1. Interventi in materia previdenziale (articolo 12, comma 10) 
L’art. 12, comma 10, D.L. n. 78/2010 prevede che con “Con effetto sulle 
anzianità contributive maturate a decorrere dal 1° gennaio 2011, per i lavoratori alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico 
consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale 
di statistica (Istat) ai sensi del comma 3 dell’art. 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, per i quali il computo dei trattamenti di fine servizio, comunque denominati, in riferimento alle predette anzianità contributive non è già regolato in base a quanto previsto dall’art. 2120 del codice civile in materia di trattamento di fine rapporto, il computo dei predetti trattamenti di fine servizio si effettua secondo le regole di cui al citato articolo 2120 del codice civile, con applicazione dell’aliquota del 6,91 per cento”. 
L’articolo in esame pertanto prevede che, a partire dalle anzianità 
contributive maturate dal 1° gennaio 2011, il computo dei trattamenti di fine servizio del personale dipendente dalle amministrazioni pubbliche, che non sia già sottoposto al regime TFR, si effettui secondo le regole di cui all’art. 2120 c.c. concernente il trattamento di fine rapporto.  
 L’ambito oggettivo di applicazione dell’art. 12, comma 10, in commento è 
costituito esclusivamente dal “computo dei predetti trattamenti di fine servizio”; le 
nuove regole pertanto non mutano il trattamento fiscale delle prestazioni in esame, 
che resta disciplinato dalle disposizioni contenute nell’art. 19, comma 2 bis, del 
D.P.R. 22/12/1986, n. 917, concernenti la tassazione per i TFS 
2. Partecipazione dei comuni all’attività di accertamento tributario e contributivo 
(articolo 18) 
Nell’ottica di rafforzamento dell’attività di contrasto all’evasione fiscale, 
l’articolo 18 del  decreto modifica la disciplina relativa alla partecipazione dei 
Comuni all’attività di accertamento, attraverso un duplice intervento sull’articolo 1 
del decreto legge 30 settembre 2005, n. 203 - recante la disciplina della 
“Partecipazione dei comuni al contrasto all’evasione fiscale” - e sull’articolo 44 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 – relativo alla “Partecipazione dei comuni 
all’accertamento”. 
Per espressa previsione della disposizione in commento, una delle modalità 
attraverso cui i Comuni partecipano all’attività di accertamento consiste nella 
segnalazione all’Agenzia delle entrate, alla Guardia di finanza e all’INPS degli 
elementi utili ad integrare i dati contenuti nelle  dichiarazioni presentate dai 
contribuenti, per la determinazione di maggiori imponibili fiscali e contributivi 
(comma 2). 
Per agevolare tale forma di collaborazione, per i Comuni con popolazione 
superiore a cinquemila abitanti che non vi abbiano già provveduto è stato introdotto 
l’obbligo di costituire il Consiglio tributario con regolamento del Consiglio 
comunale ed entro il termine di 90 giorni dall’entrata in vigore del decreto (comma 
2, lettera a)). 
Diversamente, per i Comuni con popolazione inferiore a cinquemila abitanti 
che non siano già dotati del Consiglio tributario,  è stato introdotto l’obbligo di 6
riunirsi in consorzio (da costituire secondo le disposizioni di cui al d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, recante il Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), ai fini della successiva istituzione del Consiglio tributario (comma 2, lettera b)). La relativa convenzione, unitamente allo statuto del consorzio, deve essere adottata dai rispettivi Consigli comunali per l’approvazione entro il termine di 180 giorni dall’entrata in vigore del  decreto. 
Con specifico riferimento alle modifiche apportate  alla disciplina prevista 
dall’articolo 44 del d.P.R. n. 600 del 1973, l’articolo 18 del decreto abroga i commi 
quinto, sesto e settimo dell’articolo 44, contenenti la disciplina relativa alle 
“proposte di aumento” presentate dai Comuni, e il successivo articolo 45, istitutivo 
della commissione per l’esame delle proposte presentate dal Comune (comma 4, 
lettere d) ed e)). 
Per effetto delle modifiche apportate dal  decreto, ai sensi del novellato art. 
44:  
- l’Agenzia delle entrate mette a disposizione dei Comuni le 
dichiarazioni dei contribuenti persone fisiche in essi residenti;  
- prima di emettere avvisi di accertamento sintetico (di cui all’articolo 
38, quarto comma e seguenti del d.P.R. n. 600 del 1973) gli uffici 
inviano una segnalazione ai Comuni di domicilio fiscale dei soggetti 
passivi affinchè i medesimi Comuni, entro 60 giorni da quello del 
ricevimento della segnalazione, comunichino ogni elemento in loro 
possesso utile alla determinazione del reddito complessivo. 
Il Comune di domicilio fiscale del contribuente (o  il consorzio al quale lo 
stesso partecipa) è tenuto a segnalare all’ufficio  fiscale qualsiasi integrazione degli elementi contenuti nelle predette dichiarazioni presentate dalle persone fisiche, indicando dati, fatti ed elementi rilevanti e fornendo ogni idonea documentazione atta a comprovarla.  
Nel caso di omissione della dichiarazione, al Comune è riconosciuta la 
facoltà di segnalare dati, fatti ed elementi rilevanti, quando siano provati da idonea documentazione. 
Il decreto, inoltre, modifica in parte l’articolo 1, comma 1, del d.l. n. 203 del 
2005, prevedendo l’innalzamento al 33 per cento dell’ammontare della quota 
(originariamente pari al 30 per cento) spettante ai Comuni che contribuiscano 
all’accertamento medesimo (comma 5, lettera a)). Tale quota è determinata, per 
espressa previsione, sulla base delle maggiori somme relative a tributi statali 
riscosse a titolo definitivo, nonché delle sanzioni civili applicate sui maggiori 
contributi riscossi a titolo definitivo, a seguito dell’intervento del Comune che abbia contribuito all’accertamento stesso. I tributi su cui calcolare tale quota, nonché le relative modalità di attribuzione, sono individuati con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e d’intesa con la Conferenza Unificata, entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto (comma 7). 
Specularmente, è previsto il medesimo innalzamento della quota percentuale 
da riconoscere ai Comuni con riferimento all’attività di vigilanza effettuata nei 
confronti delle persone fisiche che hanno chiesto l’iscrizione nell’anagrafe degli 
italiani residenti all’estero a far corso dal 1° gennaio 2006, ai sensi dell’articolo 83, comma 17, del d.l. 25 giugno 2008, n. 112 (convertito, con modificazioni, dalla l. 6 agosto 2008, n. 133) (comma 6). 
Il comma 5, lettera b riformula l’articolo 1, comma 2, del d.l. n. 203 del 2005, 
al fine di richiamare la partecipazione dell’INPS e della Conferenza Unificata (in 
luogo della Conferenza Stato-città ed autonomia locali) alla individuazione delle 
modalità tecniche di accesso alle banche dati e di  trasmissione delle copie delle 
dichiarazioni ai Comuni, nonché per inserire il riferimento della partecipazione dei 
Comuni anche all’accertamento contributivo. 
È fatto salvo, comunque, il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle 
entrate del 3 dicembre 2007, con cui sono state individuate le “Modalità di 
partecipazione dei comuni all’attività di accertamento, ai sensi dell’articolo 1 del 
d.l. 30 settembre 2005, n. 203 (…)”, con riferimento alle disposizioni relative alle 
modalità tecniche di accesso dei Comuni alle banche dati e alle dichiarazioni relative ai contribuenti ai Comuni, alle modalità di partecipazione degli stessi 
all’accertamento fiscale e contributivo ed alle caratteristiche e modalità di invio 
delle segnalazioni (comma 8). 
Coerentemente con l’introduzione delle nuove modalità di partecipazione e di 
scambio dei dati con i Comuni per l’accertamento fiscale e contributivo, è abrogata 
la previsione secondo cui il Dipartimento delle finanze era tenuto a fornire, con 
cadenza semestrale, l’elenco delle iscrizioni a ruolo delle somme derivanti da 
accertamenti cui i Comuni abbiano contribuito (comma 5, lettera c)). 
Infine, vengono fissati due rilevanti criteri di ripartizione della quota spettante 
ai Comuni che abbiano contribuito all’accertamento (comma 9). 
È, infatti, previsto che gli importi riconosciuti ai Comuni a titolo di 
partecipazione all’accertamento sono calcolati al netto delle somme spettanti 
all’Unione europea e ad altri enti. Inoltre, sulle  quote delle maggiori somme in 
questione, che lo Stato trasferisce alle Regioni a statuto ordinario, a quelle a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano, spetta ai predetti enti riconoscere ai Comuni le somme dovute a titolo di partecipazione all’accertamento. 
3. Aggiornamento del catasto (articolo 19) 
L’articolo 19 del  decreto, modificato dalla legge di conversione, dispone 
l’attivazione dell’Anagrafe Immobiliare Integrata,  costituita e gestita dall’Agenzia 
del territorio, a decorrere dalla data del 1° gennaio 2011 al fine di contrastare 
l’evasione fiscale e contributiva che si realizza nell’occultamento dell’effettiva 
consistenza catastale degli immobili oggetto di imposizione. 9
Rinviando ai chiarimenti forniti dall’Agenzia del territorio in merito alla 
nuova disciplina con le circolari n. 3/T del 10 agosto 2010 e n. 2/T del 9 luglio 2010, per ciò che in questa sede rileva, l’articolo 19, comma 15, introduce uno specifico trattamento sanzionatorio con riferimento alla mancata o erronea indicazione dei dati catastali degli immobili nelle richiesta di registrazione di contratti, scritti o verbali, di locazione o affitto di beni immobili esistenti sul territorio dello Stato e relative cessioni, risoluzioni e proroghe anche tacite. 
In particolare, la mancata o errata indicazione dei dati catastali è considerata 
fatto rilevante ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro ed è punita con la 
sanzione prevista dall’articolo 69 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131. 
Tale disposizione - volta a colpire l’omissione della richiesta di registrazione 
degli atti e dei fatti rilevanti ai fini dell’applicazione dell’imposta ovvero l’omessa presentazione delle denunce degli eventi successivi alla registrazione - prevede l’applicazione della sanzione amministrativa dal 120 al 240 per cento dell’imposta dovuta. 
La nuova previsione sanzionatoria si applica per le violazioni compiute a 
decorrere dal 1° luglio 2010. 
4. Comunicazioni telematiche alla Agenzia delle Entrate (articolo 21) 
Nell’ambito delle disposizioni dirette a rafforzare gli strumenti a disposizione 
dell’Amministrazione finanziaria per il contrasto e la prevenzione dei 
comportamenti fraudolenti in materia di IVA, l’articolo 21 del  decreto introduce 
l’obbligo, a decorrere dal 2011, di comunicazione telematica delle operazioni 
rilevanti ai fini IVA, di importo pari o superiore a 3.000 euro. 
La limitazione dell’obbligo di tale comunicazione alle sole cessioni e 
prestazioni di importo unitario superiore a 3.000 euro consente di circoscrivere gli 
adempimenti ad una ristretta platea dei titolari di partita IVA, escludendo quei 10
contribuenti di minori dimensioni per i quali gli oneri connessi all’adempimento 
dell’obbligo in questione appaiono non proporzionati alla finalità della disposizione. 
Relativamente alle sanzioni previste per gli inadempimenti, la norma in 
commento stabilisce che l’omissione o l’incompleta  trasmissione dei dati richiesti 
determina l’applicazione della sanzione amministrativa di cui all’articolo 11 del 
d.lgs. n. 471 del 1997 (da un minimo di 258 euro ad un massimo di 2.065 euro). 
Al riguardo, si fa presente che con il provvedimento del Direttore 
dell’Agenzia delle entrate del 22 dicembre 2010 sono stati individuati i soggetti 
obbligati a tale comunicazione, gli elementi e i dati da comunicare, nonché le 
modalità di effettuazione della comunicazione. 
5. Aggiornamento dell’accertamento sintetico (articolo 22) 
L’articolo 22 del decreto riscrive l’articolo 38 - commi quarto, quinto, sesto, 
settimo e ottavo - del d.P.R. n. 600 del 1973 che disciplina le modalità con cui 
l’Amministrazione finanziaria procede alla determinazione sintetica del reddito in 
base ad elementi e circostanze di fatto presuntivi  di una capacità reddituale netta 
superiore a quella effettivamente dichiarata (cd. redditometro). 
Tali modifiche tengono conto del dichiarato obiettivo di adeguare 
l’accertamento basato sulla capacità di spesa del contribuente al nuovo contesto 
socio-economico, rendendolo più efficiente e dotandolo, nel contempo, di maggiori 
garanzie per il contribuente stesso. 
Le modifiche in parola innovano profondamente l’istituto dell’accertamento 
sintetico, quale importante strumento di contrasto  alla evasione dell’imposta sul 
reddito delle persone fisiche, con la conseguenza che la lista degli elementi 
indicativi di capacità contributiva messi a base della determinazione sintetica del 
reddito complessivo deve essere adeguata ai nuovi consumi e alle nuove abitudini 
economiche dei contribuenti. 
Si riportano, qui di seguito, le novità introdotte dalla riforma al citato articolo 
38: • la determinazione sintetica del reddito avviene mediante la presunzione che le 
spese sostenute dal contribuente nel periodo d’imposta siano state finanziate 
con redditi posseduti nel periodo medesimo, ferma restando la possibilità, per il 
contribuente, di provare che le spese sono state effettuate con altri mezzi (ad 
esempio, con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o, 
comunque, legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile) (quarto 
comma); 
• a tale presunzione si affianca l’accertamento “da redditometro”, ossia quello 
basato sul contenuto induttivo di elementi indicativi di capacità contributiva  
individuati con decreto ministeriale di prossima pubblicazione attraverso 
l’analisi di campioni significativi di contribuenti, differenziati in funzione del 
nucleo familiare e dell’area territoriale di appartenenza. Anche in questa ipotesi 
resta ferma, a favore del contribuente, la possibilità di prova contraria (quinto 
comma); 
• nell’accertamento di cui ai precedenti commi, la determinazione sintetica del 
reddito complessivo è ammessa a condizione che il reddito complessivo 
accertabile ecceda di almeno un quinto quello dichiarato (cd. clausola di 
garanzia che, prima della riforma, era pari ad un quarto) (sesto comma); 
• in linea con le disposizioni contenute nella legge  27 luglio 2000, n. 212 
(Statuto dei diritti del contribuente), l’ufficio finanziario che procede 
all’accertamento sintetico del reddito complessivo  ha l’obbligo di invitare il 
contribuente a comparire - di persona o a mezzo di rappresentante - per fornire 
eventuali elementi di prova a proprio favore, e solo successivamente, di avviare 
il procedimento di accertamento con adesione (settimo comma); 12
• dal reddito complessivo determinato sinteticamente sono deducibili i soli oneri 
previsti dall’articolo 10 del T.U.I.R., ferma restando la spettanza delle 
detrazioni d’imposta relative ad oneri per i quali le stesse competono (ottavo 
comma). 
