Legittima la confisca per equivalente disposta presso il procuratore sportivo e riferibile ai compensi pagati ad atleti professionisti su conti esteri intestati a questi ultimi e relativi a contratti d’immagine dissimulati.
Questo il principio di diritto ribadito dalla Cassazione penale nella sentenza n. 42120 del 29 ottobre, che torna a occuparsi del reato di riciclaggio transnazionale (legge 146/2006) finalizzato al contrasto delle frodi fiscali in ambito comunitario attraverso lo strumento della confisca per equivalente del profitto del reato stesso.

I fatti di causa
Un procuratore sportivo del settore ciclistico, accusato del reato di riciclaggio (articolo 648-bis codice penale), impugna in Cassazione l’ordinanza con la quale il tribunale del riesame, confermando il provvedimento del Gip - emesso nell’ambito di una più ampia indagine su una presunta associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio e al contrabbando di medicinali dopanti destinati a ciclisti professionisti - aveva convalidato il sequestro preventivo di circa 26mila euro depositati presso un conto corrente allo stesso intestato.

Secondo l’accusa, l’indagato, avvalendosi della collaborazione di un banchiere svizzero, avrebbe offerto a vari atleti (anch’essi destinatari di provvedimenti di sequestro preventivo) un pacchetto di servizi complessi e articolati, non solo relativi all’uso di sostanze dopanti, ma, per quel che rileva in questa sede, necessari per occultare al fisco i compensi percepiti mediante la sottoscrizione di falsi contratti d’immagine e l’apertura di conti correnti bancari esteri cifrati.

Nel merito, i giudici del riesame avevano rilevato che, a seguito delle indagini, erano emersi fatti di evasione fiscale a carico di tutti i ciclisti oggetto di analoghi provvedimenti di sequestro, pertanto doveva ritenersi accertato il delitto presupposto del reato di cui all’articolo 648-bis codice penale rispetto alle condotte contestate al procuratore, ritenute pienamente idonee a ostacolare l’identificazione della provenienza delle somme dai reati commessi dai clienti dell’indagato (il primo comma dell’articolo 648-bis del codice penale così recita: “Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni…”).
Infine, i giudici territoriali ribadivano la legittimità della misura cautelare anche sotto il profilo quantitativo, sottolineando che la somma sequestrata era notevolmente inferiore al profitto derivato dal reato di riciclaggio.

Nel ricorso, la difesa dell’indagato eccepisce, tra le altre, l’erronea applicazione dell’articolo 648-bis contestando l’affermazione dell’illecita provenienza della somme sequestrate nei confronti dei ciclisti, che corrisponderebbero nulla più che ai compensi dagli stessi legittimamente percepiti, mentre l’illecito profitto andrebbe individuato nelle dichiarazioni fiscali infedeli.
In altri termini, se le somme sequestrate nei confronti degli atleti non costituiscono il profitto di reati fiscali, presupposto del delitto di riciclaggio viene meno.
Mancherebbe, infine, sempre con riferimento all’astratta configurabilità del delitto di riciclaggio, il requisito della disponibilità della somme in questione, direttamente accreditate a favore dei vari atleti e sequestrate direttamente nei loro confronti.

La decisione della Cassazione
Per i giudici di piazza Cavour il ricorso è infondato.
Al riguardo, la Cassazione, nel rigettare la tesi difensiva secondo cui nei reati di evasione fiscale non sarebbe ravvisabile un profitto assoggettabile a sequestro prima e a confisca poi, precisa che “anche in tema di reati tributari il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, può essere infatti disposto sia per il prezzo, sia per il profitto del reato (Cass. pen. Sez. 3^, n. 35807 del 07/07/2010; Cass. pen., sez. 6^, 27.9.2007 n. 37556, dove la precisazione che per profitto confiscabile deve intendersi non solo un positivo incremento del patrimonio personale, bensì qualunque vantaggio patrimoniale direttamente derivante dal reato anche se consistente in un risparmio di spesa, dovendosi peraltro ricomprendere nella nozione di profitto, anche l’elusione del pagamento degli interessi e delle sanzioni amministrative sul debito tributario).
In sostanza, secondo la Corte Suprema, si tratta degli “…stessi valori di riferimento per il sequestro funzionale alla confisca per equivalente in caso di delitto di riciclaggio transnazionale avente ad oggetto i proventi del reato di frode fiscale, il ‘valore’ del primo reato dovendo essere quantificato in questo caso sulla base del profitto del secondo, entrato a far parte delle operazioni di riciclaggio transnazionale (Cass. Sez. 3^, Sentenza n. 11970 del 24/02/2011)”.

In altri termini, secondo la Cassazione, se il riciclaggio, secondo la ricostruzione dei fatti prospettata dall’accusa, aveva ad oggetto, tra l’altro, i proventi delle frodi fiscali, tali proventi costituiscono il profitto anche del reato di riciclaggio in relazione ai soggetti, peraltro tutti legati dal vincolo associativo, che sono autori solo di tale ultimo delitto transnazionale.
Ne consegue la correttezza giuridica dell’ordinanza impugnata che ha quantificato il valore di riferimento, ai fini della confisca per equivalente, sulla base del profitto delle frodi fiscali entrato a far parte poi delle operazioni di riciclaggio transnazionale.
Allo stato degli atti, continua ancora la Corte, “…le questioni dell’effettiva corrispondenza della somme sequestrate ai reati di evasione fiscale commessi dagli atleti clienti dell’indagato, e dell’eventuale assoggettamento alla misura cautelare di somme in realtà corrispondenti a leciti proventi delle attività sportive, rimangono tutte suscettibili di approfondimento nella competente sede di merito, ma non inficiano la valutazione dell’astratta corrispondenza delle condotte contestate allo….alla fattispecie di reato ipotizzata dall’accusa, tanto più considerando la tecnica dei falsi contratti di immagine specificamente indicata nel provvedimento impugnato, come precipuo strumento di evasione fiscale”.Da ultimo, prive di fondamento sono le deduzioni difensive sulla presunta assenza del requisito della disponibilità della somme riciclate da parte dell’indagato, atteso che “…l’attività di intermediazione nella collocazione di denaro o altri valori per conto di terzi, in modi atti ad occultarne l’illecita provenienza, comporta la ‘formale’ disponibilità dei beni da parte del ‘riciclatore’, come conseguenza dell’incarico affidatogli dall’interessato, non essendo affatto richiesta una precedente e ‘visibile’ disponibilità materiale dei valori collocati”.


Fonte: Agenzia Entrate

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