Qualora il contribuente non riesca a provare che a un’attività di sponsorizzazione è riconducibile una diretta attesa di ritorno commerciale, le spese di sponsorizzazione costituiscono sempre spese di rappresentanza e non di pubblicità o propaganda, perché idonee, al più, ad accrescere il prestigio dell’impresa.
Questo il principio affermato dalla Corte di cassazione con l’ordinanza n. 14252 del 23 giugno 2014.

Il fatto
La controversia prende le mosse dal ricorso proposto da un contribuente avverso un avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate.

In sede di appello, i giudici avevano confermato la legittimità dell’atto impositivo con cui l’Amministrazione finanziaria aveva rideterminato il reddito imponibile del contribuente, rettificando la spesa relativa all’acquisto di uno spazio pubblicitario su una vettura partecipante al campionato italiano GT su cui era stato apposto il logo dell’azienda accertata.
A parere della Commissione tributaria regionale, che ha avallato le motivazioni dell’ufficio finanziario, le spese in argomento – indicate tra quelle di sponsorizzazione – avrebbero dovuto essere qualificate come spese di rappresentanza e non di pubblicità e, pertanto, assoggettate al regime di deducibilità parziale (comma 2, articolo 108 del Tuir, nella versione vigente nel periodo d’imposta accertato).
Per i giudici, il costo ripreso a tassazione era stato sostenuto per accrescere il prestigio della ditta e non per incrementarne le vendite “in considerazione della dimensione e localizzazione della dicitura non ben visibile per il pubblico presente alla manifestazione” e, in quanto tale, rientrava tra le spese di rappresentanza.

Il contribuente, impugnando per cassazione la sentenza d’appello, ha lamentato la violazione del comma 2 dell’articolo 108.
La doglianza del ricorrente si basa sulla considerazione che l’elemento discretivo tra spese di pubblicità e spese di rappresentanza è quello della gratuità della prestazione in favore di terzi, propria di queste ultime.
In base a tale principio, avrebbero errato i giudici d’appello nel punto in cui hanno ignorato il criterio della gratuità della prestazione, focalizzando il giudizio sulle dimensioni del logo apposto sulla vettura sportiva e sulla sua visibilità.
Secondo il contribuente, l’elemento decisivo andava ricercato nel fatto che “la sponsorizzazione di una delle marche automobilistiche assai rinomata costituiva un impareggiabile biglietto da visita e un veicolo pubblicitario formidabile”.

Di diverso avviso la Corte di cassazione, che ha giudicato infondate le censure di parte e ha deciso per il rigetto del ricorso.

La decisione
I giudici di legittimità, dunque, sono stati chiamati a dirimere una controversia relativa al corretto inquadramento delle spese di sponsorizzazione.
Il dibattito attiene le incertezze interpretative legate al differente trattamento fiscale che era previsto per le spese di rappresentanza e di pubblicità, ambedue disciplinate dal comma 2, articolo 108 del Tuir.

Giova rammentare, a tal riguardo, che la norma in questione è stata innovata dall’articolo 1 della legge 244/2007 (Finanziaria 2008) e, se da un lato il trattamento fiscale delle spese di pubblicità è rimasto pressoché identico, quello relativo alle spese di rappresentanza è stato modificato.
In ragione del previgente regime le spese di rappresentanza erano, infatti, deducibili nel limite di un terzo del loro ammontare, per quote costanti nell'esercizio di sostenimento e nei quattro successivi.

Nel caso in esame, il contribuente aveva acquistato uno spazio pubblicitario su una vettura partecipante a un campionato sportivo per apporvi il logo della propria azienda.
Il costo era stato inserito in dichiarazione come spesa di pubblicità, integralmente dedotto ai sensi del primo periodo del comma 2 perché, a parere del contribuente, apporre il logo della propria azienda su una rinomata marca automobilistica costituisce un importante veicolo pubblicitario.

L’Agenzia delle Entrate aveva rettificato la dichiarazione fiscale, facendo rientrare il costo relativo all’acquisto del logo sulla macchina sportiva tra le spese di rappresentanza, deducibili solo nel limite di un terzo del loro ammontare.
Secondo i funzionari tributari, la spesa non era stata sostenuta per incrementare le vendite, ma per accrescere il prestigio della ditta, perché le dimensioni del logo erano oggettivamente troppo esigue per essere visibili al pubblico presente alla manifestazione.

I giudici di legittimità hanno affermato che il criterio dirimente, per la corretta qualificazione delle spese di sponsorizzazione, è individuare l’obiettivo strategico che l’impresa intende perseguire con il loro sostenimento.
Invero, se da un lato tra le spese di rappresentanza rientrano quelle “affrontate per accrescere il prestigio e l’immagine dell’impresa e a potenziarne le possibilità di sviluppo”, dall’altro devono essere qualificate come spese di pubblicità o di propaganda tutte quelle sostenute “per la realizzazione di iniziative tendenti, prevalentemente anche se non esclusivamente, alla pubblicizzazione di prodotti, marchi e servizi o comunque all’attività svolta”.
Il criterio discretivo va dunque individuato “nella diversità, anche strategica, degli obiettivi che, per le spese di rappresentanza, può farsi coincidere con la crescita d’immagine e il maggior prestigio nonché con il potenziamento della possibilità di sviluppo della società; laddove, per le spese di pubblicità o propaganda, di regola, consiste in una diretta finalità promozionale e di incremento commerciale, normalmente, concernente la produzione realizzata in un determinato contesto – Cass. n. 8679 del 15 aprile 2011”.

È sulla base di tali criteri che i giudici della Cassazione hanno accolto le ragioni dell’Agenzia delle Entrate, dichiarando che le spese di sponsorizzazione costituiscono spese di rappresentanza in quanto idonee, al più, ad accrescere il prestigio dell’impresa, a nulla rilevando la gratuità sottostante alla prestazione in favore di terzi.

A ulteriore conferma della propria decisione, la Corte ha osservato che il contribuente non aveva fornito alcuna prova che avvalorasse la diretta aspettativa di ritorno commerciale dell’attività sponsorizzata (cfr sentenza n. 3433/2012).


Fonte: Agenzia Entrate

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