Per effetto delle modifiche recate dall’articolo 22, è venuta meno la 
previsione secondo cui per poter procedere con l’accertamento sintetico era 
necessario che il superamento della soglia si verificasse per due o più periodi 
d’imposta, anche non consecutivi. Ne consegue che il nuovo accertamento sintetico 
può essere applicato in relazione a ciascuna annualità per la quale il reddito 
dichiarato non risulti in linea con quello presunto.  
Si precisa, tuttavia, che le nuove disposizioni in commento hanno effetto per 
gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non era 
ancora scaduto alla data di entrata in vigore del decreto. 
Considerata la rilevanza delle modifiche normative  in esame, si rinvia ai 
futuri chiarimenti da parte dell’Agenzia delle entrate. 
6. Contrasto al fenomeno delle imprese “apri e chiudi” e Contrasto al fenomeno 
delle imprese in perdita “sistemica” (articoli 23 e 24)  
Gli articoli 23 e 24 del  decreto rispondono alla esigenza di monitorare in 
modo sistematico, nell’ambito dell’attività di controllo, quelle situazioni a più 
elevato rischio di evasione, tra le quali rientrano le imprese cosiddette “apri e 
chiudi” (ossia quelle imprese che cessano l’attività entro un anno dalla data di inizio 
della stessa), nonché le imprese in perdita “sistemica”. 
Per questa loro peculiarità, tali imprese sono inserite ex lege nella selezione 
delle posizioni da sottoporre a controllo da parte  dell’Agenzia delle entrate, della 
Guardia di Finanza e dell’INPS, atteso che, dall’esperienza dei controlli fiscali, a 
questa categoria di contribuenti sono stati spesso  associati comportamenti 
fraudolenti sia di natura fiscale (false fatturazioni e frodi carosello) che contributiva. 13
Si evidenzia, tra l’altro, che la disposizione di cui all’art. 23 in esame fa 
riferimento alle sole imprese (a prescindere dalla natura giuridica delle stesse) e non 
ai professionisti, nonché ad un periodo di tempo che non è l’anno di imposta ma 
l’anno solare. 
La disposizione contenuta nel comma 1 dell’articolo 24 del  decreto  si 
riferisce, nello specifico, alle imprese che si dichiarano in perdita, ai fini delle 
imposte sui redditi, per più annualità e per le quali il rischio di evasione è del tutto 
evidente, atteso che perdite reiterate esulano da ogni logica imprenditoriale e 
depongono per un posizionamento fuori mercato che, ove persistente, non giustifica 
la sopravvivenza dell’impresa stessa. 
Ai fini del monitoraggio, la norma esclude espressamente le perdite fiscali 
determinate da compensi erogati ad amministratori e soci, trattandosi di componenti 
reddituali tassati in capo ai percettori. 
La norma non individua un periodo temporale minimo trascorso il quale la 
perdita può definirsi “sistemica”; pertanto, la perdita fiscale che si protrae per 
almeno due esercizi consecutivi sarà sufficiente, in assenza di deliberazioni sociali 
di aumenti di capitale a titolo oneroso, di importo almeno pari alle perdite fiscali 
stesse, a legittimare l’attività di accertamento da parte degli Organi di controllo. 
Il 2 comma dell’articolo 24 del  decreto – anche al fine di armonizzare 
l’attività sinergica tra Agenzie delle entrate e Guardia di finanza nell’ambito 
dell’attività di monitoraggio in esame – prevede coordinati piani di intervento 
annuali elaborati sulla base di analisi di rischio  a livello locale nei confronti dei contribuenti non soggetti agli studi di settore né  a tutoraggio che, proprio a causa della reiterata esposizione di perdite fiscali, presentano un rischio di evasione complessiva particolarmente elevato. 
Al riguardo, si rappresenta che la programmazione di controlli fiscali delle 
imprese in perdita prevista dalla norma in esame è in linea con quanto ribadito negli 
ultimi anni, sia dalla prassi amministrativa dell’Agenzia delle entrate (cfr., circolari 14 n. 20/E del 16 aprile 2010 e n. 13/E del 9 aprile 2009), che dalla giurisprudenza di legittimità (cfr., Corte di Cassazione, sentenze n. 24436 del 2 ottobre 2008 e n. 21536 del 15 ottobre 2007). 
Sulla individuazione dei criteri selettivi da utilizzare per scegliere i soggetti 
da sottoporre a vigilanza fiscale – che dovranno rappresentare almeno un quinto 
della platea degli interessati – nonché per l’approfondimento di altri aspetti operativi della norma, si rinvia a successivi documenti ufficiali dell’Agenzia delle entrate. 
7. Contrasto di interessi (articolo 25)
L’articolo 25 del decreto prevede l’assoggettamento a ritenuta d’acconto, ai 
fini dell’imposta sul reddito dei percipienti, dei  compensi corrisposti mediante 
bonifici bancari o postali, quale modalità obbligatoria di pagamento per beneficiare 
di oneri deducibili o per i quali spetta la detrazione d’imposta. 
Trattasi, nello specifico, delle spese di intervento di recupero del patrimonio 
edilizio, ai sensi dell’articolo 1, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 e successive 
modificazioni, nonché delle spese per interventi di risparmio energetico, di cui 
all’articolo 1, commi 344, 345, 346 e 347, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 e 
successive modificazioni. 
Come precisato nel provvedimento del 30 giugno 2010 del Direttore 
dell’Agenzia delle entrate, le banche e le Poste Italiane S.p.A. che ricevono i 
bonifici disposti per le spese citate operano, all’atto dell’accredito dei pagamenti, la ritenuta del 10 per cento a titolo di acconto dell’imposta sul reddito dovuta dai 
beneficiari, con obbligo di rivalsa. 
Il versamento delle ritenute deve essere effettuato secondo le ordinarie 
modalità di cui all’articolo 17 del d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241, entro il giorno 16 del mese successivo a quello in cui è stata effettuata la ritenuta. 15
Con la risoluzione n. 65/E del 30 giugno 2010 e la  successiva circolare n. 
40/E del 28 luglio 2010, cui si rinvia, l’Agenzia delle entrate ha fornito le istruzioni operative in merito alla corretta applicazione delle richiamate disposizioni. 
8. Adeguamento alle direttive OCSE in materia di documentazione dei prezzi di 
trasferimento (articolo 26) 
L’articolo 26 del  decreto introduce misure finalizzate a incrementare 
l’efficacia dell’azione di controllo dell’Amministrazione finanziaria sulle operazioni rientranti nella disciplina sui prezzi di trasferimento di cui all’articolo 110, comma 
7, del TUIR (transfer pricing). 
Tale intervento è finalizzato all’adeguamento della normativa nazionale alle 
disposizioni emanate dall’OCSE ed a Codice di condotta UE in materia di 
documentazione dei prezzi di trasferimento, nonché  ai principi di collaborazione e 
buona fede tra contribuenti ed Amministrazione finanziaria fissati nell’articolo 10 
dello Statuto dei diritti del contribuente. 
In particolare, l’articolo 26 introduce dopo il comma 2-bis, dell’articolo 1 del 
d.lgs. n. 471 del 1997, il comma 2-ter con il quale viene esclusa l’applicazione della sanzione prevista dal comma 2, dell’articolo 1 del d.lgs. n. 471 del 1997, in materia di dichiarazione infedele, al verificarsi delle condizioni ivi indicate. 
In altri termini, la novella normativa attribuisce alle imprese la possibilità di 
usufruire di un regime di esonero dalle sanzioni per infedeltà delle dichiarazioni 
fiscali, qualora le stesse offrano la propria collaborazione al fine di consentire 
all’Amministrazione finanziaria di determinare la loro effettiva capacità 
contributiva. 
In particolare, le imprese possono consegnare all’Amministrazione 
finanziaria, in sede di controllo, una documentazione idonea a consentire agli 
accertatori il riscontro della conformità al valore normale dei prezzi di trasferimento 
praticati. 
In generale, si tratta di documentazione finalizzata a consentire il riscontro 
della conformità dei prezzi di trasferimento praticati al principio del valore normale. 
Così operando, l’Amministrazione finanziaria può disporre, in sede di 
verifica delle operazioni di  transfer pricing, della documentazione necessaria a 
verificare la corrispondenza dei prezzi determinati tra imprese associate 
multinazionali con quelli praticati in regime di libera concorrenza.  
La tipologia documentale prevista dalla disposizione in esame è stata 
individuata con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate del 29 
settembre 2010 (prot. n. 2010/137654), in conformità con i contenuti del codice di 
condotta sulla documentazione dei prezzi di trasferimento per le imprese associate 
nell’Unione europea. 
In particolare, nel citato documento direttoriale sono stati forniti precisi 
chiarimenti sia in merito alla “idoneità” della documentazione da esibire in sede di 
controllo, che in ordine alle modalità e termini di presentazione, al competente 
Ufficio finanziario e prima dell’avvio del procedimento di accertamento, della 
comunicazione attestante il possesso della documentazione richiesta. 
Ne consegue che, in caso di accesso, ispezione, verifica o altra attività 
istruttoria, in assenza di detta comunicazione, è preclusa la possibilità per il 
contribuente di fruire del regime di favore previsto dalla disposizione in commento. 
La norma prevede inoltre che, in sede di prima applicazione delle nuove 
disposizioni, i termini per la presentazione della  comunicazione, per i periodi 
d’imposta anteriori a quello in corso alla data di entrata in vigore del decreto, sono fissati in 90 giorni dalla pubblicazione del provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate. 
La circolare  n. 58/E del 15 dicembre 2010 ha fornito chiarimenti sulla 
corretta applicazione della disposizione in esame. 
  
9. Adeguamento alla normativa europea in materia di operazioni intracomunitarie 
ai fini del contrasto delle frodi (articolo 27) 
L’articolo 27 del  decreto, in linea con le raccomandazioni espresse dalla 
Commissione europea in materia di contrasto alle frodi IVA, subordina - attraverso 
l’integrazione dell’articolo 35 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 - la possibilità di effettuare operazioni intracomunitarie alla preventiva autorizzazione da parte 
dell’Amministrazione finanziaria. 
Nello specifico, nel comma 2 del citato articolo 35 è stata aggiunta la lettera 
e-bis, in base alla quale all’atto della presentazione del modello per l’attribuzione 
della partita IVA, all’operatore economico viene chiesto di specificare se intende 
effettuare operazioni intracomunitarie. 
Sempre all’articolo 35 sono stati aggiunti: 
- il comma 7-bis con cui viene previsto che, entro 30 giorni dalla data 
di attribuzione del numero di partita IVA, l’ufficio finanziario può 
emettere un provvedimento di diniego 
- il comma 7-ter, che rinvia ad un provvedimento del Direttore 
dell’Agenzia delle entrate il compito di individuare le modalità di 
diniego dell’autorizzazione o di revoca di quella   precedentemente 
concessa. 
La possibilità di effettuare operazioni intracomunitarie è subordinata ad una 
volontà espressa manifestata dal contribuente nella dichiarazione di inizio attività - ovvero in un momento successivo rispetto all’inizio dell’attività, mediante apposita istanza da presentare direttamente ad un ufficio dell’Agenzia delle entrate - e alla mancata emanazione, entro 30 giorni dalla ricezione della dichiarazione di volontà, del provvedimento di diniego emesso dall’ufficio finanziario. 
Al riguardo, si evidenzia che la norma non prevede  un provvedimento 
autorizzativo espresso; opera quindi il meccanismo del silenzio-assenso. 18
Durante questi 30 giorni l’operatore economico può effettuare solo operazioni 
interne, non possedendo la soggettività attiva e passiva per effettuare operazioni 
intracomunitarie e non essendo, peraltro, incluso nell’archivio della banca dati VIES 
(VAT Information Exchange System). 
Una volta trascorsi i 30 giorni, qualora non sia stato emanato un espresso e 
motivato provvedimento di diniego, il contribuente viene inserito nel citato archivio 
VIES. 
Da ultimo la novella introduce, sempre all’articolo 35 del d.P.R. n. 633 del 
1972, il comma 15-quater che, per quanto riguarda le partite IVA già attribuite in 
Italia in data antecedente all’entrata in vigore delle nuove norme, demanda ad un 
provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate la definizione dei criteri e 
delle modalità per la loro esposizione nel sistema comunitario VIES. 
In attuazione di quanto disposto dai commi 7-ter e 15-quater dell’articolo 35 
del d.P.R. n. 633/72, così come modificato dall’articolo 27 del d.l. n. 78 del 2010, 
con i provvedimenti n. 2010/188376 e prot. n. 2010/188381 sono state stabilite, 
rispettivamente, le modalità di diniego o revoca dell’autorizzazione ad effettuare 
operazioni intracomunitarie ad esito delle verifiche svolte dall’Agenzia nonché i 
criteri e le modalità di inclusione delle partite IVA nella banca dati dei soggetti 
passivi che effettuano operazioni intracomunitarie.  
L’argomento sarà oggetto di ulteriori chiarimenti da parte dell’Agenzia delle 
entrate. 
10. Incrocio tra le basi dati dell’INPS e dell’Agenzia delle entrate per contrastare 
la microevasione diffusa (articolo 28) 
L’articolo 28 del decreto prevede che l’Agenzia delle entrate esegua specifici 
controlli sui soggetti che, pur essendo titolari presso l’INPS di una posizione 
contributiva quali lavoratori dipendenti, risultano non aver mai dichiarato il relativo reddito; analoga previsione opera qualora risulti che non siano state effettuate da 19 parte del datore di lavoro le ritenute d’imposta previste dalla vigente normativa. 
L’incrocio di tali dati è volto a contrastare una microevasione diffusa sul territorio, mediante il potenziamento dell’attività di controllo automatizzata, attribuita ad apposite articolazioni dell’Agenzia delle entrate, con competenza in tutto o parte del territorio nazionale, che dovranno essere individuate mediante regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle entrate di cui all’articolo 71 del d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300. 
L’articolo in parola modifica, peraltro, l’articolo 4 e l’articolo 10 del d.lgs. 31 
dicembre 1992, n. 546, che disciplinano rispettivamente la competenza per territorio 
delle Commissioni tributarie e le parti del processo tributario. Il novellato articolo 4, comma 1, prevede che, in caso di controversia “proposta nei confronti di un centro di servizio o altre articolazioni dell’Agenzia delle entrate…”, è competente la Commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione ha sede l’ufficio al quale spettano le attribuzioni sul tributo controverso. In tale evenienza, ai sensi del successivo articolo 10 del d.lgs. n. 546 del 1992, è parte del processo di fronte alla Commissione tributaria l’ufficio al quale spettano  le attribuzioni sul rapporto controverso. 
11. Concentrazione della riscossione nell’accertamento (articolo 29) 
L’articolo 29 del  decreto  contiene tutta una serie di disposizioni volte a 
potenziare l’attività di riscossione.  
In particolare, il comma 1 disciplina i nuovi contenuti degli avvisi di 
accertamento relativi alle imposte sul reddito, all’IVA e all’IRAP dei connessi 
provvedimenti di irrogazione sanzioni, funzionali all’attività di riscossione. 
