È valido l’avviso di accertamento che trae origine dai dati acquisiti dalla Guardia di Finanza anche se trasmessi all’ufficio dell’Agenzia delle Entrate senza l’autorizzazione della procura della Repubblica.
È il principio stabilito la Corte di cassazione con l’ordinanza 11607 del 10 luglio.

I fatti
A seguito di un controllo effettuato dalla Guardia di finanza presso la sede aziendale di una Srl (un artigiano veneto), l’ufficio ha proceduto al recupero di Iva, Irpeg e Irap per l’anno di imposta 2000. L’avviso di accertamento, che trae origine dal pvc elevato il 29 gennaio 2001 trasmesso all’ufficio in assenza dell’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, è stato dichiarato non legittimo dai giudici di merito anche per violazione dell’articolo 63, comma 1, Dpr 633/1972.

L’Agenzia ha impugnato per cassazione la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto, articolando il ricorso in tre motivi:
insufficiente motivazione in ordine a un fatto controverso. La Commissione regionale, infatti, ai fini della legittimità dell’accertamento, non ha valutato che l’accertamento stesso era fondato anche sulla mancata presentazione della dichiarazione annuale (dedotto dall’Agenzia anche in sede di appello)
nullità della sentenza per carenza di motivazione o, comunque, per insufficiente motivazione, laddove il giudice di secondo grado ha ritenuto illegittimo l’atto di accertamento per violazione dell’articolo 63 del Dpr 633/1972, e 200 disposizioni attuative del codice di procedura penale, con un richiamo generico a tali disposizioni
insufficiente motivazione della pronuncia, poiché il collegio ha affermato l’illegittimità dell’avviso per la mancata notifica alla società del pvc, senza accertare, così come richiesto dall’Agenzia appellante, che l’avviso ne riproduceva integralmente il contenuto e che, quindi, lo stesso non necessitava di essere notificato.

La Cassazione ha accolto le suddette censure, ritenendo che:
la sentenza impugnata risultava priva di argomentazione sull’omessa presentazione della dichiarazione annuale, limitandosi il giudice a rilevare l’utilizzabilità della documentazione prodotta dalla società solo in un secondo momento
“… l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, richiesta dall’art. 63, primo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, per la trasmissione, agli uffici delle imposte, dei documenti, dati e notizie acquisiti dalla Guardia di finanza nell’ambito di un procedimento penale, è posta a tutela della riservatezza delle indagini penali, non dei soggetti coinvolti nel procedimento medesimo o di terzi, con la conseguenza che la sua mancanza non tocca l’efficacia probatoria dei dati trasmessi, ne implica l’invalidità dell’atto impositivo adottato sulla scorta degli stessi (Sez. 5, Sentenza n. 11203 del 16/05/2007)…”
è insufficiente la motivazione della sentenza, avendo la stessa affermato l’illegittimità dell’avviso per la mancata notifica alla società del pvc, senza effettuare i dovuti e richiesti controlli.

Osservazioni
Con la pronuncia in esame, la Corte pone l’accento sulla finalità dell’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, richiesta dall’articolo 63, comma 1, Dpr 633/72, in materia di Iva, e dall’articolo 33, Dpr 600/73, in materia di imposte sui redditi, per la trasmissione, agli uffici dei documenti, dati e notizie acquisiti dalla Guardia di finanza nell’ambito di un procedimento penale.
Costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità che tale autorizzazione è volta alla tutela del segreto istruttorio, cui è preposto il pubblico ministero fino alla chiusura delle indagini preliminari, e non alla tutela dei soggetti coinvolti nel procedimento medesimo o di terzi; non ha quindi la funzione di filtrare ulteriormente l’acquisizione di elementi significativi a fini fiscali (Cassazione, sentenza 28695/2005, 22035/2006, 2450/2007, 11203/2007, 16431/2008 e 27947/2009).
Tale autorizzazione, inoltre, rappresenta un punto di contatto tra il procedimento di accertamento fiscale e quello penale, essendo richiesta dalla Guardia di finanza nello svolgimento delle attività di indagine (ai sensi dell’articolo 33, Dpr 600/1973 e degli articoli 52 e 63, Dpr 633/1972). Attività che possono essere sia di natura amministrativa, in chiave di cooperazione con gli uffici dell’Agenzia per ispezioni, verifiche, ricerche e acquisizione di notizie, sia in veste di polizia giudiziaria, dirette all’accertamento di reati. Per queste ultime attività, la mancata osservanza delle norme dettate dal codice di procedura penale a tutela dei diritti inviolabili dell’indagato, rileva al fine della possibilità di utilizzare in sede penale i risultati dell’indagine, ma non incide sul potere degli uffici e del giudice tributario di avvalersene a fini meramente fiscali, purché non siano violate le disposizioni tributarie in materia (Cassazione, sentenza 8990/2007, 2938520/08, 18077/2010 e 22984/2010).

Di conseguenza, al di fuori del procedimento penale, la mancanza di autorizzazione dell’autorità giudiziaria “… non tocca l’efficacia probatoria dei dati trasmessi, né implica l’invalidità dell’atto impositivo adottato sulla scorta degli stessi …” (Cassazione 11607/2012).

Ciò non significa che l’attività della Gdf e degli uffici debba svolgersi senza il rispetto di cautele volte garantire il rispetto dei diritti fondamentali del contribuente, quanto piuttosto che solo gravi irritualità nell’acquisizione di elementi rilevanti comportano l’inutilizzabilità degli stessi. Ma la sentenza della Cassazione non lo precisa. Probabilmente perché le conclusioni cui pervengono i giudici di legittimità sono le stesse di altre pronunce nelle quali la Corte ha rilevato che non esiste una specifica previsione a tale riguardo e che, comunque, l’utilizzabilità degli elementi acquisiti in modo irrituale è esclusa solo nei casi in cui viene in discussione la tutela di diritti fondamentali di rango costituzionale (“…quali l’inviolabilità della libertà personale, del domicilio, ecc…” – Cassazione 14058/2006, 8990/2007 e 24923/2011).

Inoltre, tale utilizzabilità può essere confermata anche per il principio di autonomia dei due procedimenti, penale e di accertamento fiscale, sancito dalle norme sui reati tributari (articolo 20, Dlgs 74/2000), desumibile dalle disposizioni generali dettate dagli articoli 2 e 654 cpp, ed espressamente previsto dall’articolo 220 disposizioni attuative del cpp: l’obbligo del rispetto di tali disposizioni sussiste quando nel corso di attività ispettive emergano indizi di reato, ma soltanto ai fini della “applicazione della legge penale” (Cassazione 22984/2010 e 24923/2011).

Ora la controversia tornerà alla Commissione regionale che, in sede di rinvio, dovrà definire la vicenda alla luce dei principi enunciati in sede di legittimità.


Fonte: Agenzia Entrate

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