione aperti, non risulta essere allineato alle caratteristiche previste dalla normativa comunitaria. La prima condizione che lo Statuto dei funzionari richiede infatti, osserva la Covip è che le forme pensionistiche complementari interne agli Stati membri non diano corso a rimborsi del capitale. Il sistema della previdenza complementare in Italia consente, invece, in alcuni casi l’erogazione di capitali.

Va sicuramente contemplata in primo luogo la fattispecie di cui all’ art. 11, comma 3, d.lgs. n. 252 del 2005 che ammette l’erogazione della prestazione pensionistica sotto forma di capitale fino ad un massimo del 50 per cento del montante finale ovvero, a determinate condizioni, l’erogazione integrale in capitale.

Rientra in tale ambito anche l’art. 23, comma 7, che consente ai c.d. vecchi iscritti a previdenza complementare di chiedere la liquidazione dell’intera prestazione in capitale. Vi è poi, l’art. 14, comma 2, lett. b) del d.lgs. n. 252 del 2005 che prevede la possibilità di ottenere il riscatto parziale o totale della posizione individuale nei casi espressamente individuati.

Altra previsione è quella di cui all’art. 11, comma 7, d.lgs. n. 252 del 2005 che consente la fruizione di anticipazioni nei casi e entro i limiti ivi previsti. Vi è inoltre l’art. 14, comma 2, d.lgs. n. 252 del 2005 che stabilisce, in caso di morte dell’aderente che non abbia maturato i requisiti per accedere alla prestazione previdenziale, la possibilità di riscatto da parte dei beneficiari designati o dagli eredi. Altro impedimento è rappresentato poi dal rispetto della seconda condizione, relativa all’erogazione della prestazione previdenziale non prima dei 60 anni e non dopo i 65 di età.

Tale previsione potrebbe infatti configurarsi come in contrasto con l’art. 11, comma 2, d.lgs. n. 252 del 2005 che espressamente subordina l’acquisizione del diritto alla prestazione pensionistica complementare al momento di maturazione dei requisiti di accesso alle prestazioni stabiliti nel regime obbligatorio di appartenenza, con almeno 5 anni di partecipazione alla previdenza complementare. Ugualmente ostacolante , osserva ancora l’Autorità di Vigilanza è la previsione di cui all’art.11, comma 4, d.lgs. n. 252 del 2005, che consente l’erogazione delle prestazioni pensionistiche con un anticipo di cinque anni rispetto ai requisiti per l’accesso alle prestazioni nel regime obbligatorio di appartenenza in caso di cessazione dell’attività lavorativa che comporti l’inoccupazione per un periodo di tempo superiore a 48 mesi. Anche la terza condizione, attinente alla previsione di prestazioni in materia di reversibilità posta dall’Ordinamento comunitario appare alla Covip come non del tutto compatibile, si richiama nello specifico la previsione di cui all’art. 14, comma 2, d. lgs. n. 252 del 2005 sopra richiamato, considerato che il Regolamento comunitario prevede l’erogazione di una pensione di reversibilità e che tale previsione sembra riguardare anche il caso di decesso dell’aderente prima della maturazione dei requisiti per la pensione.

Va inoltre considerato che nel Regolamento (art. 79 e Capitolo 4 dell’Allegato VIII) la pensione di reversibilità è, in primo luogo, intesa come la pensione spettante al coniuge del funzionario; in presenza di un coniuge, dunque, non dovrebbero essere ammesse opzioni di riversibilità a favore di soggetti diversi (ipotesi invece ammessa nel ns. sistema).

Last but not least, conclude la Commissione, anche la quarta condizione prevista dallo Statuto dei funzionari della CE evidenzia che i limiti al trasferimento successivo presso altre forme previdenziali che non presentano le condizioni richieste dall’art. 12, Allegato VIII dello Statuto dei funzionari collidono con la libertà di trasferimento riconosciuta dall’art. 14 del d.lgs. n. 252 del 2005. Come si conciliano allora le previsioni dello Statuto dei funzionari della Comunità Europea con le previsioni del d.lgs. n. 252 del 2005 ? La Covip premette come lo Statuto dei funzionari della CE sia stato adottato con Regolamento del Consiglio che è da considerarsi come obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri (nella gerarchia delle fonti i Regolamenti comunitari sono norme c.d. self-executing).

Ne discende, secondo la Commissione, che sia da condividersi la soluzione che la società prospetta, vale a dire l’apertura di posizioni previdenziali specifiche a favore degli ex agenti delle Comunità europee, con un vincolo che garantisca il rispetto delle condizioni richieste dalla normativa comunitaria, in deroga a quanto previsto dalla sopra citata normativa italiana e dalle norme regolamentari del fondo.

(Risposta COVIP 01/02/2011)


Fonte: IPSOA

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