A tal riguardo, la lettera a) prevede che i citati atti, notificati a partire dal 1° 
luglio 2011 e concernenti i periodi di imposta in corso alla data del 31 dicembre 
2007 e successivi, debbano contenere anche l’intimazione ad adempiere entro il 
termine di presentazione del ricorso: 
• all’obbligo di pagamento dei tributi indicati negli avvisi di 
accertamento ovvero 
• qualora il contribuente presenti ricorso, degli importi determinabili ai 
sensi dell’articolo 15 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, ossia “la 
metà degli ammontari corrispondenti agli imponibili o ai maggiori 
imponibili accertati”.
Qualora i tributi dovuti in base all’accertamento vengano rideterminati, gli 
atti successivi - da notificare anche mediante raccomandata con avviso di 
ricevimento - devono contenere l’intimazione di pagamento. Tale disposizione si 
applica anche in caso di accertamento con adesione - quando non sia versata anche 
una sola delle rate successive alla prima - ovvero quando a seguito di una sentenza 
della Commissione tributaria provinciale o regionale il tributo sia dovuto nella 
misura stabilita dall’articolo 68 del d.lgs. n. 546 del 1992 e 19 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472. In tale evenienza il pagamento deve avvenire entro 60 giorni dal ricevimento della raccomandata. 
Ai sensi del disposto della lettera b), gli accertamenti in parola divengono 
esecutivi una volta trascorsi 60 giorni dalla notifica e devono espressamente 
contenere l’avvertimento che, decorsi 30 giorni dal termine ultimo per il pagamento 
- in deroga alle disposizioni in materia di iscrizione a ruolo - la riscossione delle 
somme richieste è affidata all’agente della riscossione anche a fini dell’esecuzione 
forzata. Le modalità di riscossione saranno determinate con provvedimento del 
Direttore dell’Agenzia delle entrate di concerto con il Ragioniere generale dello 
Stato. 
In caso di fondato pericolo per la riscossione, la  lettera c) prevede poi -
riproducendo il disposto dell’articolo 15-bis del d.P.R. n. 602 del 1973 relativo 
all’iscrizione nei ruoli straordinari - che, decorsi sessanta giorni dalla notifica degli 21 atti di cui alla lettera a), la riscossione delle somme dovute per il loro intero  ammontare, comprensive di interessi e sanzioni, può essere affidata agli agenti della 
riscossione anche prima dei termini fissati dalle lettere a) e b). Anche in questo caso,  quindi, gli accertamenti divengono esecutivi dopo 60 giorni dalla notifica; pertanto l’agente della riscossione non può procedere ad esecuzione forzata prima di tale termine. 
Le lettere d) ed e) dispongono che l’ufficio competente, anche su richiesta 
dell’Agente per la riscossione, deve fornire tutti gli elementi utili al potenziamento 
dell’attività di riscossione, compresi quelli acquisiti in fase di accertamento. 
L’agente della riscossione, senza la preventiva notifica della cartella di 
pagamento, sulla base dello stesso accertamento che costituisce titolo esecutivo, 
procede all’espropriazione forzata con le stesse modalità previste per i tributi iscritti 
a ruolo, entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello di notifica 
dell’accertamento. Trascorso un anno dalla notifica dell’accertamento, si applicano 
le disposizioni dell’articolo 50 del d.P.R. n. 602 del 1973, secondo cui l’agente della 
riscossione ha l’obbligo di notificare al debitore  un avviso che contiene 
l’intimazione ad effettuare, entro 5 giorni, il pagamento delle somme risultanti 
dall’atto di accertamento. 
A partire dal giorno successivo al termine ultimo per la presentazione del 
ricorso, le somme dovute sono maggiorate degli interessi di mora, calcolati dal 
giorno successivo a quello di notifica dell’atto. All’agente per la riscossione spetta 
l’aggio, interamente a carico del debitore, e il rimborso delle spese di esecuzione, 
così come previsto dall’articolo 17 del d.lgs. 13 aprile 1999, n. 112. 
Al fine di coordinare le disposizioni già vigenti con le nuove norme, la lettera 
g) dispone che i riferimenti al ruolo e alla cartella di pagamento contenuti in norme 
vigenti si intendono effettuati agli atti di accertamento in parola. L’Agente della 
riscossione, solo dopo l’affidamento del carico, può concedere la dilazione di 
pagamento prevista dall’articolo 19 del d.P.R. n. 602 del 1973. 22
Nel caso in cui sia presentato ricorso avverso l’atto di accertamento, si rende 
applicabile l’articolo 39 del d.P.R. n. 602 del 1973, che prevede la facoltà per 
l’ufficio delle entrate di sospendere in tutto o in parte il ruolo fino alla sentenza della 
Commissione tributaria provinciale. 
La lettera h) prevede, infine, che con regolamenti adottati ai sensi 
dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400 siano razionalizzate, in armonia con le nuove procedure, quelle di riscossione coattiva delle somme dovute 
anche a seguito dell’attività di liquidazione, controllo e accertamento sia ai fini delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto che ai fini degli altri tributi amministrativi  dall’Agenzia delle Entrate  e delle altre entrate che si riscuotono mediante ruolo. 
Il comma 2 dell’articolo 29  modifica il primo comma dell’articolo 182-ter
del Regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (di seguito L.F.) prevedendo che in sede di 
transazione fiscale le ritenute d’imposta effettuate e non versate possano essere solo oggetto di dilazione e non di falcidia. 
Il medesimo comma interviene anche sul comma 6 del citato articolo 182-ter
e, ponendo fine ad una situazione di incertezza, dispone che la proposta di 
transazione fiscale presentata nell’ambito delle trattative che precedono la stipula 
dell’accordo di ristrutturazione dei debiti (disciplinato dall’articolo 182-bis) deve 
essere corredata dalla documentazione prevista dall’articolo 161 della L.F. che, a sua volta, disciplina il concordato preventivo. Alla proposta di transazione deve, inoltre, essere allegata una dichiarazione sostitutiva, resa dal debitore o dal legale rappresentante, che la documentazione prevista dal  citato articolo 161 rappresenta fedelmente ed integralmente la situazione dell’impresa, con particolare riguardo alle poste attive del patrimonio. Tale obbligo è volto alla tutela dei terzi, ai quali l’accordo di ristrutturazione formatosi con procedura stragiudiziale offre minori garanzie rispetto al concordato preventivo che si svolge sotto il controllo degli organi giudiziali. 
Viene, infine, inserito nell’articolo 182-ter un ultimo comma che prevede, per 
le sole ipotesi di transazione fiscale conclusa nell’ambito degli accordi di 
ristrutturazione dei debiti, la revoca di diritto della transazione nel caso in cui il 
debitore non esegua integralmente, entro 90 giorni  dalle scadenze previste, i 
pagamenti dovuti alle Agenzie fiscali ed agli enti  gestori di forme di previdenza e 
assistenza obbligatorie. 
La disposizione di cui al comma 3 dell’articolo 29 prevede che l’agente della  
riscossione, al quale venga comunicata una proposta di concordato fallimentare, 
deve trasmetterla tempestivamente all’Agenzia delle entrate avvalendosi di ogni 
mezzo idoneo anche in deroga ai tempi ed alle modalità di cui all’art. 36 del D. Lgs. 
112 del 1999, e può approvare la proposta in sede di votazione ai sensi dell’art. 127 
del R.D. 267 del 1942, solo previa espressa autorizzazione di quest’ultima. 
La norma recata dal comma 4 dell’articolo 29 riformula l’articolo 11 del 
d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, che disciplina il reato di sottrazione fraudolenta al 
pagamento di imposte. 
La novellata norma prevede, al comma 1, che sia punito con la reclusione da 
sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte sul 
reddito e IVA, alieni simultaneamente o compia altri atti fraudolenti sui propri beni 
o su beni altrui, tali da rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di 
riscossione coattiva delle imposte. Se l’ammontare  delle imposte, interessi e 
sanzioni è superiore a 200.000 euro, è prevista una aggravante (reclusione da un 
anno a sei anni). 
Il successivo comma 2 riconduce al reato in questione - e, quindi, alla 
medesima pena - anche la condotta di chi, nell’ambito della transazione fiscale, al 
fine di ottenere per sé o per altri il riconoscimento di un debito tributario di minore 
importo, indica nella documentazione presentata elementi passivi fittizi oppure 24
espone elementi attivi in misura inferiore al reale, per un ammontare complessivo 
superiore a 50.000 euro (soglia di punibilità così individuata, in considerazione del 
fatto che la sottovalutazione del patrimonio, nell’ambito di procedure concorsuali o 
comunque preconcorsuali, equivale alla sottrazione  di un importo pari alle somme 
destinate al pagamento delle imposte dovute e dei relativi accessori). Anche per 
questo reato è prevista una aggravante specifica qualora il falso riguardi 
l’indicazione di elementi attivi in misura inferiore al reale o di elementi passivi 
fittizi per un ammontare complessivo superiore a 200.000 euro (reclusione da un 
anno a sei anni). 
Rispetto al testo precedentemente in vigore, pertanto, la riformulazione 
dell’articolo 11 riduce la soglia di punibilità, fissandola a 50.000 euro, introduce uno 
specifico reato in caso di transazione fiscale, volto a punire comportamenti 
fraudolenti e prevede, nel contempo, una specifica  aggravante sia nel caso di 
sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, che nel caso di presentazione di 
falsa documentazione nell’ambito della transazione fiscale. 
Il comma 5 dell’articolo 29 modifica l’articolo 27, comma 7, del d.l. 29 
novembre 2008, n. 185, che, in relazione agli importi iscritti a ruolo, prevedeva a 
favore dell’Agente della riscossione, senza bisogno di annotazione o altra formalità, 
la conservazione della validità e del grado delle misure cautelari adottate dopo la 
notifica del provvedimento “con il quale vengono accertati  di maggiori tributi”. La 
modifica in parola estende tale automatismo anche quando le misure cautelari sono 
adottate in base al processo verbale di constatazione, al provvedimento di 
irrogazione della sanzione oppure all’atto di contestazione.  
Il successivo comma 6 prevede che il curatore fallimentare, entro i 15 giorni 
successivi all’accettazione della nomina, comunichi all’Agenzia delle entrate, ai 25
sensi dell’articolo 9 del d.l. 31 gennaio 2007, n.  7, i dati relativi al fallimento,  
necessari per l’eventuale procedura d’insinuazione nel passivo fallimentare. 
Il comma 7, infine, estende l’ipotesi di circostanze aggravanti del reato di 
corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio, previste dall’articolo 319-bis del 
codice penale, al caso di omesso o ritardato pagamento o rimborso di tributi da parte 
di pubblico ufficiale. 
Lo stesso comma, infine, per deflazionare il contenzioso e favorire l’uso di 
strumenti volti ad una definizione concordata della pretesa tributaria - che spesso 
necessita di valutazioni complesse basate su mezzi  di prova che soffrono di 
particolari limitazioni - circoscrive la responsabilità dei soggetti sottoposti alla 
giurisdizione della Corte dei Conti in materia di contabilità pubblica (articolo 1, 
comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 20) alla sola ipotesi di dolo, con riguardo 
alle valutazioni di diritto o di fatto effettuate ai fini della definizione del contesto mediante transazione fiscale (articolo 182-ter della L.F.), di accertamento con adesione (d.lgs. 19 giugno 1997, n. 218) e di conciliazione giudiziale (articolo 48 del d.lgs. n. 546 del 1992), lasciando, peraltro, invariata la responsabilità 
amministrativa. 
12. Preclusione alla autocompensazione in presenza  di debito su ruoli definitivi 
(articolo 31) 
Il comma 1 dell’articolo 31 del  decreto pone un limite alla compensazione 
dei crediti relativi alle imposte erariali prevista dall’articolo 17, comma 1, del d.lgs. 
n. 241 del 1997, precludendo al contribuente la possibilità esercitarla in presenza di debiti per imposte erariali e relativi accessori iscritti a ruolo, se di importo superiore a 1.500 euro e per i quali sia scaduto il termine di pagamento .  
La preclusione vale anche per le cartelle già notificate nel 2010 e, comunque, 
per  tutte quelle il cui termine di pagamento sia già scaduto anteriormente al primo 
gennaio 2011. 
La compensazione è, dunque, ancora possibile solo entro 60 giorni dalla 
notifica della cartella, ovvero qualora il pagamento dei ruoli sia eseguito 
tempestivamente.  
L’indebita compensazione è punita con una sanzione  pari al 50 per cento 
degli importi iscritti a ruolo per imposte erariali e relativi accessori e per i quali è 
scaduto il termine di pagamento e non può, comunque, superare il limite del 50 per 
cento dell’ammontare indebitamente compensato. La sanzione per indebita 
compensazione non può essere applicata finché sulla iscrizione a ruolo penda 
contestazione in sede giurisdizionale o amministrativa. In tale evenienza i termini 
per applicare la sanzione decorrono dal giorno successivo alla definizione della 
contestazione. 
Nelle ipotesi in cui sull’iscrizione a ruolo penda  contestazione, la decorrenza 
dei termini decadenziali per la notificazione dell’atto di contestazione decorre dal 
giorno successivo alla data della definizione della contestazione medesima . 
Coerentemente con la stessa ratio della disposizione, la quale è stata 
introdotta al precipuo fine di contrastare le compensazioni immediate da parte di chi, 
pur disponendo di un credito erariale, sia nel contempo debitore di somme iscritte a 
ruolo per debiti erariali e relativi accessori, a volte di considerevole ammontare e 
risalenti nel tempo, costringendo spesso gli organi della riscossione a defatiganti 
attività esecutive spesso vanificate da deliberate  spoliazioni preventive del proprio patrimonio, la disposizione va interpretata nel senso che al contribuente titolare di crediti di importo superiore a quello iscritto a ruolo, non è consentito effettuare 
alcuna compensazione se non assolve, preventivamente, l’intero debito per il quale è 
scaduto il termine di pagamento, unitamente con i relativi accessori. 
La disposizione, pertanto, configura un obbligo di  preventiva estinzione dei 
debiti iscritti a ruolo e non una “riserva indisponibile” del credito pari all’ammontare di tali debiti. 27
La disposizione chiarisce, poi, che la compensazione è vietata fino a 
concorrenza dell’importo dei debiti iscritti a ruolo per imposte erariali e relativi 
accessori  (per i quali è scaduto il termine di pagamento). 
Quanto ai tributi cui fa riferimento, devono intendersi, ad esempio, le imposte 
dirette, l’imposta sul valore aggiunto ed le altre imposte indirette, con esclusione, 
quindi, dei tributi locali e dei contributi di qualsiasi natura . 
La disposizione in esame ammette, poi, il pagamento, anche parziale, delle 
somme iscritte a ruolo per imposte erariali e relativi accessori mediante la 
compensazione dei crediti relativi a dette imposte, secondo modalità che saranno 
stabilite con apposito decreto del Ministero dell’Economia e delle finanze. 
