Il D.P.R. n. 168/2010, tra l'altro, pone limitazioni alla costituzione di società, prevedendo l'ampliamento dei servizi destinati alla libera concorrenza, con obbligo di cessione di capitali ai privati, con ulteriori limitazione alla gestione dei servizi in house, con un nuovo sistema dei controlli e nuove regole per gli amministratori. Tale regolamento si inserisce in una serie di disposizioni introdotte in questi ultimi mesi dal legislatore che sicuramente rendono complessa e problematica la gestione del "quotidiano", per gli enti locali interessati
La pubblicazione sulla G.U. n. 239 del 12 ottobre 2010 del decreto del Presidente della Repubblica n.168/2010 recante “Regolamento in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica a norma dell'articolo 23-bis, comma 10, del decreto legge 25 giugno 2008 n. 112, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008 n. 133”, ci consente a distanza di diversi mesi, di fare il punto sulle importanti novità introdotte e sulle possibili conseguenze che si potranno avere nei prossimi anni.

Tale regolamento, tra l’altro, che pone limitazioni alla costituzione di società, prevedendo l’ampliamento dei servizi destinati alla libera concorrenza, con obbligo di cessione di capitali ai privati, con ulteriori limitazione alla gestione dei servizi in house, con un nuovo sistema dei controlli e nuove regole per gli amministratori, si inserisce in serie di disposizioni introdotte in questi ultimi mesi dal legislatore che sicuramente rendono complessa e problematica la gestione del “quotidiano”, per gli enti locali interessati.

Si ricorda, infatti, che anche la Manovra d’Estate 2010 interviene pesantemente sulle società degli enti locali, già oggetto in passato di molteplici provvedimenti restrittivi.

In particolare, l’articolo 14, comma 32, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, prevede che i Comuni con popolazione inferiore a 30.000 abitanti non possono costituire società.

Entro il 31 dicembre 2011, i Comuni devono mettere in liquidazione le società già costituite alla data di entrata in vigore del suindicato decreto legge, ovvero devono cedere le partecipazioni.

Tali disposizioni non si applicano ai Comuni con popolazione fino a 30.000 abitanti, nel caso in cui le società già costituite abbiano avuto il bilancio in utile negli ultimi tre esercizi.

La norma prevede, inoltre, che la disposizione in commento non si applica alle società, con partecipazione paritaria ovvero con partecipazione proporzionale al numero degli abitanti, costituite da più Comuni la cui popolazione complessiva superi i 30.000 abitanti; i Comuni con popolazione compresa tra 30.000 e 50.000 abitanti possono detenere la partecipazione di una sola società; entro il 31 dicembre 2011 i predetti Comuni devono mettere in liquidazione le altre società già costituite.

Tali disposizioni devono essere correlate con quanto previsto dall’articolo 3, commi 27 e ss., della legge n. 244/2007 (cd. Finanziaria per il 2008), la cui applicazione resta ferma per espressa previsione normativa.

Il comma 27 del citato art. 3 afferma che: “al fine di tutelare la concorrenza e il mercato, le amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non possono costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né assumere o mantenere direttamente o indirettamente partecipazioni, anche di minoranza, in tali società.

E' sempre ammessa la costituzione di società che producono servizi di interesse generale e l’assunzione di partecipazioni in tali società da parte delle amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nell’ambito dei rispettivi livelli di competenza”.

Queste ultime previsioni, introdotte dalla legge finanziaria per il 2008, hanno indubbiamente portata generale, stabilendo il principio, legittimo per tutte le amministrazioni pubbliche, secondo cui possono essere costituite o mantenute partecipazioni in società aventi ad oggetto la produzione di beni e servizi, solo se strettamente necessarie al perseguimento delle proprie finalità istituzionali, mentre è sempre ammessa la costituzione di società che producono servizi di interesse generale.

La cd. Manovra d’Estate 2010, fatti salvi il principi posti dall’art. 3, commi 27 e ss. della Finanziaria per il 2008, introduce ulteriori limiti, connessi a requisiti di tipo dimensionale, ai fini della detenzione di partecipazioni societarie da parte dei Comuni.

Rispetto ad un vincolo generale, valevole per tutte le amministrazioni, che consente esclusivamente un uso dello strumento societario correlato alle rispettive finalità, il citato articolo 14 della Manovra d’Estate 2010 introduce, dunque, per una specifica categoria di enti (i Comuni), un limite ulteriore che, per questi ultimi, va a cumularsi a quello generale.

La ratio di questa normativa è chiaramente il perseguimento di obiettivi finanziari attraverso il contenimento della spesa pubblica e il miglioramento dei saldi di bilancio: sul presupposto che gli enti di maggiori dimensioni diano garanzie di maggiore efficienza nell’ambito in esame, si consente la costituzione ed il mantenimento di partecipazioni societarie solo ai Comuni con dimensioni tali da giustificare i correlati costi e rischi, fatta salva la possibilità per gli stessi di associarsi per dar vita ad aggregazioni con una popolazione interessata superiore, complessivamente, ai 30.000 abitanti.

