In tema di ritualità della querela, la mancata indicazione delle modalità con le quali il pubblico ufficiale che la riceve perviene alla identificazione del soggetto che la propone o deposita, non genera invalidità dell’atto, ma, al più, una irregolarità di ordine amministrativo irrilevante ai fini della procedibilità dell’azione penale.

Da queste premesse, la Corte di cassazione, accogliendo il ricorso del procuratore generale, ha annullato con rinvio la sentenza del giudice di pace che, invece, erroneamente, aveva dichiarato il non doversi procedere per difetto di valida querela sul rilievo che al momento della ratifica della querela presso l’ufficio di polizia il querelante non risultava essere stato identificato mediante “completa indicazione delle sue generalità”.

La decisione consente di ricostruire la tematica dell’identificazione del querelante, disciplinato dall’articolo 337, comma 4, c.p.p., nel caso di presentazione personale della querela presso l’autorità competente a riceverla (cfr. articolo 331, comma 1, c.p.p.).

In linea generale è chiara la finalità del disposto dell’articolo 337, comma 4, c.p.p., che, in tema di formalità di ricezione della querela, richiede che l'autorità che la riceve provveda, tra l'altro, alla “identificazione” della persona che la propone: trattasi di una ragionevole cautela al fine di evitare l'attivazione della giurisdizione penale in mancanza della certezza che il querelante sia l'offeso dal reato.

E' in questa prospettiva che necessita, ai sensi dell'articolo 337, comma 1, seconda parte, c.p.p., nel caso di mancanza di contatto tra il querelante e gli uffici deputati alla ricezione dell'atto (quando, cioè, la querela è recapitata da un incaricato o spedita per posta), la sottoscrizione autentica della persona offesa, la cui mancanza non garantisce la provenienza dell'atto dal titolare del relativo diritto ed impedisce l'instaurarsi del procedimento penale, per difetto di valida condizione di procedibilità, a nulla rilevando neppure che la volontà della persona offesa risulti successivamente confermata.

Ad analoga conclusione di rigore non può però pervenirsi quando la parte offesa abbia presentato “personalmente” la querela e sia carente solo una completa identificazione della stessa: infatti, in questo caso, ritenere la nullità o l'inammissibilità dell'atto (tra l'altro, non previste espressamente dalla legge) significherebbe introdurre una formalità che stride con la ratio dell'articolo 337, comma 4, c.p.p., che consiste, come si è detto, nell'assicurare che la volontà di perseguire il colpevole sia espressa dalla vera parte lesa e non nell'ostacolare l'esercizio del diritto di querela. Pertanto, in questa ipotesi, come esattamente confermato dalla sentenza in esame, la non completa identificazione del querelante determina una mera irregolarità di ordine amministrativo, sfornita di sanzione processuale, che non incide sulla procedibilità dell'azione penale (cfr., in precedenza, Cassazione, Sezione V, 21 marzo 2007, PG in proc. Balena).

Ne deriva che, nel caso di presentazione personale della querela, il disposto dell’articolo 337, comma 4, c.p.p. risulta osservato, allorquando il querelante sia identificato in uno qualsiasi dei modi previsti dalla legge (anche per conoscenza personale e o per precedente identificazione), non occorrendo neppure riportare nell'atto di querela i dati identificativi ricavati da un documento di riconoscimento (cfr. Cassazione, Sezione IV, 22 febbraio 2006, PG in proc. Scarpin; nonché, Sezione V, 17 dicembre 2008, Mastroianni ed altro).


(Cassazione penale Sentenza, Sez. II, 22/12/2010, n. 44932)


Fonte: IPSOA

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