Prevede, inoltre, che nell’ambito delle attività di controllo dell’Agenzia delle 
entrate sia assicurata la vigilanza sull’osservanza del previsto divieto di 
compensazione. 
13. Stock options ed emolumenti variabili a dirigenti e collaboratori del settore 
finanziario (articolo 33)  
L’art. 33 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78,  convertito con 
modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, ha introdotto per i dirigenti e i 
collaboratori di imprese che operano nel settore finanziario un’aliquota addizionale 
del 10% su specifici compensi. 
L’addizionale, in particolare, si applica agli emolumenti variabili, 
corrisposti sotto forma di bonus e stock options, per la parte degli stessi che eccede il triplo della parte fissa della retribuzione. 
L’intervento normativo si ricollega alle decisioni  assunte in sede di G-20 
volte ad eliminare gli effetti distorsivi prodotti  sul sistema finanziario e 
sull’economia mondiale dai premi erogati sotto forma di bonus e stock options legati 
agli andamenti del mercato. 28
13.1 Ambito di applicazione dell’aliquota addizionale: individuazione del Settore 
finanziario In mancanza di una espressa definizione di “settore finanziario” da parte 
della norma in esame,  si ritiene che questo vada individuato nelle banche e negli 
altri enti finanziari, nonché negli enti e nelle altre società la cui attività consista in via esclusiva o prevalente nell’assunzione  di partecipazioni. 
Sono quindi comprese nell’ambito applicativo della  norma le banche 
nonché, ad esempio, le società di gestione (Sgr), le società di intermediazione 
mobiliare (Sim), gli intermediari finanziari, gli istituti che svolgono attività di 
emissione di moneta elettronica, le società esercenti le attività finanziarie indicate nell’art. 59, comma 1, lettera b), del Testo Unico Bancario, le holding che assumono e/o gestiscono partecipazioni in società finanziarie, creditizie o industriali.  
13. 2 Dipendenti e collaboratori soggetti a prelievo 
L’addizionale trova applicazione nei confronti dei dipendenti che rivestono 
la qualifica di dirigenti e dei collaboratori che operano nel settore. Il riferimento ad una specifica categoria di lavoratori subordinati, tra quelle menzionate dall’art. 2095 c.c. che indica accanto ai dirigenti, i quadri, gli impiegati e gli operai comporta che 
il requisito di appartenenza alla categoria, il cui ruolo in linea generale è 
caratterizzato da un elevato grado di professionalità, autonomia e potere decisionale, non essendo oggetto di specifica previsione normativa, è demandato al contratto di lavoro. 
La disposizione, inoltre, è rivolta ai titolari di  rapporti di collaborazione 
coordinata e continuativa, sul presupposto che anche a tali figure possa essere 
attribuita un elevato grado di autonomia e potere decisionale come si evince dalla 
relazione illustrativa al decreto che menziona tra  i destinatari della norma gli 
amministratori di società. 
La finalità della norma, tesa a assoggettare al prelievo aggiuntivo un 
particolare settore di attività ritenuto responsabile della recente crisi economico finanziaria, porta inoltre a ritenere che siano soggetti al prelievo dell’addizionale 
anche i dirigenti del settore bancario e finanziario che prestano la loro attività 
lavorativa all’estero, per i quali, ai fini dell’applicazione dell’aliquota addizionale 
del 10 per cento, occorrerà tener  conto della retribuzione effettiva prevista dal 
contratto di lavoro, a prescindere dai criteri convenzionali di determinazione del 
relativo reddito da lavoro dipendente dettati dall’art. 51, comma 8-bis), del TUIR  
 13.3 Retribuzione imponibile 
 Presupposto per l’applicazione dell’aliquota addizionale è l’articolazione 
della retribuzione in una parte fissa e in una parte variabile, atteso che la base 
imponibile dell’addizionale è stabilita nella quota della retribuzione variabile che 
eccede il triplo di quella fissa annua. 
 Ai fini di tale rapporto, i compensi da assoggettare all’aliquota addizionale 
devono essere individuati sulla base delle pattuizioni contrattuali senza tener conto, 
pertanto, della rilevanza fiscale delle varie componenti retributive né del criterio 
temporale di individuazione del momento impositivo. In particolare, occorre 
considerare le componenti retributive fisse previste dal contratto di lavoro o di 
collaborazione (al lordo quindi delle ritenute fiscali e previdenziali) e raffrontarle con la retribuzione variabile maturata per il medesimo anno. 
 L’eventuale importo da assoggettare al prelievo aggiuntivo andrà quindi 
individuato a prescindere da eventuali rateazioni del premio di erogazione dello 
stesso dovendo ritenersi applicabile l’addizionale  nell’ipotesi in cui, sommando i 
premi che maturano nel periodo d’imposta, risulti superato il triplo della retribuzione fissa prevista per il medesimo periodo, fermo restando che l’applicazione del 
prelievo sarà effettuata al momento della erogazione del premio. 
Per quanto concerne gli emolumenti premiali erogati anziché in denaro 
sottoforma di stock options si ritiene che tra questi ultimi, attesa la formulazione 
generica della norma, rientrino tutte le forme di incentivazione realizzate con azioni, 
le quali rileveranno in ragione del loro valore normale, individuato ai sensi 
dell’articolo 9 del TUIR, alla data in cui vengono  assegnate al dirigente o al 
collaboratore, al netto delle somme da questi corrisposte. 
13.4 Modalità applicative dell’addizionale 
L’aliquota addizionale, disciplinata da una norma autonoma, non è inserita tra 
le aliquote IRPEF previste dal TUIR essendo rivolta soltanto ad alcune categorie di 
contribuenti e non alla generalità; si configura, pertanto, come un prelievo d’imposta 
indipendente dall’IRPEF anche se ne mutua la disciplina per quanto concerne 
l’accertamento, la riscossione, le sanzioni e il contenzioso. 
Trattandosi di una tassazione aggiuntiva ma distinta dall’applicazione 
dell’IRPEF ordinaria, l’addizionale, in particolare: 
• non concorre all’importo sul quale possono essere fatte valere le eventuali 
detrazioni d’imposta; 
• non rileva nella determinazione dell’aliquota media da applicare ai fini della 
tassazione separata; 
• non deve essere considerata nell’imposta italiana che costituisce il limite 
entro cui può essere attribuito il credito d’imposta per l’imposta pagata 
all’estero. 
In ragione del rinvio alle modalità applicative dell’IRPEF, l’addizionale può 
essere oggetto di compensazione sia interna che esterna.
Ai sensi dell’art. 33 del decreto legge in commento, l’addizionale è 
trattenuta dal sostituto d’imposta al momento di erogazione dei bonus e delle stock 
options,  ed è da questi versata  utilizzando i codici tributo istituiti con Risoluzione 4 
gennaio 2011, n. 1/E.  
Nel rispetto del principio di cassa, che regola il momento impositivo per la 
categoria del reddito di lavoro dipendente e assimilato, il prelievo deve essere 
operato al momento dell’erogazione della parte di premio che eccede il triplo della 31
retribuzione fissa; tale condizione, qualora non sia riscontrabile al momento della 
corresponsione, andrà verificata al momento del conguaglio ed in tale sede andrà 
applicata l’addizionale.. 
Qualora i premi siano rateizzati in più periodi d’imposta, l’addizionale 
troverà applicazione nel momento in cui, tenuto conto delle precedenti 
corresponsioni, si verificherà il superamento del limite previsto dalla norma. La 
parte fissa della retribuzione di riferimento sarà sempre quella contrattuale dell’anno 
di maturazione del premio stesso. 
 Nell’ipotesi in cui il datore di lavoro sia un soggetto estero, non tenuto agli 
obblighi di sostituzione in Italia, sarà il lavoratore dipendente residente che dovrà 
determinare e versare la maggiore imposta con le medesime modalità di versamento 
dell’IRPEF. 
13.5 Decorrenza 
L’articolo 56, comma 1 del decreto legge n. 78, prevede che lo stesso entra 
in vigore il giorno della sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale avvenuta il 31 
maggio 2010. Pertanto, il maggior prelievo troverà  applicazione sui compensi 
variabili corrisposti a partire dalla predetta data, anche se maturati in anni 
precedenti. 
14. Obbligo per i non residenti di indicazione del codice fiscale per l’apertura di 
rapporti con operatori finanziari (Articolo 34)
L’articolo 34 del decreto modifica l’articolo 6 del d.P.R. 29 settembre 1973, 
n. 605, che individua gli atti in cui deve essere indicato il codice fiscale. 
Come si evince dalla relazione illustrativa, con la novella in commento si 
sono volute superare le difficoltà connesse all’acquisizione dei dati relativi ai 
rapporti finanziari continuativi dei clienti non residenti e privi di codice fiscale, così 
da rendere più facilmente accertabili le violazioni fiscali da parte degli stessi o di 
terzi. 32
A tal fine è stata introdotta nel citato articolo 6, al comma 1, la lettera  gquinquies) che dispone l’obbligo di indicare il codice fiscale anche su “atti o negozi 
delle società e degli enti di cui all’articolo 32, primo comma, numero 7), del d.P.R. 
29 settembre 1973, n. 600”, ossia delle banche, Poste Italiane S.p.A, intermediari 
finanziari, imprese di investimento, organismi di investimento collettivo del 
risparmio, società di gestione del risparmio e società fiduciarie, “conclusi con i 
clienti per conto proprio ovvero per conto o a nome di terzi clienti, riguardanti 
l’apertura o la chiusura di qualsiasi rapporto continuativo”. 
Le persone fisiche non residenti in Italia prive del codice fiscale, possono 
chiederne l’attribuzione alla rappresentanza diplomatico-consolare italiana nel Paese 
di residenza, presentando la domanda (modello AA4/7) personalmente o a mezzo di 
persona delegata  (cfr. decreto ministeriale 17 maggio 2001, n. 281; circolari  n. 7/E 
del 22 febbraio 2010; n. 40/E del 9 settembre 2004; n. 30/E del 12 aprile 2002; n. 
74/E del 2 agosto 2001);  in alternativa, possono presentare la domanda ad un 
qualsiasi ufficio dell’Agenzia delle Entrate. All’atto della presentazione della 
domanda, il richiedente deve esibire un documento di identità valido; in caso di 
delega, la persona delegata deve esibire un proprio documento di identità e la copia 
del documento di identità del richiedente, entrambi in corso di validità. 
I soggetti diversi dalle persone fisiche non obbligati alla dichiarazione di 
inizio attività IVA, possono richiedere il codice fiscale presentando il Modello 
AA5/6 ad un qualsiasi ufficio dell’Agenzia delle entrate, direttamente (in duplice 
esemplare, anche tramite persona delegata) o tramite raccomandata (in unico 
esemplare, allegando copia di un documento di identità valido del rappresentante). 
Si rammenta inoltre che per “rapporto continuativo” si intendono i “rapporti 
finanziari caratterizzati, in generale, da un unico rapporto di durata, rientrante 
nell’esercizio dell’attività istituzionale dell’operatore finanziario, che possa dar 33
luogo a più operazioni di versamento, prelievo o trasferimento di denaro o di altri 
valori” (cfr. circolare n. 42/E del 24 settembre 2009 che rinvia alla circolare n. 18/E 
del 4 aprile 2007). L’elenco di tali rapporti è riportato nella tabella “allegato 1” al 
provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 29 febbraio 2008. Sono, 
invece, escluse dal novero dei rapporti continuativi le  operazioni  “extra conto”, 
ossia “quelle effettuate per cassa (cd. operazioni allo sportello) contro 
presentazione di denaro contante o assegni, senza transito in un qualsiasi rapporto” 
(cfr. citata circolare n. 42/E del 2009). 
15. Razionalizzazione dell’accertamento nei confronti dei soggetti che aderiscono 
al consolidato nazionale (Articolo 35)
Il comma 1 dell’articolo 35 inserisce nel d.P.R. n. 600 del 1973 l’articolo 40-
bis. 
La norma, nell’ottica di migliorare l’efficienza dell’azione amministrativa 
nonché garantire una maggiore tutela del diritto di difesa dei contribuenti sottoposti 
a controllo nell’ambito del consolidato nazionale di cui agli articoli 117 e seguenti 
del TUIR, introduce alcune novità per quel che concerne il procedimento di 
accertamento.  
Di seguito si commentano le principali novità. 
Al controllo delle dichiarazioni proprie presentate dalle società consolidate e 
dalla consolidante, nonché alle relative rettifiche, è preposto, ai fini IRES, l’ufficio 
dell’Agenzia delle entrate competente alla data in  cui è stata presentata la 
dichiarazione (comma 1). 
Le rettifiche del reddito complessivo proprio di ciascun soggetto che 
partecipa al consolidato, la conseguente maggiore imposta accertata riferita al 
reddito complessivo globale e le relative sanzioni  sono operate mediante 
l’emanazione di un atto unico da notificare sia alla consolidata che alla consolidante 
(comma 2).  34
Tale disposizione, eliminando il meccanismo del doppio livello accertativo 
(disciplinato dall’articolo 17 del decreto ministeriale 09 giugno 2004 che, ai sensi 
dei commi 3 e 4 dell’articolo 35 del decreto, è abrogato con effetto dal 1° gennaio 
2011), consente ad entrambi i soggetti coinvolti nell’accertamento di partecipare sin 
dall’inizio alle diverse fasi del procedimento. 
La norma, inoltre, introduce sul piano processuale un’ipotesi di litisconsorzio 
necessario tra la società consolidata e la consolidante. In tal guisa, la definizione 
dell’atto unico in sede contenziosa produce i suoi  effetti in modo univoco nei 
confronti di entrambi i soggetti, evitando il formarsi di giudicati contrastanti. Inoltre, 
il pagamento delle somme scaturenti dall’atto unico estingue l’obbligazione sia se 
effettuato dalla consolidata che dalla consolidante. 
Dal 1° gennaio 2011, la consolidante può chiedere che le perdite di periodo 
del consolidato non utilizzate vengano computate in diminuzione dei maggiori 
imponibili, accertati a seguito dalle rettifiche del reddito complessivo proprio di 
ciascun soggetto che partecipa al consolidato e fino a concorrenza del loro importo. 
A tal fine, la consolidante dovrà presentare un’apposita istanza, all’ufficio 
competente ad emanare l’atto unico di accertamento, entro il termine per la 
proposizione del ricorso (comma 3).  
Con tale previsione, il legislatore ha inteso eliminare la compensazione 
“automatica” del maggior reddito complessivo globale accertato con le perdite del 
consolidato non utilizzate - così come disciplinata dal comma 2, secondo periodo, 
dell’articolo 9 del citato decreto ministeriale 09  giugno 2004, che, giusto quanto 
disposto dal comma 3 dell’articolo 35 del decreto, è abrogato con l’entrata in vigore 
dell’articolo 40-bis del d.P.R. n. 600 del 1973 - subordinandola alla presentazione di 
una apposita istanza. 
La presentazione di tale istanza sospende il termine per l’impugnazione 
dell’atto, sia per la consolidata che per la consolidante, per un periodo di 60 giorni. 
