Non può essere concesso al contribuente il "condono" se il valore potenziale della lite, basato su un processo verbale di constatazione della Guardia di finanza, supera il limite imposto dalla legge per la definizione agevolata. Non solo. Il calcolo va fatto parametrando il tetto massimo previsto dalle norme sulle varie sanatorie alla sanzione minima sancita per l'irregolarità fiscale e accertata dalla Guardia di finanza.
E' quanto si evince dalla sentenza n. 737 del 19 gennaio 2010, con la quale la sezione tributaria della Corte di cassazione ha accolto il ricorso dell'Amministrazione finanziaria presentato contro la decisione della Commissione tributaria regionale che aveva annullato il provvedimento di diniego con il quale era stata dichiarata l'inammissibilità dell'istanza di condono.

La vicenda processuale
Assumendo in motivazione che il valore della lire era superiore 20 milioni di lire, come previsto dall'articolo 2-quinques del Dl 564/1994, il preesistente ufficio Iva dichiarava inammissibile la relativa istanza di sanatoria presentata da una società di persone, nei cui confronti quest'ultima, esperito ricorso, ottenne giudicati favorevoli sia in primo che in secondo grado.
In particolare, la Commissione regionale ha ritenuto chiusa la controversia definita in via agevolata ai sensi della norma citata, proprio in considerazione del valore dell'avviso di irrogazione sanzioni notificato alla società (10.426.000 lire) che, secondo la lettera della disposizione, sarebbe stata inferiore al detto limite normativo.
Si oppone l'Amministrazione finanziaria argomentando che, nel caso di specie, la definizione agevolata della pendenza invocata dal contribuente non era applicabile in quanto la sanzione inflitta originariamente dalla polizia tributaria superava il tetto massimo previsto dalla legge per accedere alla condonabilità della vertenza.

Riferimenti normativi
Al riguardo, va premesso che le liti fiscali pendenti alla data del 31 dicembre 1994 potevano essere definite, a domanda del ricorrente, con il pagamento di una somma rapportata al valore della lite stessa.
In particolare, l'articolo 1 del Dl 564/1994 dispone che le liti fiscali, pendenti alla data del 31 dicembre 1994 dinanzi alle Commissioni tributarie in ogni grado del giudizio e quelle che possono insorgere per atti notificati entro la medesima data, ivi compresi i processi verbali di constatazione per i quali non sia stato ancora notificato atto di imposizione, possono essere definite, a domanda del ricorrente:
  • con il pagamento della somma di 150mila lire, se la lite è di importo fino a 2 milioni di lire
  • con il pagamento di una somma pari al 10% del valore della lite, se questo è di importo superiore a 2 milioni e fino a 20 milioni.

La norma, per evitare dubbi interpretativi che potessero determinare l'insorgere di un contenzioso maggiore di quello eliminato con il condono (Cassazione 15937/2003), si preoccupava di fornire la definizione, tra l'altro, dei concetti di lite fiscale e di valore della causa:
  • per valore della lite si intende l'importo dell'imposta accertata al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con lo stesso atto impugnato. In caso di liti relative esclusivamente alla irrogazione di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste
  • in mancanza di avviso di accertamento e quando i processi verbali prevedono una sanzione da un minimo a un massimo, l'importo della sanzione necessario per il calcolo del valore della lite è il minimo previsto.

Sostanzialmente, quindi, così come chiarito dalla circolare 197/1994, gli unici limiti posti dall'articolo 2-quinquies sono quello della pendenza della controversia alla data del 31 dicembre 1994, quello del valore della stessa non superiore a 20 milioni di lire, nonché l'assenza o il rigetto della richiesta di definizione ex articolo 53 della legge 413/1991 (vedi anche risoluzione 264/1995).

Il giudizio di Cassazione
La Suprema corte ritiene fondato il ricorso dell'Amministrazione, argomentando che la Commissione tributaria del riesame, confermando il primo giudicato in considerazione del valore dell'avviso di irrogazione sanzioni notificato alla società contribuente ancorché inferiore all'indicato limite posto dalla legge, non si è attenuta ai canoni ermeneutici già altre volte espressi, con orientamento univoco, dal giudice di legittimità (sentenza 18790/2006).
Infatti, la Cassazione risolve la fattispecie applicando il principio generale secondo cui, in tema di condono fiscale, ai fini della determinazione del valore delle liti fiscali pendenti o "potenziali" alla data del 31 dicembre 1994, definibili ai sensi dell'articolo 2-quinquies, commi 1 e 4, del Dl 564/1994, qualora non superino la soglia di 20 milioni, in caso di liti relative esclusivamente all'irrogazione di sanzioni, per le quali non siano stati ancora emessi atti d'imposizione ("in mancanza di avviso di accertamento") alla data indicata, quando i processi verbali di constatazione "prevedono una sanzione da un minimo ad un massimo" occorre avere riguardo al minimo previsto.
Ne segue che, nell'ipotesi in cui al 31 dicembre 1994 sia configurabile una lite "potenziale" solo con riferimento a un processo verbale di constatazione nel quale, per le sanzioni irrogate, era prevista una pena pecuniaria minima superiore al limite fissato dalla legge in 20 milioni, la vertenza non è suscettibile di definizione agevolata, non potendosi attribuire alcun rilievo alla circostanza che, in data successiva al 31 dicembre 1994, sia stato notificato un avviso di irrogazione sanzioni quantificando la penalità irrogata in un importo inferiore all'espresso limite legale e, in astratto, rientrante nei limiti di valore idonei all'ammissione al condono.

D'altronde, la circostanza che l'irrogazione sanzioni sia successiva al termine di riferimento temporale per l'applicazione del beneficio di cui trattasi non può operare una riammissione in termini per fruire della sanatoria stessa, tanto più che si verte in una materia regolata da norme di "stretta interpretazione", le quali, com'è noto, non sono applicabili al di là del caso rigorosamente delimitato dall'ambito legislativo (Cassazione, 11106/2008 e 24926/2009).

Si aggiunge, per concludere, che, con orientamento univoco, la Corte di cassazione ha altrove stabilito (sentenza 18011/2004) che il beneficio della definizione delle controversie tributarie pendenti "non è applicabile qualora a tale data non sussista lite pendente e l'atto impositivo sia divenuto definitivo in epoca anteriore né, in tali ipotesi, rileva che il termine sia stato portato al 31 dicembre 1994 dal D.L. 28 giugno 1995, n. 250, in quanto, essendo l'atto divenuto definitivo già prima dello spirare del termine originario, neppure al 31 dicembre 1994 era possibile aprire un contenzioso".


Fonte: Agenzia Entrate

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