La colpa del lavoratore non esclude quella del datore di lavoro. Secondo la Cassazione, l'eventuale colpa concorrente del lavoratore non puo'spiegare alcuna efficacia esimente per i soggetti aventi l'obbligo di sicurezza che si siano comunque resi responsabili della violazione di prescrizioni in materia antinfortunistica, potendosi escludere l'esistenza del rapporto di causalita' unicamente nei casi in cui sia provata l'abnormita' del comportamento del lavoratore infortunato e sia provato che proprio questa abnormita' abbia dato causa all'evento.
Secondo la Cassazione, l’eventuale colpa concorrente del lavoratore non può spiegare alcuna efficacia esimente per i soggetti aventi l’obbligo di sicurezza che si siano comunque resi responsabili della violazione di prescrizioni in materia antinfortunistica, potendosi escludere l’esistenza del rapporto di causalità unicamente nei casi in cui sia provata l’”abnormità” del comportamento del lavoratore infortunato e sia provato che proprio questa abnormità abbia dato causa all’evento.

Dovendosi, al riguardo, considerare abnorme il comportamento che, per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte all’applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro.

Con la precisazione, però, che non può avere queste caratteristiche il comportamento del lavoratore che abbia compiuto un’operazione comunque rientrante pienamente, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli.

La sentenza, in effetti, si pone in linea con il principio, assolutamente pacifico, secondo cui, in tema di infortuni sul lavoro, l’addebito di responsabilità formulabile a carico del datore di lavoro non è in effetti escluso dai comportamenti negligenti, trascurati, imperiti del lavoratore, che abbiano contribuito alla verificazione dell'infortunio, giacchè al datore di lavoro, che è "garante" anche della correttezza dell'agire del lavoratore, è imposto (anche) di esigere da quest’ultimo il rispetto delle regole di cautela (cfr. articolo 18, comma 1, lettera f), del decreto legislativo 9 aprile 2008 n. 81).

A tale regola, come noto, si fa unica eccezione, in coerente applicazione dei principi in tema di interruzione del nesso causale (articolo 41, comma 2, c.p.), in presenza di un comportamento assolutamente eccezionale ed imprevedibile del lavoratore.

In tal caso, anche la condotta colposa del datore di lavoro che possa essere ritenuta antecedente remoto dell'evento dannoso, essendo intervenuto un comportamento assolutamente eccezionale ed imprevedibile (e come tale inevitabile) del lavoratore, finisce con l'essere neutralizzata e privata di qualsivoglia rilevanza efficiente rispetto alla verificazione di un evento dannoso [l’infortunio], che, per l'effetto, è addebitabile materialmente e giuridicamente al lavoratore (tra le tante, Cassazione, Sezione IV, Cass., 13 marzo 2008, Reduzzi ed altro; nonché, di recente, Sezione IV, 8 giugno 2010, Rigotti).

Ciò può verificarsi in presenza [solo] di comportamenti “abnormi” del lavoratore, come tali non suscettibili di controllo da parte delle persone preposte all’applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro. In questa prospettiva, in linea con quanto osservato nella sentenza qui riportata, si esclude tradizionalmente che presenti le caratteristiche dell’abnormità il comportamento, pur imprudente, del lavoratore che non esorbiti completamente dalle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli e mentre vengono utilizzati gli strumenti di lavoro ai quali è addetto, essendo l’osservanza delle misure di prevenzione finalizzata anche a prevenire errori e violazioni da parte del lavoratore (cfr. Cassazione, Sezione IV, 5 giugno 2008, Stefanacci ed altri).

Va però ricordato, per doverosa completezza, quell’orientamento giurisprudenziale (di recente, Cassazione, Sezione IV, 10 novembre 2010, parte civile Iglina ed altro in proc. Brignone ed altri), che offre un’importante puntualizzazione sul tema allorquando estende il concetto di “abnormità”, ammettendo che questo possa ravvisarsi anche in situazioni e in comportamenti “connessi” con lo svolgimento delle mansioni lavorative.

Trattasi di orientamento che, riprendendo alcuni più remoti spunti giurisprudenziali (cfr. Cassazione, Sezione IV, 3 giugno 2004, Giustiniani; nonché, Sezione IV, 27 novembre 1996, Maestrini), ha inteso precisare che il carattere dell’abnormità può essere attribuito non solo alla condotta tenuta in “un ambito estraneo alle mansioni” affidate al lavoratore e, pertanto, concettualmente al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro, ma anche a quella che pur “rientrando nelle mansioni proprie” del lavoratore sia consistita in qualcosa di radicalmente, ontologicamente lontano dalle pur ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nell’esecuzione del lavoro.

Si tratta di soluzione che merita condivisione: ciò che conta, infatti, è la considerazione della prevedibilità/imprevedibilità della condotta del lavoratore, che può presentarsi negli stessi termini anche quando si discuta di attività strettamente connesse con lo svolgimento dell’attività lavorativa.

Diversamente opinando si porrebbe a carico del datore di lavoro un addebito “di posizione”, basato solo fittiziamente sulla colpa, ma nella sostanza assimilabile alla responsabilità oggettiva.

(Cassazione penale 26/01/2011, n. 2606)


Fonte: IPSOA

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