Entro i successivi 60 giorni dalla presentazione dell’istanza, l’ufficio - previo 35
riscontro dell’utilizzabilità delle perdite - procede al ricalcolo dell’eventuale 
maggiore imposta dovuta, degli interessi e delle sanzioni correlate e comunica 
l’esito alla consolidata ed alla consolidante. 
Con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle  entrate del 29 ottobre 
2010, prot. n. 2010/154309 - previsto dal comma 3 dell’articolo 35 - è stato 
approvato il modello per la presentazione della predetta istanza, le modalità di 
presentazione (esclusivamente per via telematica direttamente dai contribuenti 
abilitati ad  Entratel o  Fisconline, ovvero mediante soggetti incaricati di cui ai 
commi 2-bis e 3 dell’articolo 3 del d.P.R. n. 322 del 1998) e le conseguenti attività 
dell’ufficio competente. 
In particolare, il provvedimento suddetto specifica che  “per perdite di 
periodo del consolidato” che possono essere richieste in diminuzione dei maggiori 
imponibili “devono intendersi sia le perdite relative al periodo d’imposta oggetto di 
rettifica, sia quelle ancora utilizzabili alla data di chiusura dello stesso ai sensi 
dell’art. 84 del TUIR… scomputando prioritariamente le perdite relative al periodo 
d’imposta oggetto di rettifica”. 
Inoltre, il provvedimento precisa quali siano le perdite che si considerano già 
utilizzate al momento di presentazione dell’istanza, e, conseguentemente, non più 
usufruibili da parte della consolidante.  
Le perdite richieste in diminuzione mediante la presentazione del modello 
non sono più nella disponibilità della consolidante. 
Le attività di controllo della dichiarazione dei redditi del consolidato e le 
relative rettifiche, diverse da quelle conseguenti  la rettifica delle singole 
dichiarazioni delle consolidate e della consolidante, sono attribuite all’ufficio 
dell’Agenzia delle entrate competente nei confronti della società consolidante alla 
data in cui è stata presentata la dichiarazione (comma 4). 36
Fino alla scadenza del termine di decadenza stabilito nell’articolo 43 del 
d.P.R. n. 600 del 1973, l’accertamento del reddito  complessivo globale può essere 
integrato o modificato in aumento, mediante la notificazione di nuovi avvisi, in base 
agli esiti dei controlli previsti dai precedenti commi (comma 5). 
Il comma 2 dell’articolo 35 del  decreto, in conseguenza di quanto previsto 
dal citato articolo 40-bis del d.P.R. n. 600 del 1973, inserisce nel d.lgs. n. 218 del 
1997 l’articolo 9-bis, apportando importanti novità in tema di accertamento con 
adesione qualora a prendere parte al procedimento siano soggetti aderenti al 
consolidato nazionale.  
In particolare, il nuovo articolo 9-bis dispone che: 
• al procedimento di accertamento con adesione avente ad oggetto le 
rettifiche delle singole dichiarazioni di ciascuna consolidata (previste dal 
comma 2 dell’articolo 40-bis del d.P.R. n. 600 del 1973) partecipano sia la 
consolidante che la consolidata interessata dalle rettifiche, innanzi 
all’ufficio dell’Agenzia delle entrate competente alla data in cui è stata 
presentata la dichiarazione. L’atto di adesione, sottoscritto anche da una 
sola di esse, si perfeziona qualora gli adempimenti di cui all’articolo 9 del 
d.lgs. n. 218 del 1997 (ovvero, il versamento delle somme dovute in base 
all’atto di adesione o il versamento della prima rata con la prestazione 
della garanzia, nei termini e secondo le modalità di cui all’articolo 8 del 
medesimo d.lgs.) siano posti in essere anche da parte di uno solo dei 
predetti soggetti (comma 1); 
• specularmente a quanto disposto dal comma 2 dell’articolo 40-bis, anche 
in fase di adesione la consolidante ha la facoltà di chiedere che siano 
computate, in diminuzione dei maggiori imponibili, le perdite di periodo 
del consolidato non utilizzate, fino a concorrenza  del loro importo 
(comma 2).  37
Il medesimo comma 2 detta la disciplina anche per le ipotesi di adesione 
all’invito a comparire e di adesione ai verbali di  constatazione, previste, 
rispettivamente, dagli articoli 5, comma 1-bis, e 5-bis del d.lgs. n. 218 del 1997. In 
entrambi i casi, alla prescritta comunicazione di adesione deve essere allegata 
l’istanza cartacea, presentata in ogni caso in via  telematica, per l’eventuale 
compensazione con le perdite del consolidato non utilizzate, prevista dal comma 3 
dell’articolo 40-bis del d.P.R. n. 600 del 1973. 
Con il citato provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 29 
ottobre 2010 – cui si rinvia - sono stati delineati i tempi, le modalità di 
presentazione, nonché le conseguenti attività dell’ufficio nell’ipotesi in cui l’istanza 
per il computo in diminuzione delle perdite sia presentata nel corso del 
procedimento di accertamento con adesione, ovvero di adesione ai sensi degli 
articoli 5, comma 1-bis, e 5-bis del d.lgs. n. 218 del 1997. 
Il comma 4 dell’articolo 35, infine, fissa l’entrata in vigore delle disposizioni 
di cui ai commi precedenti al 1° gennaio 2011, le quali si applicano con riferimento 
ai periodi di imposta per i quali, alla predetta data, sono ancora pendenti i termini 
per l’accertamento di cui all’articolo 43 del d.P.R. n. 600 del 1973. 
16. Disposizioni antifrode (Articolo 36) 
L’articolo 36 del  decreto apporta significative modifiche al d.lgs. 21 
novembre 2007, n. 231. 
In primo luogo, il comma 1, lettera a), aggiunge i commi 7-bis, 7-ter e 7-
quater all’articolo 28 del citato d.lgs. n. 231. 
L’articolo 7-bis, al fine di contrastare quei Paesi nei quali è maggiore il 
rischio di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo e non vi è un adeguato 
scambio di informazioni anche in materia fiscale, prevede che il Ministro 
dell’economia e delle finanze, con proprio decreto e sentito il Comitato di sicurezza 
finanziaria, provveda alla loro individuazione in una apposita lista. 38
Conseguentemente, il successivo articolo 7-ter dispone che i soggetti 
sottoposti agli obblighi di cui al d.lgs. n. 231 del 2007 in materia di antiriciclaggio 
(e, precisamente, gli enti e le persone di cui agli articoli 10, comma 2, ad esclusione 
della lettera g), 11, 12, 13 e 14, comma 1, lettere a), b), c) ed f) del medesimo d.lgs.) 
dovranno astenersi dall’instaurare un rapporto continuativo, eseguire operazioni o 
prestazioni professionali ovvero vi dovranno porre fine se già in essere, di cui siano 
parte direttamente o indirettamente società fiduciarie,  trust, società anonime o 
controllate attraverso azioni al portatore che hanno sede nei Paesi individuati con il 
predetto decreto. 
Trattasi, ad esempio, delle diverse società di gestione operanti nel mercato 
finanziario, nonché delle società che svolgono attività - subordinate al possesso di 
licenze, autorizzazioni, iscrizioni in albi o registri - di commercio e mediazione, 
compresa l’esportazione e l’importazione di oro e di oggetti preziosi, di 
fabbricazione, di esercizio di case d’asta o gallerie d’arte, etc…(articolo 10, comma 
2); degli intermediari finanziari e degli altri soggetti esercenti attività finanziaria 
(articolo 11); dei professionisti, ossia i soggetti iscritti nell’albo dei dottori 
commercialisti e degli esperti contabili, nell’albo dei consulenti del lavoro, i notai e 
gli avvocati e degli altri soggetti (articolo 12);  dei revisori contabili (articolo 13), 
nonché degli altri soggetti di cui all’articolo 14, comma 1, lettere a), b), c) ed f), 
ossia delle società di recupero crediti per conto terzi, di custodia e di trasporto di 
denaro contante, titoli o valori, delle agenzie di affari in mediazione immobiliare. 
L’applicazione di tali misure è, altresì, prevista nei confronti di ulteriori entità 
giuridiche altrimenti denominate aventi sede nei Paesi sopra individuati di cui non è 
possibile identificare il titolare effettivo e verificarne l’identità. 
L’articolo 7-quater, infine, prevede che con il medesimo decreto di cui al 
comma 7-bis verranno stabilite anche le modalità applicative ed il termine degli 
adempimenti di cui al comma 7-ter. 39
La successiva lettera b) aggiunge un ulteriore periodo all’articolo 41, primo 
comma, del d.lgs. n. 231 del 2007, in tema di segnalazione di operazioni sospette. 
Più precisamente, nell’intento di individuare le operazioni a rischio 
riciclaggio, il legislatore introduce un nuovo “elemento di sospetto” costituito dal 
ricorso “frequente o ingiustificato” ad operazioni in contante, anche se di importo 
inferiore al limite previsto dall’articolo 49 del già citato d.lgs. n. 231 del 2007 
(ovvero, la soglia di 5.000 euro, così come modificata dall’articolo 20, comma 1, 
del  decreto), ed, in particolare, il prelievo o il versamento  in contante con 
intermediari finanziari di importo pari o superiore a 15.000 euro. 
In presenza di operazioni compiute con le predette modalità, i soggetti sopra 
indicati hanno l’obbligo di inviare una segnalazione alla UIF (Unità di Informazione 
Finanziaria). 
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze con la circolare dell’11 ottobre 
2010, prot. n. 297944, ha fornito chiarimenti sulla corretta applicazione della 
disposizione per quanto riguarda gli obblighi di segnalazione alla UIF (Unità di 
Informazione Finanziaria) da parte dei soggetti indicati negli articoli 10, comma 2, 
11, 12, 13 e 14, del d.lgs. n. 231 del 2007, in presenza di operazioni compiute con le 
predette modalità. 
In particolare, il documento di prassi precisa che  “la mera ricorrenza 
dell’indicatore di cui all'articolo 36 del decreto legge 78/2010 non è motivo di per 
sé sufficiente per la segnalazione di operazioni sospette, per la quale  rimane quindi 
indispensabile una valutazione complessiva fondata su una serie di elementi sia di 
natura oggettiva che soggettiva”. 
La lettera c) dell’articolo 36 in commento inserisce il comma 1-ter
all’articolo 57 del d.lgs. n. 231 del 2007, al fine di disciplinare il regime 
sanzionatorio applicabile nell’ipotesi di violazione dell’articolo 28 comma 7-ter del 40
medesimo decreto, prevedendo un inasprimento delle  pene pecuniarie al crescere 
dell’importo delle operazioni effettuate. 
In particolare, si applicano le sanzioni nelle seguenti misure: 
• 5.000 euro per operazioni di importo fino a 50.000 euro; 
• dal 10 al 40 per cento dell’importo dell’operazione qualora la stessa 
sia superiore a 50.000 euro; 
• da 25.000 a 250.000 euro nel caso in cui l’importo dell’operazione non 
sia determinato o determinabile. 
17. Disposizioni antiriciclaggio (articolo 37) 
In ossequio al principio di trasparenza del sistema economico-finanziario, 
l’articolo 37 del  decreto detta le disposizioni atte ad assicurare la compiuta 
conoscenza degli operatori economici aventi sede, residenza o domicilio in Paesi 
black list (di cui al decreto del Ministro delle finanze 4 maggio 1999 e al decreto del 
Ministro dell’economia e delle finanze 21 novembre  2001) ammessi a partecipare 
alle procedure di aggiudicazione dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e 
forniture ai sensi del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163. 
A tal fine, la norma introduce al comma 1 l’obbligo del rilascio di 
un’autorizzazione preventiva da parte del Ministero dell’economia e delle finanze, 
secondo le modalità che verranno stabilite con successivo decreto del Ministro 
stesso entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto. 
Il rilascio di tale autorizzazione è subordinato alla previa individuazione 
dell’operatore economico, individuale o collettivo, mediante la comunicazione dei 
dati che identificano gli effettivi titolari delle partecipazioni societarie - anche per il 
tramite di società controllanti e per il tramite di società fiduciarie - nonché alla 
identificazione del sistema di amministrazione, del nominativo degli amministratori 
e del possesso dei requisiti di eleggibilità previsti dalla normativa italiana. Ciò anche 
in deroga ad accordi bilaterali siglati con l’Italia che consentano la partecipazione 41
alle procedure per l’aggiudicazione dei contratti di cui al d.lgs. n. 163 del 2006, a 
condizioni di parità e reciprocità. 
Il  comma 2 della disposizione in commento prevede che il Ministro 
dell’economia e delle finanze, con proprio decreto, possa escludere tale obbligo nei 
confronti di alcuni dei Paesi suddetti, ovvero di settori di attività svolte negli stessi, 
oppure estendere l’obbligo anche a Paesi cosiddetti non black list nonché a specifici 
settori di attività e a particolari tipologie di soggetti, al fine di prevenire fenomeni a 
particolare rischio di frode fiscale. 
18. Altre disposizioni in materia tributaria (Articolo 38) 
L’articolo 38 del decreto dispone, ai commi 1, 2 e 3, che gli enti erogatori di 
prestazioni sociali agevolate, comprese quelle erogate nell’ambito delle prestazioni 
del diritto allo studio universitario, a seguito della presentazione di dichiarazione 
sostitutiva di cui all’articolo 4 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 109, comunicano 
all’INPS, nel rispetto delle norme a tutela della  privacy, i dati dei soggetti fruitori 
delle prestazioni medesime. Tali dati sono nome, cognome, luogo e data di nascita e 
codice fiscale. 
Le comunicazioni in parola sono effettuate in modalità telematica, secondo le 
indicazioni dell’INPS, sulla base di direttive del  Ministero del lavoro e delle 
politiche sociali; dette informazioni alimentano il Sistema informativo dei servizi 
sociali, di cui all’articolo 21 della l. 8 novembre 2000, n. 328. 
Al fine di far emergere eventuali abusi nella fruizione delle prestazioni sociali 
agevolate è previsto che Agenzia delle entrate ed INPS si scambino ogni 
informazione necessaria, previa stipula di apposita convenzione, nel rispetto delle 
disposizioni in materia di protezione dei dati personali.  
L’INPS, sulla base di informazioni trasmesse telematicamente dall’Agenzia 
delle entrate è, quindi, in grado di individuare i soggetti che, in ragione del maggior 42
reddito accertato in via definitiva, hanno fruito indebitamente, in tutto o in parte, 
delle prestazioni in argomento. 
In tale eventualità, oltre alla restituzione del beneficio indebitamente fruito, è 
prevista una sanzione da 500 a 5.000 euro, applicata dall’INPS in forza dei poteri e 
secondo le modalità previste dalle norme vigenti. 
Le medesime sanzioni si applicano nei confronti di  coloro per i quali si 
accerti, sulla base dello scambio di informazioni tra l’INPS e l’Agenzia delle entrate, 
uno scostamento tra reddito dichiarato ai fini fiscali e reddito indicato nella 
dichiarazione sostitutiva unica di cui all’articolo 4 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 109, 
qualora tale scostamento abbia consentito l’accesso alle prestazioni agevolate in 
rassegna. 
