La controversia in esame concerne una domanda di pronuncia pregiudiziale relativa alla interpretazione dell’articolo 49 del trattato CE che vieta restrizioni alla libera prestazione di servizi.  La questione è stata sollevata nell’ambito di una controversia tra una società di diritto belga e l’Amministrazione fiscale nazionale, in ordine alla decisione di quest’ultima di non riconoscere la deduzione, a titolo di spese professionali, di una somma che tale società aveva contabilizzato come onere nei suoi bilanci.
La società ha costituito, unitamente a un gruppo estero, una controllata per la coltivazione di palmeti, finalizzata alla produzione di olio di palma.
In base agli accordi stipulati, la prima società, che forniva servizi e vendeva attrezzature alla controllata comune, avrebbe corrisposto una parte degli utili realizzati, a  titolo di commissioni, alla capogruppo del gruppo estero, vale a dire una società di diritto lussemburghese, che non era assoggettata ad una imposta analoga all’imposta belga sulle società.
Sulla base di quanto previsto dall’articolo 54 del codice delle imposte sui redditi belga, l’Amministrazione fiscale belga respingeva la deduzione di una rilevante somma a titolo di spese professionali, da parte della prima società. La posizione è stata confermata anche in sede giurisdizionale, sia in primo grado che in appello.

Le valutazioni della Corte    
Con riferimento alla presunta sussistenza, nel caso di specie, di una restrizione alla libera prestazione di servizi, la Corte ha espresso le seguenti valutazioni. In base a quanto stabilito dalla regola generale, dettata dall’articolo 49 del codice belga delle imposte sui redditi, il contribuente deve fornire la prova dell’effettività e dell’importo delle spese sostenute, dato che l’Amministrazione fiscale presume il carattere necessario delle spese sostenute per realizzare o conservare i redditi imponibili; l’importo di dette spese non deve superare in modo irragionevole le necessità professionali.
Inoltre, sussiste una regola speciale, dettata dall’articolo 54 del codice delle imposte sui redditi (applicabile al caso di specie), che si applica laddove i corrispettivi sono versati a prestatori che, sulla base delle disposizioni dello Stato membro in cui sono stabiliti, non sono assoggettati a una imposta sui redditi o sono assoggettati a un regime impositivo più vantaggioso di quello cui tali reddito sono soggetti in Belgio. In tale ipotesi, per contestare la presunzione di non deducibilità delle spese, il contribuente deve provare che corrispondono a operazioni effettive e veritiere, ovvero fornire la prova che rientrino nell’ambito abituale delle operazioni professionali e corrispondono a una necessità industriale, commerciale o finanziaria. Il contribuente deve poi provare che le spese professionali non eccedono i limiti normali e questo significa confrontare l’operazione con la prassi normale degli operatori di mercato.
Al riguardo, la Corte sottolinea l’incertezza che sussiste per verificare se tale regime possa essere considerato un regime notevolmente più vantaggioso e se pertanto la menzionata regola speciale trovi applicazione. Tale regola, per riconoscere il diritto alla deduzione delle spese generali, prevede presupposti più restrittivi e risulta idonea a dissuadere i contribuenti belgi dall’esercizio del loro diritto alla libera prestazione di servizi (tramite ricorso a servizi offerti da prestatori stabiliti in altro Stato membro) e dissuade poi i prestatori  di servizi stabiliti in altri Stati membri dall’offrire i loro servizi a destinatari stabiliti in Belgio.
Da ciò deriva che l’articolo 54 del codice belga è idoneo a configurare una restrizione alla libera prestazione di servizi garantita dall’articolo 49 del Trattato.

La lotta alla frode fiscale
La Corte si è pronunciata anche in relazione a una presunta giustificazione della restrizione alla libera prestazione di servizi fondata sulla lotta alle frodi fiscali. La sola circostanza che un contribuente residente ricorra ai servizi di un prestatore  di servizi non residente non è sufficiente a fondare la presunta esistenza di una pratica abusiva, che giustifichi il pregiudizio all’esercizio di una libertà fondamentale garantita dal Trattato, posto che una limitazione di tale libertà deve rispondere allo scopo di ostacolare comportamenti volti a creare costruzioni puramente artificiose, priva di alcuna effettività economica e finalizzate ad eludere la normale imposta sugli utili generati da attività svolte nel territorio nazionale.
Risulta decisiva per la Corte, la circostanza per la quale la regola speciale, prevista dal menzionato articolo 54, impone al contribuente belga la gravosa e sistematica dimostrazione dell’effettività e veridicità di tutte le prestazioni, oltre che la prova del carattere normale dei relativi corrispettivi, senza che l’amministrazione fiscale sia tenuta a fornire il minimo indizio di prova di frode o evasione fiscale.
Ciò posto, tale regola non consente di determinare con precisione il proprio ambito applicativo, non riuscendo a soddisfare quelle esigenze di certezza del diritto, le quali esigono che le norme siano chiare, specie  quando possano determinare conseguenze sfavorevoli per gli individui e le imprese.

Le conclusioni della Corte
Secondo gli eurogiudici i corrispettivi per prestazioni o servizi, versati da un contribuente residente a una società non residente, non sono considerati spese professionali deducibili laddove quest’ultima non sia assoggettata, nello Stato membro in cui è stabilita, a una imposta su redditi o soggetta a un regime impositivo più vantaggioso di quello in cui rientrano tali redditi nel primo Stato membro. E questo a meno che il contribuente non dimostri che tali corrispettivi si riferiscono a operazioni effettive e veritiere e che non superano i limiti normali. In base alla regola generale, poi, tali corrispettivi sono deducibili a titolo di spese professionali se necessari per realizzare o conservare i redditi imponibili e il contribuente riesce a dimostrare l’effettività e l’importo.


Fonte: Agenzia Entrate

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