Il possesso di autovetture di grossa cilindrata può far presumere all’Agenzia delle Entrate un maggior reddito non dichiarato. Al contribuente l’onere di provare che le entrate presunte dal redditometro non esistono o esistono in misura inferiore. E’ quanto affermato dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 18604 del 29 ottobre.

Il fatto
A seguito di accertamento sintetico, l’Agenzia delle Entrate aveva quantificato in capo al contribuente un maggior reddito rispetto a quello dichiarato, desunto dall’acquisto di un certo numero di azioni e dalla disponibilità di tre autovetture di grossa cilindrata.
Tuttavia, la Commissione tributaria provinciale, con sentenza confermata dai giudici di appello, aveva accolto il ricorso del contribuente contro l’avviso di accertamento notificatogli. In particolare, i giudici di merito avevano affermato che l’Ufficio finanziario non era riuscito a dimostrare, gravando sullo stesso l’onere probatorio, perchè le spese sostenute per l’acquisto delle azioni e il mantenimento delle autovetture dovessero ritenersi eccessive rispetto al reddito dichiarato dal ricorrente. Inoltre, la produzione di documenti, fatta a tal fine per la prima volta in appello, doveva considerarsi tardiva e inammissibile.

Il ricorso per cassazione
Contro la sentenza della Ctr, l’Agenzia delle Entrate ricorre in Cassazione, lamentando, in primo luogo, la violazione dell’articolo 38 del Dpr 600/1973, in quanto i giudici di merito avevano, di fatto, imposto all’erario un onere della prova riferito a fatti diversi e ulteriori rispetto a quelli individuati nei coefficienti presuntivi di reddito posti a fondamento dell’accertamento sintetico, coefficienti costituiti esclusivamente dalla disponibilità delle autovetture.
In secondo luogo, l’ufficio aveva lamentato la violazione dell’articolo 58, comma 2, del Dlgs 546/1992, che riconosce alle parti la facoltà di produrre nuovi documenti in appello.
La Commissione tributaria regionale, infatti, non aveva consentito la valutazione di tali documenti (la copia di due interrogazioni del sistema informativo dell’Anagrafe tributaria da cui risultava l’acquisto delle azioni da parte del contribuente), nonostante fossero decisivi.

La decisione
Con la sentenza 18604/2012, la Suprema corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate e rinviato la causa alla Commissione tributaria regionale in diversa composizione.
I giudici di legittimità hanno ribadito che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la determinazione del reddito effettuata sulla base dell’applicazione del “redditometro” dispensa l’Amministrazione finanziaria da qualunque ulteriore prova rispetto ai fatti indici di maggiore capacità contributiva, individuati dal redditometro stesso e posti alla base della pretesa tributaria, e pone a carico del contribuente l’onere di dimostrare che il reddito presunto sulla base del redditometro non esiste o esiste in misura inferiore (Cassazione, sentenze 5794/2001 e 14951/2006).
Per la Suprema corte, dunque, sarebbe spettato al contribuente, a differenza di quanto affermato dai giudici di merito, fornire la prova contraria rispetto alla presunzione stabilita ex lege.

Si ricorda, per precisione, che, in base all’attuale formulazione dell’articolo 38 del Dpr 600/1973, seppure accertata la disponibilità dei beni e dei servizi normativamente individuati, il contribuente può anche dimostrare che il maggior reddito determinato sulla base del redditometro è costituito, in tutto o in parte, da redditi diversi da quelli posseduti nel periodo d’imposta interessato dall’accertamento, o da redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o, comunque, legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile.

Con la sentenza in esame, i giudici di legittimità hanno ritenuto fondata anche la censura sull’asserita violazione dell’articolo 58, comma 2, del Dlgs 546/1992.
Più precisamente, hanno fatto notare che i nuovi documenti probatori sono stati offerti in produzione unitamente all’atto di appello, sicché, proprio in applicazione del citato articolo 58, ne sarebbe stata necessaria l’ammissione (e, comunque, non potevano essere ritenuti inammissibili) senza alcuna necessità di vaglio da parte del giudicante.
Infatti, come già affermato dalla giurisprudenza di legittimità (Cassazione 16916/2005), in tema di contenzioso tributario, l’articolo 58, comma 2, del Dlgs 546/1992, ha espressamente previsto e consentito la produzione di nuovi documenti in appello.
Ne consegue che, nel processo tributario, mentre prove ulteriori rispetto a quelle già acquisite nel giudizio di primo grado non possono essere disposte in appello, salvo che la parte dimostri di non averle potute fornire nel precedente grado di giudizio, i documenti possono essere liberamente prodotti anche in sede di gravame, ancorché preesistenti al giudizio svoltosi in primo grado.


Fonte: Agenzia Entrate

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