Il comma 4 dell’articolo 38 in commento mira a razionalizzare la materia 
delle notifiche fiscali. In particolare, la lettera a) elimina all’articolo 60 del d.P.R. n. 
600 del 1973, il riferimento alle articolazioni interne all’Amministrazione 
finanziaria interessate da riforme che ne hanno mutato la competenza per materia, 
nonché la competenza territoriale. 
Con la medesima disposizione vengono inoltre ridefinite le modalità di 
comunicazione all’Agenzia delle entrate, da parte del contribuente, del domicilio - 
diverso dalla residenza - eletto ai fini della notificazione degli atti e degli avvisi che 
lo riguardano. Le nuove modalità, prevedono esclusivamente la comunicazione: 
- mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento indirizzata 
al competente ufficio; 
- in via telematica, con modalità stabilite con provvedimento del 
Direttore dell’Agenzia delle entrate. 
La comunicazione non può più essere presentata tramite la dichiarazione annuale. 
La nuova forma di comunicazione consente di individuare con certezza la 
decorrenza della variazione di domicilio, che ha effetto, ai sensi dell’articolo 60, 43
secondo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, dal trentesimo giorno successivo a 
quello della data di ricevimento della raccomandata con avviso di ricevimento 
ovvero della comunicazione telematica. 
Si osserva, inoltre, che il terzo comma dell’articolo 60 del d.P.R. n. 600 del 
1973 non rinvia più, nella nuova formulazione, all’articolo 36 del medesimo decreto 
- abrogato dall’articolo 37 della l. 24 novembre 2000, n. 340 - ma agli articoli 35 e 
35-ter del d.P.R. n. 633 del 1972, relativi alla dichiarazione di inizio attività, 
variazione dati o cessazione attività ai fini IVA, ed al modello attualmente previsto 
per la domanda di attribuzione del numero di codice fiscale da parte dei soggetti, 
diversi dalle persone fisiche, non obbligati alla dichiarazione di inizio attività IVA., 
né al modello relativo alla identificazione diretta ai fini IVA di soggetti non 
residenti. 
La lettera b) dello stesso comma 4 in commento modifica, a sua volta, 
l’articolo 26 del d.P.R. n. 602 del 1973, che, nella nuova formulazione, consente che 
la cartella sia notificata con le modalità di cui al d.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68, a 
mezzo posta elettronica certificata, all’indirizzo  risultante dagli elenchi a tal fine 
previsti dalla legge, consultabili anche telematicamente, dagli agenti della 
riscossione. È esclusa, in questo caso, l’applicazione dell’articolo 149-bis del codice 
di procedura civile, che disciplina la notificazione a mezzo posta elettronica eseguita 
dall’ufficiale giudiziario. 
La nuova previsione consente, pertanto, l’utilizzo  della posta elettronica, 
altrimenti inibito per effetto dell’esclusione di cui all’articolo 48, comma 2, del 
d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 (Codice dell’amministrazione digitale). 
La norma autorizza, altresì, gli Agenti della riscossione alla consultazione 
degli elenchi degli indirizzi di posta elettronica certificata (ad esempio quelli di cui 
all’articolo 16, commi 6 e 7, del d.l. n. 185 del 2008). 44
Il comma 5 della disposizione in esame prevede che il Ministero 
dell’economia e delle finanze, le Agenzie fiscali e gli enti previdenziali, assistenziali 
e assicurativi, al fine di potenziare ed estendere i servizi telematici, possano definire 
termini e modalità per l’utilizzo esclusivo dei propri servizi telematici ovvero della 
posta elettronica certificata, anche a mezzo di intermediari abilitati, per la 
presentazione da parte degli interessati di denunce, istanze, atti e garanzie 
fideiussorie, per l’esecuzione di versamenti fiscali, contributivi, previdenziali, 
assistenziali e assicurativi, nonché per la richiesta di attestazioni e certificazioni. 
I citati enti ed amministrazioni definiscono l’utilizzo dei servizi telematici o 
della posta certificata anche per gli atti, comunicazioni o servizi dagli stessi resi. 
La disposizione consente di ridurre l’accesso fisico del cittadino presso i 
pubblici uffici e favorisce la dematerializzazione degli archivi, nell’ambito di un più 
diretto rapporto fra cittadini e pubblica amministrazione improntato a criteri di 
efficacia, efficienza ed economicità. 
Nella richiesta e nella ricezione degli atti tramite i servizi telematici in parola 
i cittadini possono avvalersi degli intermediari abilitati alla trasmissione telematica, 
ferma restando, in ogni caso, la possibilità di utilizzare le modalità tradizionali da 
parte delle fasce più deboli. 
La norma demanda ad un provvedimento del Direttore  dell’Agenzia delle 
entrate la definizione degli atti per i quali la registrazione prevista per legge è 
sostituita da una denuncia esclusivamente telematica di una delle parti, la quale 
assume qualità di fatto ai sensi dell’articolo 2704, primo comma, del codice civile. 
L’ultimo periodo del comma 5 eleva da 30 a 60 giorni, decorrenti dalla 
presentazione del modello unico informatico, il termine entro cui l’ufficio, una volta 
controllata la regolarità dell’autoliquidazione e del versamento delle imposte ai sensi 
dell’articolo 3-ter, comma 1, del d.lgs. 18 dicembre 1992, n. 463, notifica avviso di 
liquidazione per l’integrazione dell’imposta versata, qualora, sulla base degli 
elementi desumibili dall’atto, risulti dovuta una maggiore imposta. 45
Il comma 6, primo paragrafo, dell’articolo 38 prevede  che 
l’Amministrazione finanziaria consenta a chiunque di verificare, con apposito 
servizio di libero accesso, l’esistenza e la corrispondenza tra il codice fiscale e i dati 
anagrafici disponibili in Anagrafe Tributaria. 
Il secondo paragrafo prevede che l’Amministrazione  finanziaria, al fine di 
favorire la qualità delle informazioni presso la Pubblica Amministrazione, renda 
accessibili il codice fiscale registrato in Anagrafe Tributaria e i dati anagrafici ad 
esso correlati: 
- alle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del d.lgs. 30 
marzo 2001, n. 165; 
- alle società interamente partecipate da enti pubblici o con prevalente 
capitale pubblico inserite nel conto economico consolidato della pubblica 
amministrazione, come individuate dall’Istituto Nazionale di statistica 
(ISTAT), ai sensi dell’articolo 1, comma 5, della l. 30 dicembre 2004, n. 
311; 
- ai concessionari e gestori di pubblici servizi; 
- ai privati che cooperano con le attività dell’Amministrazione finanziaria.  
L’accesso ai dati disponibili in Anagrafe Tributaria è subordinato alla 
stipula di apposita convenzione. 
L’articolo 38, comma 7, prevede una modalità agevolata di effettuazione del 
conguaglio  fiscale, a favore di coloro che percepiscano un redditi di pensione non 
superiori ad euro 18.000, nel caso in cui la relativa imposta risultante dal conguaglio 
di fine anno sia di importo complessivamente superiore a 100 euro. 
In presenza delle condizioni richieste, le imposte dovute sono prelevate dal 
sostituto d’imposta in un numero massimo di undici  rate a partire dal mese 46
successivo a quello in cui è effettuato il conguaglio, in deroga alla regola generale 
prevista dall’articolo 23, comma 3, del d. P.R. n. 600 del 1973. 
La rateizzazione del pagamento non comporta l’applicazione degli interessi. 
La norma, riferita ai soli redditi da pensione di ammontare annuo non 
superiore a 18.000 euro, si prefigge, dunque, il chiaro intento di favorire i pensionati 
più deboli per i quali il debito d’imposta derivante dal conguaglio potrebbe risultare 
particolarmente oneroso, prevedendo la dilazione nel pagamento delle imposte 
dovute e l’eliminazione dal carico impositivo degli interessi.  
 L’ente pensionistico, pertanto, verificando sulla  base delle informazioni 
messe a disposizione dal Casellario Centrale Pensioni che il reddito da pensione 
annuo è di importo non superiore a 18.000 euro, opera le ritenute in 11 rate a partire 
dal mese successivo a quello in cui ha effettuato il conguaglio e non oltre quello per 
il quale sono versate le ritenute per il mese di dicembre, se l’imposta dovuta risulta 
di importo superiore a 100 euro. 
Per i soggetti che percepiscono più trattamenti pensionistici dal medesimo sostituto 
d’imposta, quest’ultimo deve tener conto dell’imposta complessivamente dovuta in 
relazione a tutti i trattamenti pensionistici che eroga. 
Nel caso in cui l’imposta non possa essere trattenuta per incapienza del rateo di 
pensione, tornano applicabili le disposizioni dell’articolo 23, comma 3,  del dpr n. 
600 del 1972 che regolano tale ipotesi. In particolare il pensionato, che non abbia 
fornito al sostituto d’imposta la provvista, potrà o chiedere che la ritenuta sia operata 
sulle rate successive a quella in cui si è verificata l’incapienza, con applicazione 
degli interessi dello 0,50 per cento mensile, ovvero versare entro il 15 gennaio 
dell’anno successivo l’ammontare che non è stato trattenuto  
La disposizione, in assenza di specifici termini di decorrenza risulta applicabile a 
partire dal conguaglio di fine anno relativo al periodo d’imposta 2010. 47
Il comma 10 della disposizione in esame consente alle società  che, in virtù 
dell’articolo 3, comma 24, lettera b), del d.l. n. 203 del 2005, risultino cessionarie di 
rami d’azienda relativi alle attività svolte in regime di concessione per conto degli 
enti locali, di richiedere ai medesimi enti i dati  e le notizie relative ai beni dei 
contribuenti iscritti a ruolo. Tali dati, strettamente necessari per la riscossione dei 
ruoli in carico alle predette società cessionarie,  possono essere forniti dagli enti 
locali tramite accesso al sistema informativo del Ministero dell’economia e delle 
finanze. 
La disposizione rileva ai fini e per gli effetti dell’articolo 19, comma 2, lettera 
d), del d.lgs. 13 aprile 1999, n. 112, ai sensi del quale costituiscono causa di perdita 
del diritto al discarico il mancato svolgimento dell’azione esecutiva su tutti i beni 
del contribuente la cui esistenza, al momento del pignoramento, risultava dal sistema 
informativo del Ministero dell’economia e delle finanze, a meno che i beni pignorati 
non fossero di valore pari al doppio del credito iscritto a ruolo, nonché sui nuovi 
beni la cui esistenza è stata comunicata dall’ufficio ai sensi del comma 4 del 
medesimo articolo 19. 
Il comma 11 dell’articolo 38 ricomprende l’esercizio di attività previdenziali 
e assistenziali da parte di enti privati di previdenza obbligatoria fra le attività non 
aventi natura commerciale ai sensi dell’articolo 74, comma 2, lettera b), del TUIR. 
La previsione in commento estende, quindi, l’ambito applicativo della norma citata 
che, nella precedente formulazione, limitava l’esclusione della natura commerciale 
alle sole attività previdenziali, assistenziali e sanitarie esercitate da enti pubblici 
istituiti esclusivamente a tal fine, comprese le Aziende sanitarie locali. 
È previsto, inoltre, che gli apporti effettuati da  enti pubblici e privati di 
previdenza obbligatoria, costituiti da una pluralità di immobili prevalentemente 
locati al momento dell’apporto, sono soggetti alle previsioni dell’articolo 8, comma 48
1-bis, del d.l. 25 settembre 2001, n. 351, con conseguente applicazione delle imposte 
indirette in misura fissa. 
Il comma 12 dell’articolo 38 in commento stabilisce che i termini di 
decadenza per l’iscrizione a ruolo dei crediti degli enti pubblici previdenziali, di cui 
all’articolo 25 del d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, non si applicano, limitatamente al 
periodo compreso tra il 1° gennaio 2010 e il 31 dicembre 2012, ai contributi non 
versati e agli accertamenti notificati successivamente alla data del 1° gennaio 2004, 
dall’Ente creditore. 
Si evidenzia che, ai sensi del citato articolo 25, i contributi o premi dovuti 
agli enti pubblici previdenziali sono iscritti in ruoli resi esecutivi, a pena di 
decadenza: 
• per i contributi o premi non versati dal debitore,  entro il 31 dicembre 
dell’anno successivo al termine fissato per il versamento; in caso di denuncia 
o comunicazione tardiva o di riconoscimento del debito, tale termine decorre 
dalla data di conoscenza, da parte dell’ente; 
• per i contributi o premi dovuti in forza di accertamenti effettuati dagli uffici, 
entro il 31 dicembre dell’anno successivo alla data di notifica del 
provvedimento ovvero, per quelli sottoposti a gravame giudiziario, entro il 31 
dicembre dell'anno successivo a quello in cui il provvedimento è divenuto 
definitivo. 
Il comma 13 della disposizione in esame prevede l’esclusione dagli obblighi 
dichiarativi di cui all’articolo 4 del d.l. 28 giugno 1990, n. 167 (modulo RW della 
dichiarazione del redditi), in capo: 
• alle persone fisiche che prestano lavoro all’estero per lo Stato italiano, per 
una sua suddivisione politica o amministrativa o per un suo ente locale, e le 49
persone fisiche che lavorano all’estero presso organizzazioni internazionali 
cui aderisce, l’Italia la cui residenza fiscale in Italia sia determinata, in deroga 
agli ordinari criteri previsti dal TUIR, in base ad accordi internazionali 
ratificati. Tale esonero si applica limitatamente al periodo di tempo in cui 
l’attività lavorativa è svolta all’estero; 
• ai soggetti residenti in Italia che prestano la propria attività lavorativa in via 
continuativa all’estero in zone di frontiera ed in  altri Paesi limitrofi, con 
riferimento agli investimenti e alle attività estere di natura finanziaria 
detenute nel Paese in cui svolgono la propria attività lavorativa. 
Beneficiano dell’esclusione in parola i dipendenti  di ruolo pubblici che 
risiedono all’estero per motivi di lavoro, per i quali sia prevista la notifica alle 
autorità locali ai sensi delle convenzioni di Vienna sulle relazioni diplomatiche e 
sulle relazioni consolari e che, in virtù dell’articolo 1, comma 9, lettera b), della l. 27 
ottobre 1988, n. 470, mantengono ai fini fiscali la residenza in Italia. 
La disposizione si applica, altresì, a quei soggetti che prestano la propria 
attività lavorativa all’estero presso organizzazioni internazionali cui aderisce l’Italia, 
vale a dire i lavoratori presso organizzazioni internazionali (ad esempio ONU, 
NATO, Unione europea, OCSE). La residenza fiscale di tali soggetti è fissata, in 
base agli accordi internazionali che riconoscono particolari privilegi e immunità alle 
organizzazioni internazionali, nello Stato di provenienza, indipendentemente dai 
requisiti indicati nella normativa interna di ciascuno Stato. 
