Il contribuente perde i benefici prima casa nell’ipotesi di mancato trasferimento della residenza nel comune di ubicazione dell’immobile entro il termine di diciotto mesi dall’acquisto. Alcuna rilevanza assumono l’intervenuta separazione consensuale e l’accordo sull’immobile, non configurabili quali cause di forza maggiore esonerative dall’obbligo legale di trasferimento della residenza.
È quanto si desume dall’ordinanza n. 16082 del 14 luglio 2014 della Cassazione tributaria.

La vicenda processuale
La vicenda trae origine dall’impugnazione di un avviso di liquidazione con il quale l’Agenzia delle Entrate aveva recuperato le ordinarie imposte di registro, ipotecarie e catastali a seguito della decadenza dalle agevolazioni spettanti in relazione all’acquisto della prima casa, non avendo il contribuente trasferito, nel termine di diciotto mesi, la propria residenza nel comune di ubicazione dell’immobile.
In particolare, egli eccepiva che il mancato trasferimento era dipeso dall’intervenuta separazione consensuale, in conseguenza della quale aveva ceduto la propria quota del fabbricato alla consorte, riacquistando un altro immobile nel quale aveva trasferito la propria residenza.

La Ctp confermava la legittimità della pretesa tributaria.
Di contrario avviso, invece, la Ctr che, nel ribaltare il verdetto di primo grado, attribuiva alla intervenuta separazione consensuale valenza di forza maggiore, idonea a giustificare il mancato mutamento della residenza nel termine di legge.

L’Agenzia delle Entrate ricorreva, allora, per cassazione con un unico motivo di ricorso, ovvero lamentando la violazione dell’articolo 1 e della relativa nota 2-bis della tariffa, parte I, allegata al Dpr 131/1986.

La pronuncia della Cassazione
La Corte suprema ha ritenuto fondato il gravame, cassando la sentenza della Ctr e decidendo nel merito, non ritenendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, ai sensi dell’articolo 384 del codice di procedura civile.

Ad avviso della Cassazione, i giudici territoriali, nel riconoscere rilevanza di forza maggiore alla cessione da parte del contribuente della quota al coniuge separato, si sono posti in contrasto con l’indirizzo consolidato, in base al quale “i benefici fiscali – prima casa – spettano alla sola condizione che, entro il termine di decadenza di diciotto mesi dall’atto, il contribuente stabilisca, nel Comune dov’è ubicato l’immobile, la propria residenza”.

Il trasferimento dell’immobile a favore del coniuge, per effetto degli accordi intervenuti in sede di separazione consensuale, è, invero, riconducibile alla volontà del cedente e non al provvedimento giudiziale di omologazione.
Per questo motivo, i giudici di legittimità hanno escluso inequivocabilmente che tale cessione possa essere equiparata alla forza maggiore.

Osservazioni
Con riguardo alle agevolazioni previste in relazione all’acquisto della prima casa, è consolidato l’orientamento di legittimità in virtù del quale deve essere esclusa la possibilità di attribuire rilevanza giuridica alla realtà fattuale qualora contrasti con il dato anagrafico della residenza: “un simile principio è dettato in chiara funzione antielusiva, per la considerazione che un beneficio fiscale deve essere ancorato a un dato certo, certificativo della situazione di fatto enunciata nell’atto di acquisto” (cfr ex multis Cassazione 1173/2008, 1392/2010 e 1530/2012).

La realizzazione dell’impegno di trasferire la residenza rappresenta un elemento costitutivo per il conseguimento del beneficio richiesto e provvisoriamente concesso dalla legge al momento della registrazione dell’atto, costituendo un vero e proprio obbligo del contribuente verso il Fisco, il cui mancato assolvimento comporta la decadenza dell’agevolazione, salvo che ricorra un caso di forza maggiore.
Per tale deve intendersi un “impedimento oggettivo sopraggiunto non prevedibile e tale da non poter essere evitato che costituisca un ostacolo all’adempimento dell’obbligazione, caratterizzato da non imputabilità alla parte obbligata, inevitabilità e imprevedibilità dell’evento”(cfr Cassazione 1616/1981 e 26764/2013).

Al vaglio dei giudici di legittimità, dunque, la questione è: se l’intervenuta separazione consensuale tra i coniugi, con conseguente alienazione dell’immobile agevolato alla ex consorte, possa costituire una causa di forza maggiore, idonea a giustificare il mancato mutamento della residenza.

Invero, in virtù del pregresso orientamento di legittimità, le convenzioni concluse dai coniugi in sede di separazione personale, contenenti attribuzioni patrimoniali relative a beni mobili o immobili, non sono né legate alla presenza di un corrispettivo né costituiscono propriamente donazioni, bensì rispondono di norma al peculiare spirito di regolamentazione dei rapporti in occasione dell’evento di “separazione consensuale”, in funzione della complessiva sistemazione solutoria-compensativa di tutta la serie di possibili rapporti patrimoniali maturati nel corso della convivenza matrimoniale (cfr Cassazione 2263/2014, 5741/2004 e 5473/2006).

Conseguentemente, il regolamento concordato tra i coniugi, pur acquistando efficacia giuridica solo in seguito al provvedimento di omologazione (cfr Cassazione 9174/2008), trova la sua fonte nell’accordo delle parti.
Il trasferimento di un bene, dunque, attuato successivamente all’acquisto e nelle more del complesso procedimento di separazione consensuale, costituisce un trasferimento riconducibile alla volontà del cedente, inidoneo a costituire una causa oggettiva, inevitabile e imprevedibile, di forza maggiore, tale da ostacolare il mutamento della residenza.

Nel caso di specie, pertanto, l’irrilevanza della realtà fattuale – dell’intervenuta separazione consensuale tra i coniugi non configurabile quale causa di forza maggiore – ha comportato, in difetto del mutamento nei diciotto mesi del requisito anagrafico della residenza nel comune di ubicazione dell’immobile acquistato, la legittima decadenza dai benefici fiscali “prima casa”.


Fonte: Agenzia Entrate

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