Il Tribunale Amministrativo Regionale del Piemonte afferma che la pregressa condanna per uno dei reati rientranti nella previsione dell’art. 381 c.p.p. è ostativa alla procedura di emersione di cui all’art. 1 ter, D.L. 01 luglio 2009, n.° 78, e che la prevista sospensione dei procedimenti penali e amministrativi in corso per violazione delle norme relative all'ingresso e al soggiorno nel territorio dello Stato non ha rilievo qualora la sentenza di condanna sia già stata pronunciata.

La sentenza in rassegna ribadisce e conferma due principi già fatti propri dal Consiglio di Stato con pronunce, entrambe della Sez. VI, in data 18 agosto e 29 settembre 2010 (rispettivamente n.° 5890 e n.° 7209).

Nella fattispecie, un cittadino extracomunitario si era visto respingere la propria dichiarazione di emersione del lavoro irregolare presentata ai sensi dell’art. 1 ter, D.L. 01 luglio 2009, n.° 78, convertito con modificazioni in Legge 23 agosto 2009, n.° 102, in quanto aveva riportato condanna per il reato previsto e punito dall’art. 14, comma 5, ter, D.L.vo 25 luglio 1998, n.° 286, per essersi trattenuto nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine legittimamente impartitogli a lasciarlo entro il termine di cui al precedente comma 5 bis.

Sulla prima questione dalla sentenza in commento affrontata nessuna perplessità sembra poter sorgere.

Ed invero, conformemente alla richiamata pronuncia Consiglio di Stato, 29 settembre 2010, n.° 7209, il richiamo operato dall’art. 1 ter, D.L. 01 luglio 2009, n.° 78, agli artt. 380 e 381 c.p.p., non può che essere inteso quale richiamo “indiretto” alle norme incriminatrici dagli stessi artt. 380 e 381 loro volta richiamate, ovverosia alle disposizioni che prevedono e puniscono sia le fattispecie di reato genericamente descritte perché sanzionate con pena edittale eguale o superiore ai limiti da detti articoli rispettivamente previsti sia alle specifiche fattispecie partitamente dagli stessi elencate.

Nessun margine di discrezionalità permane pertanto in capo all’Amministrazione in caso di positivo riscontro circa una pregressa condanna dello straniero richiedente per i reati in oggetto: la locuzione “non possono essere ammessi alla procedura di emersione” di cui al comma 13, art. 1 ter, D.L. 01 luglio 2009, n.° 78, deve infatti essere intesa come “non sono ammessi alla procedura di emersione”. E siccome ha esclusivo rilievo il criterio “quantitativo” e “qualitativo” di identificazione degli stessi di cui ai più volte citati artt. 380 e 381 c.p.p. ed è al contrario totalmente privo di valore qualsiasi richiamo alla previsione dell’arresto (obbligatorio o facoltativo), dovuto è nel caso di specie il respingimento dell’istanza di emersione del lavoro irregolare in quanto il richiedente era stato condannato per reato, quello di cui all’art. 14, comma 5 ter, D.L.vo 25 luglio 1998, n.° 286, punito con pena massima edittale di anni 4 (ovverosia superiore, nel massimo, a quella dall’art. 381 c.p.p. determinata in anni 3).

Qualche osservazione sembra invece doverosa in ordine alla seconda questione dalla pronuncia in rassegna affrontata. La stessa risulta essere stata oggetto di indagine della sentenza Consiglio di Stato 18 agosto 2010, n.° 5890, sopra richiamata, ed in entrambi i casi appare opportuno operare una distinzione.

Ai sensi del comma 8 dell’art. 1 ter, D.L. 01 luglio 2009, n.° 78, difatti, "dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto e fino alla conclusione del procedimento di cui al presente articolo, sono sospesi i procedimenti penali e amministrativi nei confronti del datore di lavoro e del lavoratore che svolge le attività di cui al comma 1 per le violazioni [tra le altre] delle norme […] relative all'ingresso e al soggiorno nel territorio nazionale […]" (eccetto quelle di cui all’art. 12, D.L.vo 25 luglio 1998, n.° 286). Ai sensi del già citato comma 13, nel caso si verta di uno dei reati richiamati dagli artt. 380 e 381 c.p.p., la procedura è tuttavia preclusa per coloro "che risultino condannati, anche con sentenza non definitiva" (compresa quella pronunciata a seguito di applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi dell'articolo 444 c.p.p.).

Ora: se nessuna questione, nemmeno di rilevanza costituzionale ai sensi dell’art. 3 Cost., pare possa sorgere per il caso di precedente sentenza passata in giudicato, qualche perplessità si ripropone qualora si volesse pedissequamente applicare la norma in caso di sentenza non definitiva.

Per tentare di suffragare la tesi contraria sarebbe davvero debole intendere il richiamo alla sospensione del “procedimento” penale quale riferimento alla sola fase “procedimentale” delle indagini preliminari. Da un lato in quanto il termine “procedimento” appare utilizzato nell’economia linguistica del testo per ricomprendere sinteticamente sia quello penale che quello amministrativo; dall’altro, e più significativamente, in quanto sarebbe irrazionale far conseguire risultati differenti in caso di azione penale già esercitata, e processo non ancora giunto a sentenza (per quanto in primo grado), e processo viceversa deciso, ma con sentenza non ancora passata in cosa giudicata.

La pronuncia del Tribunale Amministrativo Regionale del Piemonte, al pari di quella del Consiglio di Stato, non hanno preso posizione sulla questione, probabilmente perché la stessa non rilevava nel caso concreto; a nostro avviso sembra tuttavia sin d’ora preferibile ritenere la sospensione dei procedimenti (e dei processi) applicabile sia in corso di indagini che in corso di giudizio non ancora definito con sentenza irrevocabile.

In caso contrario la potenziale violazione dell’art. 3 Cost. riemergerebbe.

(TAR Piemonte, Sentenza, Sez. II, 18/12/2010, n. 4616)


Fonte: IPSOA

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