L’esonero dall’obbligo di compilazione del modulo RW della dichiarazione 
annuale dei redditi è giustificato, per esigenze di semplificazione degli adempimenti 
tributari, fintanto che i predetti soggetti prestano la propria attività all’estero e viene 
meno al rientro in Italia, qualora questi mantengano, per qualsiasi motivo, gli 
investimenti o le attività all’estero. 50
La disposizione esonera dall’obbligo dichiarativo anche i frontalieri, 
limitatamente agli investimenti e alle attività estere di natura finanziaria detenute nel 
Paese in cui svolgono la propria attività lavorativa. 
Il comma 13-sexies dell’articolo 38  in commento dispone l’esonero delle 
società a prevalente partecipazione pubblica, che esercitano l’attività di 
accertamento e di riscossione dei tributi e di altre entrate delle Province e dei 
Comuni, dal rispetto dei requisiti di capitalizzazione minimi previsti per l’iscrizione 
all’albo di cui di cui all’articolo 53, comma 1, del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446. 
Il comma 13-septies della disposizione in esame modifica l’articolo 2, comma 
1, del d.P.R. 21 dicembre 1996, n. 696, recante operazioni non soggette all’obbligo 
di certificazione. Nella nuova formulazione, l’esonero da tale obbligo è esteso alle 
prestazioni di servizi effettuate dalle imprese di  cui all’articolo 23, del d.lgs. 22 
luglio 1999, n. 261, attraverso la rete degli uffici postali e filatelici, dei punti di 
accesso e degli altri centri di lavorazione postale cui ha accesso il pubblico, nonché 
quelle rese al domicilio del cliente tramite gli addetti al recapito. Attualmente, le 
prestazioni di servizi in rassegna sono rese dalla  società Poste Italiane S.p.A., 
esercente il servizio universale di cui all’articolo 3 del citato d.lgs. n. 261. 
19. Regime fiscale di attrazione europea (Articolo 41) 
Con l’articolo 41 del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78 viene introdotto 
nell’ordinamento tributario domestico un regime che favorisce, come si legge nella 
relazione illustrativa al decreto, “la circolazione di sottosistemi giuridici all’interno 
dell’Unione Europea”. Si tratta di una disposizione volta ad incoraggiare le imprese 
europee ad intraprendere nuove iniziative in Italia, consentendo loro di scegliere uno 
tra i regimi fiscali vigenti negli altri Stati membri dell’Unione. 51
Più precisamente, la norma consente alle imprese estere residenti in uno 
Stato membro dell’Unione Europea, che intendono avviare nuove attività 
economiche in Italia, di chiedere l’applicazione della normativa tributaria vigente in 
un qualunque altro Stato membro in luogo di quella italiana. 
Tale opzione è preclusa ai soggetti che risultano avere residenza fiscale in 
Italia.  L’accordo di ruling concluso rimane in vigore per tre periodi d’imposta.  
Il regime impositivo che l’impresa estera può scegliere di sostituire è quello 
riferito alla “normativa tributaria statale italiana”; in altri termini, restano escluse 
dall’ambito di applicazione della norma in commento le imposte locali di 
competenza, ad esempio, di Comuni, Province e Regioni.   
Al fine di attrarre realmente nuovi investimenti di soggetti esteri nel nostro 
Paese, mediante l’avvio di ulteriori iniziative imprenditoriali rispetto a quelle già 
esistenti in Italia, il comma 1-bis della norma in esame subordina la facoltà di essere 
assoggettati ad un regime fiscale “alternativo” al  rispetto di due condizioni. In 
particolare, il legislatore ha previsto che la disposizione possa generare un concreto 
impulso positivo sulla vigente economia nazionale,  circoscrivendone il campo di 
applicazione alle attività economiche che: 
a) non risultino già esistenti alla data del 31 maggio 2010 (data di entrata in 
vigore del decreto legge); 
b) siano effettivamente esercitate nel territorio dello Stato italiano.  
Per poter beneficiare del regime fiscale prescelto  e consentire  
all’Amministrazione finanziaria di verificare anche la sussistenza dei suddetti 
requisiti, i soggetti interessati devono presentare apposita istanza di interpello 
secondo la procedura di cui all’articolo 8 del decreto legge 30 settembre 2003, n. 
269.  
Occorre evidenziare, inoltre, che il regime fiscale facoltativo introdotto dal 
citato articolo 41 viene concesso non solo alle imprese estere che decidono di 52
svolgere una nuova attività economica nel nostro Paese ma anche ai loro dipendenti 
e collaboratori. 
L’ultimo comma dell’articolo 41, infine, delega a un decreto di natura non 
regolamentare del Ministero dell’economia e delle finanze tutte le necessarie  
disposizioni attuative del regime ivi previsto. 
Tale decreto provvederà, pertanto, a disciplinare sia gli aspetti sostanziali 
sia quelli procedurali non espressamente regolati dalla norma in commento.  
20. Reti di imprese (Articolo 42) 
La disciplina sulle reti d’impresa è stata originariamente introdotta 
dall’articolo 3, commi da 4-ter a 4-quinquies, del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 
5, convertito con modificazioni dalla legge 9 aprile 2009, n. 33.
L’articolo 42 del decreto interviene in materia: 
- sul piano civilistico, con i commi 2-bis e 2-ter,  che sostituiscono 
rispettivamente i commi 4-ter e 4-quater  dell’articolo 3 del decretolegge n. 5 del 2009, di tal che la principale fonte normativa regolatrice 
dell’autonomia privata in materia deve continuare a ravvisarsi nel 
novellato articolo 3 da ultimo citato e nelle norme ivi richiamate; 
- sul piano fiscale, con i successivi commi da 2-quater a 2-septies, che
istituiscono, in favore delle imprese che sottoscrivono o che 
aderiscono a un contratto di rete, una misura agevolativa a carattere 
temporaneo, subordinata all’autorizzazione della Commissione 
europea. 
Il comma 2 dell’articolo 42 dispone, inoltre, che alle reti di impresa, 
riconosciute in base alle previsioni dei commi successivi, “competono vantaggi 
fiscali, amministrativi e finanziari, nonché la possibilità di stipulare convenzioni 
con l’A.B.I. nei termini definiti con decreto del Ministro dell’economia e delle 
finanze”. 53
Al riguardo si segnala che con decisione C(2010)8939 def. del 26 gennaio 
2011 la Commissione europea ha ritenuto che la misura in favore delle reti di 
imprese non costituisce aiuto di Stato ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, del 
Trattato sul funzionamento dell’Unione europea 
20. 1 Elementi principali del contratto di rete 
Per quanto di più immediato interesse ai fini della misura agevolativa, è 
opportuno evidenziare che elemento essenziale del contratto di rete disciplinato dal 
comma 4-ter dell’articolo 3 del decreto-legge n. 5 del 2009 è il “programma comune 
di rete”, sulla base del quale gli imprenditori si obbligano a “collaborare in forme e 
ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese ovvero a
scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale commerciale tecnica o 
tecnologica ovvero ancora ad esercitare in comune una o più attività rientranti 
nell’oggetto della propria impresa” per perseguire lo scopo di “accrescere, 
individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria 
competitività sul mercato”. 
Il contratto di rete, inoltre, “può anche prevedere l’istituzione di un fondo 
patrimoniale comune e la nomina di un organo comune incaricato di gestire, in 
nome e per conto dei partecipanti, l’esecuzione del contratto o di singole parti o fasi 
dello stesso”. 
La norma in commento, innovando rispetto alla previgente disciplina, 
stabilisce quindi che l’istituzione del fondo patrimoniale comune e la nomina 
dell’organo comune non costituiscono elementi essenziali ai fini della 
configurabilità del contratto di rete. 
Il medesimo comma 4-ter,  nell’indicare analiticamente il contenuto del 
contratto di rete, annovera alla lettera  c) “la definizione di un programma di rete, 
che contenga l’enunciazione dei diritti e degli obblighi assunti da ciascun 
partecipante, le modalità di realizzazione dello scopo comune e, qualora sia 54
prevista l’istituzione di un fondo patrimoniale comune, la misura e i criteri di 
valutazione dei conferimenti iniziali e degli eventuali contributi successivi che 
ciascun partecipante si obbliga a versare al fondo nonché le regole di gestione del 
fondo medesimo; se consentito dal programma, l’esecuzione del conferimento può 
avvenire anche mediante apporto di un patrimonio destinato costituito ai sensi 
dell’articolo 2447-bis, primo comma, lettera a), del codice civile. … ;”. 
20.2 Agevolazione fiscale per utili accantonati e investiti 
L’agevolazione è prevista in favore delle imprese che sottoscrivono o 
aderiscono a un contratto di rete e consiste in un regime di sospensione di imposta di 
cui possono fruire gli utili d’esercizio accantonati ad apposita riserva e destinati alla 
realizzazione di investimenti previsti dal programma comune, preventivamente 
asseverato. Detto beneficio spetta a condizione che le somme accantonate siano 
destinate al fondo patrimoniale comune o al patrimonio destinato all’affare per 
realizzare entro l’esercizio successivo gli investimenti previsti dal programma di 
rete.  
In merito alla determinazione dell’importo agevolabile viene stabilito, 
altresì, che gli utili che non concorrono alla formazione del reddito non possono 
eccedere, in ogni caso, il limite di euro 1.000.000 per ciascuna impresa, nonché per 
ciascun periodo d’imposta in cui è consentito l’accesso all’agevolazione, fermo 
restando il limite stabilito dal comma 2-quinquies  pari a 20 milioni di euro per 
l’anno 2011 e 14 milioni di euro per ciascuno degli anni 2012  e  2013.  
Il regime di sospensione di imposta cessa, e quindi gli utili accantonati 
concorrono alla formazione del reddito, nell’esercizio in cui la riserva è utilizzata 
per scopi diversi dalla copertura di perdite di esercizio ovvero in cui viene meno 
l’adesione al contratto di rete. 
Il beneficio fiscale in commento opera esclusivamente in sede di versamento 
del saldo delle imposte sui redditi dovute per il periodo di imposta relativo 55
all’esercizio cui si riferiscono gli utili destinati al fondo patrimoniale comune o al 
patrimonio destinato all’affare. Per il periodo d’imposta successivo, l’acconto delle 
imposte dirette è calcolato assumendo come imposta del periodo precedente quella 
che si sarebbe applicata in mancanza delle previsioni di cui al comma 2-quater. 
L’agevolazione spetta esclusivamente ai fini delle imposte sui redditi e non 
opera ai fini dell’IRAP. 
Sotto il profilo temporale si rileva che l’agevolazione opera fino al periodo 
d'imposta in corso al 31 dicembre 2012. In proposito si sottolinea che il comma 2-
septies dell’articolo 42 subordina l’operatività della norma in commento 
all’autorizzazione della Commissione europea, ai sensi dell’articolo 108, par. 3, del 
TFUE (c.d. clausola di stand still). 
Si evidenzia infine che l’adesione al contratto di  rete non comporta  
l’estinzione, né la modificazione della soggettività tributaria delle imprese che 
aderiscono all’accordo in questione, né l’attribuzione di soggettività tributaria alla 
rete risultante dal contratto stesso.  
20.3 Disposizioni di attuazione e controlli 
Le norme in esame demandano a successivi atti la definizione di taluni 
aspetti procedimentali e attuativi del regime agevolativo. 
Il comma 2-quater dell’articolo 42 stabilisce che il programma comune di 
rete deve essere “preventivamente asseverato”. L’asseverazione comporta la previa 
verifica della sussistenza nel caso specifico degli elementi propri del contratto di rete 
e dei relativi requisiti di partecipazione in capo  alle imprese che lo hanno 
sottoscritto. L’asseverazione è rilasciata da “organismi espressione 
dell’associazionismo imprenditoriale muniti dei requisiti previsti con decreto del 
Ministro dell’economia e delle finanze, ovvero, in  via sussidiaria, da organismi 
pubblici individuati con il medesimo decreto”. 
Il successivo comma 2-sexies demanda a un provvedimento del Direttore 56
dell’Agenzia delle entrate, da adottare entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore 
della legge di conversione, l’individuazione di “criteri e modalità di attuazione 
dell’agevolazione”, anche ai fini del rispetto del limite degli stanziamenti, stabiliti in 
misura pari a 20 milioni di euro per il 2011 e di 14 milioni di euro per ciascuno degli 
anni 2012 e 2013 dal comma 2-quinquies. 
La norma dispone infine che l’Agenzia delle Entrate, avvalendosi dei propri 
poteri di accertamento e di controllo, “vigila sui contratti di rete e sulla 
realizzazione degli investimenti che hanno dato accesso all’agevolazione, 
revocando i benefici indebitamente fruiti” (articolo 42, comma 2-quater). 
21. Agevolazioni per il rientro in Italia di ricercatori e docenti (articolo 44) 
L’art. 44 ha previsto un’agevolazione fiscale ai fini IRPEF e IRAP per 
incentivare i ricercatori e i docenti residenti all’estero ad esercitare in Italia la loro 
attività.  
La disposizione riproduce sostanzialmente l’agevolazione prevista dall’art. 17, 
comma 1, del DL n. 185/2008 (conv. L. n. 2/2009) e, come spiegato dalla relazione 
illustrativa, ne costituisce una estensione temporale.  
Il richiamato articolo 17 del D.L. n. 185 trova applicazione fino al periodo 
d’imposta 2015 in quanto favorisce il rientro dei docenti e ricercatori residenti 
all’estero che vengono a svolgere l’attività in Italia e acquistano e mantengono la 
residenza in Italia, nell’arco dei cinque anni successivi a quello di entrata in vigore 
del decreto stesso, ed è applicabile nel periodo d’imposta in cui il ricercatore o il 
docente diviene fiscalmente residente in Italia e nei due periodi d’imposta 
successivi. 
La nuova disposizione estende l’agevolazione fino al 31 dicembre 2017; si 
applica, infatti, ai docenti o ricercatori che vengono a svolgere attività in Italia e 
assumono qui la residenza nel periodo compreso tra la data di entrata in vigore del 
provvedimento (31 maggio 2010) e i cinque anni solari successivi (31 dicembre 57
2015) ed è, anche essa, applicabile nel periodo d’imposta in cui il ricercatore 
acquista la residenza e nei due periodi d’imposta successivi.  
Si ricorda che il beneficio consiste, ai fini IRPEF, nella esclusione dal reddito 
di lavoro dipendente (o dal reddito assimilato a quello di lavoro dipendente) e di 
lavoro autonomo del novanta per cento dei compensi  percepiti da detti soggetti in 
relazione all’attività di ricerca..  
Ai fini IRAP detti compensi non concorrono alla formazione della base 
imponibile del ricercatore, se si tratta di un lavoratore autonomo, oppure del 
sostituto che eroga i compensi, nel caso questi si  riferiscano a redditi di lavoro 
dipendente o assimilato. 
Il ricercatore  può prestare l’attività a favore di Università o altri centri di 
ricerca pubblici e privati, nonché di imprese o enti che, in ragione della peculiarità 
del settore economico in cui operano, dispongano di strutture organizzative 
finalizzate alla ricerca. 