Di conseguenza, i comuni che non raggiungono tali “dimensioni” non possono costituire o mantenere partecipazioni societarie, benché sia rispettato il principio generale contenuto nella Finanziaria per il 2008 anche se si tratti di società aventi ad oggetto la produzione di beni e di servizi necessari per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali o la produzione di servizi di interesse generale.

Si ampliano gli orizzonti per i privati

Con la riforma dei servizi pubblici locali, ora che anche il regolamento attuativo è stato approvato nel suo complesso, si può senz’altro affermare che trattasi di una riforma importante che riguarda l'attuazione della liberalizzazione dei servizi pubblici locali, uno dei punti di criticità nell'ambito della gestione delle autonomie locali.

Tra le novità di rilievo è previsto che non sarà più possibile gestire in house questi servizi ma la gestione sarà soggetta a gara.

La competizione e divisione tra proprietà e gestione sono le parole chiave per capire la riforma e il regolamento fissa regole chiare per lo svolgimento delle gare, affinché queste consentano in modo trasparente di selezionare il gestore più efficiente in grado di offrire tariffe più basse.

Perché le gare e i rapporti tra ente affidante e soggetto gestore siano trasparenti, il regolamento introduce motivi di incompatibilità per chi ricopre o ha ricoperto funzioni di amministratore nell'ente affidante vietando a costoro di occuparsi della gestione del servizio.

L’esecutivo di Governo ha sottolineato l'importanza della riforma e l'ha definita anche una risposta alle critiche e alle strumentalizzazioni, in particolare sul tema dell'acqua. Inoltre, ha aggiunto il Ministro competente (On. Fitto) "per la prima volta il governo affronta in modo organico la gestione dei servizi pubblici locali".

Già con la fine del 2010 avremmo dovuto assistere ai primi cambiamenti: dovrebbero uscire di scena le gestioni affidate con metodo diretto senza gara, con la contestuale apertura di appositi bandi.

Entro il 2011 invece decadranno le amministrazioni in house (ossia le commesse affidate a soggetti che siano parte dell’amministrazione stessa) e quelle delle spa miste, se all’interno del capitale sociale non entrerà almeno un soggetto privato con una quota minima del 40%.

Di un ideale “completamento del decreto Ronchi” ha parlato il ministro degli Affari regionali Raffaele Fitto, riferendosi all’attuazione della liberalizzazione dei servizi pubblici locali come l’acqua, i rifiuti, il trasporto pubblico locale.

Senza dubbio si tratta di una svolta molto importante nell’organizzazione e soprattutto nelle modalità di affidamento dei servizi pubblici nel nostro Paese, anche perché si va a toccare uno dei temi più “caldi” del dibattito politico degli ultimi anni.

Dal punto di vista delle imprese, tali servizi rappresentano un prezioso input produttivo: entrano direttamente nel ciclo produttivo e incidono sulla competitività dell’azienda.

Anche Confindustria sull’argomento, ha sottolineato, a Forum PA, come “un processo di liberalizzazione dei servizi pubblici, regolato non più sullo scontro pubblico-privato ma rivolto all’ottenimento di un’erogazione di servizi efficace ed efficiente, rappresenti una opportunità straordinaria per le imprese di aumentare la loro competitività nel mercato, impattando positivamente sull’intero sistema Paese”. La liberalizzazione dei servizi pubblici locali verrà attuata in tre fasi, stando al regolamento attuativo.

Gli affidamenti in house delle utility (e quindi anche della raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani, dello spazzamento stradale, ecc.), dovranno lasciare il campo a un mercato più libero, a decorrere dal 31 dicembre 2010 (e con varie scadenze). Si allarga, fra l’altro, la platea degli affidamenti non soggetti all’Antitrust (si parla di lavori con valore fino a 200.000 euro/anno) e si ammorbidisce l’obbligo di assunzione del personale tramite concorso.

Mentre l’assoggettamento al patto di stabilità delle società affidatarie in house è rimandato all’attuazione del federalismo fiscale.

La questione dell’acqua: la proprietà resta pubblica, ai privati solo la gestione

La questione comprensibilmente meno semplice è quella relativa al regolatore dei servizi idrici. Nella bozza del disegno di legge annuale sulla concorrenza, tuttora in stand-by al Ministero dello Sviluppo economico, si affida infatti il settore dell’acqua all’Authority per l’energia, ma non sono escluse modifiche.

Unica certezza è l’intoccabilità dell’articolo 1, nel quale è garantita la piena ed esclusiva proprietà pubblica delle risorse idriche, con la gestione (e solo la gestione) che passerebbe però, in via più “morbida”, anche ai privati. Nel regolamento attuativo in commento è contenuta una maxideroga appositamente pensata per il settore idrico, una maxi-deroga riservata al settore idrico, in cui le polemiche sulla «privatizzazione dell’acqua» si accompagnano a regole via via più morbide per l’ingresso ai privati, limitato peraltro alla sola gestione del servizio.

Decisione che ha scatenato un mare di polemiche, culminate nel milione e mezzo di firme raccolte nei banchetti sparsi in tutta Italia in cui si chiede la garanzia del mantenimento totale in mani pubbliche di tutto il circolo idrico.


Fonte: IPSOA

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