L’agevolazione trova applicazione nei confronti dei ricercatori o docenti che si 
trovano nelle seguenti condizioni: 
-siano in possesso di un titolo di studio universitario o ad esso equiparato; 
-non siano occasionalmente residenti all’estero; 
-abbiano svolto documentata attività di ricerca o docenza all’estero presso 
centri di ricerca pubblici o privati o università per almeno due anni continuativi; 
-acquistino e mantengano la residenza fiscale in Italia per tutto il periodo in cui 
usufruiscono dell’agevolazione. 
Per quanto riguarda gli altri profili applicativi dell’art. 44 del D.L in 
commento si rinvia ai precedenti documenti di prassi e in particolare ai chiarimenti 
forniti in materia dalla circolare 22 dell’08/06/2004, illustrativa di analoga 
disposizione recata dall’art. 3 del DL n. 269/2003 (conv. L. n. 326/2003).  58
22. Disposizioni in materia di procedure concorsuali (Articolo 48) 
L’articolo 48 introduce alcune disposizioni nel Regio decreto del 16 marzo 
1942, n. 267, recante la disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della 
liquidazione coatta amministrativa (di seguito L.F.), volte ad agevolare il 
risanamento della crisi d’impresa che precede il fallimento. 
Al fine di favorire e promuovere l’erogazione di nuovi finanziamenti alle 
imprese in difficoltà da parte sia di intermediari  bancari e finanziari che, ove 
l’impresa sia esercitata in forma societaria, dei soci, nel concordato preventivo e 
negli accordi di ristrutturazione dei debiti è stata espressamente disposta la 
prededucibilità di alcune specifiche categorie di crediti. 
Nello specifico, il comma 1 della disposizione in commento introduce nella 
L.F., successivamente all’articolo 182-ter, relativo alla “Transazione fiscale”, 
l’articolo 182-quater,  contenente, per l’appunto, “Disposizioni in tema di 
prededucibilità dei crediti nel concordato preventivo, negli accordi di 
ristrutturazione dei debiti”. 
La norma intende tutelare i crediti derivanti da finanziamenti effettuati in 
qualsiasi forma da banche ed intermediari, iscritti negli elenchi di cui agli articoli 
106 e 107 del d.lgs. del 1° settembre 1993, n. 385  (c.d. Testo unico delle leggi in 
materia bancaria e creditizia nella formulazione precedente alle modifiche introdotte 
dal D. Lgs. 13 agosto 2010, n. 141), erogati in esecuzione di un concordato 
preventivo, ai sensi degli articoli 160 e seguenti, ovvero di un accordo di 
ristrutturazione dei debiti, omologato ai sensi dell’articolo 182-bis, riconoscendo che 
tali crediti siano considerati prededucibili, ai sensi dell’articolo 111. 
A norma del primo comma del citato articolo 111 “le somme ricavate dalla 
liquidazione dell’attivo sono erogate nel seguente ordine: 
1. per il pagamento dei crediti prededucibili; 
2. per il pagamento dei crediti ammessi con prelazione sulle cose 
vendute secondo l’ordine assegnato dalla legge; 59
3. per il pagamento dei creditori chirografari, in proporzione 
dell’ammontare del credito per cui ciascuno di essi fu ammesso, 
compresi i creditori indicati al n. 2, qualora non  sia stata ancora 
realizzata la garanzia, ovvero per la parte per cui rimasero non 
soddisfatti da questa”. 
Ai fini procedurali, infatti, si devono considerare prededucibili ai sensi 
dell’articolo 111 della L.F. sia i crediti previsti da una specifica disposizione di 
legge che quelli sorti in occasione o in funzione di procedure concorsuali, tenendo in 
considerazione che i medesimi devono essere soddisfatti in via prioritaria con 
l’utilizzo delle somme realizzate a seguito della liquidazione dell’attivo. 
Sono, inoltre, prededucibili i crediti derivanti da finanziamenti effettuati dai 
predetti soggetti nella fase precedente il deposito della domanda di ammissione alla 
procedura di concordato preventivo o della domanda di omologazione dell’accordo 
di ristrutturazione dei debiti. 
In quest’ultima ipotesi, i suddetti finanziamenti dovranno essere previsti dal 
piano di cui all’articolo 160, con cui l’imprenditore propone ai creditori un 
concordato preventivo, o dall’accordo di ristrutturazione dei debiti.  
Ulteriore condizione richiesta è che la prededuzione dei menzionati crediti sia 
espressamente disposta nel provvedimento con cui il Tribunale accoglie la domanda 
di ammissione al concordato preventivo, ovvero con cui l’accordo sia omologato.  
In deroga a quanto previsto dagli articoli 2467 e 2497-quinquies del codice 
civile, la prededucibilità di cui al comma 1 dell’articolo 182-quater, trova 
applicazione anche per i crediti derivanti dai finanziamenti effettuati dai soci, fino a 
concorrenza dell'ottanta per cento del loro ammontare. 
In particolare, l’articolo 2467 del codice civile prevede la “postergazione” dei 
finanziamenti dei soci a favore della società, rispetto alla soddisfazione degli altri 
creditori. Analoga previsione è contenuta nell’articolo 2497-quinquies  del codice 
civile (che fa riferimento al citato articolo 2467) con riguardo ai finanziamenti 60
effettuati a favore della società da chi esercita attività di direzione e coordinamento 
nei suoi confronti o da altri soggetti ad essa sottoposti. 
Sono, infine, prededucibili i compensi spettanti al professionista incaricato di 
predisporre la relazione che attesti la veridicità  dei dati aziendali e la fattibilità del 
piano, nel caso del concordato preventivo (ai sensi dell’articolo 161, terzo comma, 
della L.F.), ovvero la relazione sull’attuabilità dell’accordo, nel caso della 
ristrutturazione dei debiti (ex articolo 182-bis, primo comma, della L.F.). Occorre, 
tuttavia, che a tal riguardo vi sia una esplicita previsione nel provvedimento con cui 
il tribunale accoglie la domanda di ammissione al concordato preventivo ovvero con 
cui l’accordo sia omologato. 
Ai sensi dell’articolo 177 della L.F. “(…) i creditori muniti di privilegio, 
pegno o ipoteca (…) non hanno diritto al voto se non rinunciano in tutto od in parte 
al diritto di prelazione”. Pertanto, i creditori sopra menzionati sono esclusi dal voto 
e dal computo delle maggioranze richieste per l’approvazione del concordato, ai 
sensi dell’articolo 177, nonché dal computo della percentuale dei crediti, in materia 
di accordi di ristrutturazione dei debiti, prevista dall’articolo 182-bis, primo e sesto 
comma. 
Il comma 2, dell’articolo 48 del decreto integra anche la disciplina dettata in 
materia di ristrutturazione dei debiti, prevedendo  che dopo il quinto comma 
dell’articolo 182-bis, della L.F., siano aggiunte le seguenti disposizioni: 
• sesto comma: il divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari o esecutive, 
di cui al terzo comma, può essere richiesto dall’imprenditore anche durante lo 
svolgimento delle trattative e prima della formalizzazione dell'accordo di 
ristrutturazione dei debiti, laddove abbia raggiunto un’intesa con la 
maggioranza qualificata dei creditori. In tal caso, occorrerà depositare presso il 
tribunale competente, ai sensi dell’articolo 9 della L.F.: 61
1. la documentazione di cui all’articolo 161, primo e  secondo comma, 
ossia la documentazione richiesta per la proposizione della domanda per 
l’ammissione alla procedura di concordato preventivo; 
2. una proposta di accordo, correlata da una dichiarazione 
dell'imprenditore, avente valore di autocertificazione, attestante che 
sulla proposta sono in corso trattative con i creditori, che rappresentano 
almeno il sessanta per cento dei crediti;  
3. una dichiarazione del professionista, circa la sussistenza delle condizioni 
per assicurare il regolare pagamento dei creditori con i quali non sono in 
corso trattative o che hanno comunque negato la propria disponibilità a 
trattare.  
Si precisa che quest’ultima dichiarazione dovrà avere i requisiti di cui 
all’articolo 67, terzo comma, lettera d), della L.F., secondo cui “non sono soggetti 
all’azione revocatoria: (…) d) gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni 
del debitore purché posti in essere in esecuzione di un piano (…) la cui 
ragionevolezza sia attestata da un professionista iscritto nel registro dei revisori 
contabili e che abbia i requisiti previsti dall’articolo 28, lettere a) e b) ai sensi 
dell’articolo 2501-bis, quarto comma, del codice civile”. 
La predetta istanza di sospensione viene pubblicata nel registro delle imprese 
e produce l’effetto del divieto di inizio o prosecuzione delle azioni esecutive e 
cautelari, nonché del divieto di acquisire titoli di prelazione, se non concordati, dalla 
pubblicazione. 
• comma settimo: Il tribunale, dopo aver verificato la completezza della 
documentazione depositata, provvede a fissare con decreto l’udienza entro il 
termine di 30 giorni dal deposito dell’istanza di cui al sesto comma, 
disponendo la comunicazione ai creditori della documentazione stessa. 
Durante il corso dell’udienza, riscontrata la sussistenza dei presupposti per 
pervenire ad un accordo di ristrutturazione dei debiti, con le maggioranze di cui al 62
primo comma, e delle condizioni per il regolare pagamento dei creditori, con i quali 
non sono in corso trattative o che hanno, comunque, negato la propria disponibilità a 
trattare, il Tribunale dispone con decreto motivato il divieto di iniziare o proseguire 
le azioni cautelari o esecutive. 
Va, peraltro, precisato che con lo stesso decreto il Tribunale può disporre di 
acquisire titoli di prelazione, se non concordati, assegnando il termine di non oltre 
60 giorni per il deposito dell’accordo di ristrutturazione e della relazione redatta dal 
professionista, a norma del primo comma. Il suddetto decreto è reclamabile a norma 
del quinto comma, in quanto applicabile. 
• comma ottavo: Solo a seguito del deposito dell’accordo di ristrutturazione dei 
debiti, nei termini assegnati dal tribunale, trovano applicazione le disposizioni 
di  cui al secondo, terzo, quarto e quinto comma. 
Il comma 2-bis della disposizione in esame prevede, infine, che dopo 
l’articolo 217 della L.F., relativo alla “bancarotta semplice” sia inserito l’articolo 
217-bis, che stabilisce l’“esenzioni dai reati di bancarotta” di cui ai precedenti 
articoli 216, terzo comma, e 217, in relazione ai pagamenti e alle operazioni 
compiuti in esecuzione di un concordato preventivo, di cui all’articolo 160, o di un 
accordo di ristrutturazione dei debiti, omologato ai sensi dell’articolo 182-bis ovvero 
del piano di cui all’articolo 67, terzo comma, lettera d). 
Sulle materie disciplinate dall’articolo 48 si rinvia ad un successivo 
documento di prassi amministrativa di approfondimento. 
23. Disposizione in materia di contenzioso tributario (Articolo 48-ter) 
L’articolo 48-ter del decreto, inserito dalla legge di conversione, modifica la 
lettera b) dell’articolo 3, comma 2-bis, del d.l. del 25 marzo 2010, n. 40 che 
contempla disposizioni volte a deflazionare il contenzioso pendente innanzi alla 
Commissione tributaria centrale e alla Corte di Cassazione. 63
La novità interessa le controversie tributarie pendenti presso i menzionati 
organi giurisdizionali, per le quali: 
• i ricorsi siano stati iscritti a ruolo nel primo grado entro e non oltre il 
25 maggio 2000; 
• l’Amministrazione finanziaria dello Stato risulti soccombente nei 
precedenti gradi del giudizio. 
Per le modalità della definizione in esame è previsto un meccanismo 
differenziato, a seconda dell’organo giurisdizionale innanzi al quale è pendente la 
controversia (cfr. circolare n. 37/E del 21 giugno 2010). 
Più precisamente, la lettera a) del comma 2-bis, del citato articolo 3, prevede 
che “le controversie tributarie pendenti innanzi alla Commissione tributaria 
centrale, (…) sono automaticamente definite con decreto assunto dal presidente del 
collegio o da altro componente delegato. (…)”. 
La successiva lettera b) del medesimo comma 2-bis stabilisce, invece, che “le 
controversie tributarie pendenti innanzi alla Corte di Cassazione possono essere 
estinte con il pagamento di un importo pari al 5 per cento del valore della 
controversia determinato ai sensi dell’articolo, comma 3, della l. 27 dicembre 2002, 
n. 289, e successive modificazioni, e contestuale rinuncia ad ogni eventuale pretesa 
di equa riparazione ai sensi della l. 24 marzo 2001, n. 89 (…)”. A tale previsione si 
è quindi aggiunto, con l’articolo 48-ter in commento, che “l’avvenuto pagamento 
estingue il giudizio a seguito di attestazione degli uffici dell’amministrazione 
finanziaria comprovanti la regolarità della istanza ed il pagamento integrale di 
quanto dovuto ai sensi del presente decreto”. 
24. Garanzia per il versamento di somme dovute per effetto di accertamento con 
adesione (Articolo 52-bis) 
L’articolo 52-bis del  decreto, inserito dalla legge di conversione, introduce, 
in via sperimentale, a partire dal 31 luglio 2010 e fino al 31 dicembre 2011, la 64
possibilità, ai fini del perfezionamento dell’accertamento con adesione in forma 
rateizzata di cui all’articolo 9 del d.lgs. n. 218 del 1997, qualora le rate successive 
alla prima siano superiori a 50.000 euro, di avvalersi di una ulteriore forma di 
garanzia - diversa da quelle già previste, ossia polizza fideiussoria, o fideiussione 
bancaria ovvero fideiussione rilasciata dai consorzi di garanzia collettiva dei fidi 
iscritti in apposito albo- da prestarsi attraverso ipoteca volontaria di primo grado.  
In particolare, la norma prevede due condizioni essenziali affinché la garanzia 
possa assumere la forma dell’ipoteca volontaria: 
• deve trattarsi di ipoteca volontaria di primo grado, cioè sullo stesso 
bene non devono essere iscritte altre ipoteche aventi un numero 
d’ordine progressivo precedente; 
• il valore dell’ipoteca, che deve essere pari al doppio del debito erariale 
o della somma oggetto di rateizzazione, deve essere comunque 
accettato dall’amministrazione finanziaria.  65
25. Disposizioni finanziarie (Articolo 55) 
L’articolo 55, commi 1 e 2, del  decreto interviene sul versamento 
dell’acconto dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, disponendo il 
differimento dello stesso, per il periodo di imposta 2011 e 2012, nei limiti che 
saranno determinati con decreto del Presidente del  Consiglio dei Ministri, su 
proposta del Ministro dell’economia e delle finanze. 
Per ciò che concerne i soggetti che si avvalgono dell’assistenza fiscale, i 
commi 1 e 2 dell’articolo sopra citato prevedono che i sostituti di imposta 
trattengano l’acconto, tenendo conto del differimento che sarà disposto con il citato 
DPCM.
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