Il principio ha interessante rilievo per il caso, piuttosto frequente, in cui il dipendente di multinazionale italiana, dopo una carriera trascorsa all’estero, rientri in Italia a ridosso della conclusione del rapporto di lavoro. In questo caso, non rileva il fatto che al momento della liquidazione del TFR il dipendente sia residente in Italia, perché magari in procinto di accedere alla pensione; anche in questo caso, il potere impositivo è unicamente dello Stato in cui sono state, tempo per tempo, tassate le retribuzioni che hanno costituito base imponibile per l’accantonamento del trattamento di fine rapporto.
Nella vicenda in commento, il contribuente proponeva appello avverso la decisione della Commissione provinciale che aveva confermato una cartella esattoriale relativa alla riliquidazione delle imposte dovute sul trattamento di fine rapporto.

Fra le altre censure, l’appellante lamentava che le imposte oggetto di riliquidazione erano relative a quote di trattamento di fine rapporto maturate in periodi in cui egli era residente e lavorava all’estero, in Canada, e per le quali, conseguentemente, l’Italia non aveva potere impositivo.

La Commissione Regionale di Milano, con la sentenza in epigrafe, ha annullato la cartella con motivazione condivisibile.

È noto che, in via generale, il reddito di lavoro dipendente prestato all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto di lavoro è esente dall’IRPEF.

Secondo la disciplina introdotta dalla legge n. 297/1982, il trattamento di fine rapporto costituisce un diritto di credito a pagamento differito (e cioé al momento della cessazione del rapporto, o a quello in cui si verificano i presupposti per ottenere un’anticipazione), il quale matura anno per anno in relazione al lavoro prestato e all’ammontare della retribuzione e degli accessori aventi natura retributiva.

Tale diritto, secondo una consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione, si concretizza quantitativamente anno per anno in modo progressivo, secondo il meccanismo di determinazione previsto dall’art. 2120 c.c., così come modificato dall’art. 1 della legge n. 297/1982; presenta i caratteri della certezza e liquidità ed ha natura sostanzialmente retributiva (c.d. retribuzione differita), in quanto trova causa diretta nel rapporto di lavoro (SS.UU. 23 novembre 1987, n. 8625, e successiva, costante giurisprudenza della Sezione Lavoro).

È significativo ricordare che tale natura, secondo la giurisprudenza della Corte (sentenza 1° febbraio 1985, n. 664), non viene meno per il fatto che l’indennità sia esclusa dalla base imponibile previdenziale, ai sensi dell’art. 12, n. 3), legge 30 aprile 1969, n. 153.

Consegue che, poiché ad ogni anno di prestazione di lavoro - e relativa retribuzione - corrisponde il diritto a percepire la corrispondente quota di indennità di fine rapporto o anticipazione sulla stessa, l’esenzione (o non soggezione ad IRPEF) dell’indennità di fine rapporto o dell’anticipazione corrisposta riguarda le quote relative alle annualità di retribuzione corrisposte per il lavoro prestato all’estero.

In definitiva, può affermarsi che, in tema di imposte sui redditi, il trattamento di fine rapporto relativo ad annualità di retribuzione corrisposte per lavoro prestato all’estero deve beneficiare dello stesso regime fiscale di non assoggettamento ad IRPEF previsto per i redditi di lavoro dipendente prestato all’estero (fra le altre, Cassazione, sentenza 14 agosto 2002, n. 12201).

Si aggiunga che la sopra riportata interpretazione è stata confermata dalla risoluzione dell’Agenzia delle entrate n. 341/E/2008 secondo cui, essendo il TFR assimilabile al reddito di lavoro dipendente, si può ricorrere all’applicazione dell’art. 15 della Convenzione OCSE per evitare le doppie imposizioni; in base a tale articolo, il reddito di lavoro dipendente è tassato nel paese in cui viene prestato il lavoro a prescindere dalla residenza del lavoratore e da quella del datore di lavoro.

Per la stessa ragione l’Italia non può tassare i ratei di TFR relativi a periodi di lavoro prestato continuativamente all’estero.

Sulla base dei sopra esposti principi, la Commissione tributaria regionale ha accolto l’appello del contribuente osservando che, nel periodo in lite, il contribuente aveva prestato lavoro all’estero, alle dipendenze di società estera seppur in virtù di distacco ordinato da datore di lavoro italiano; e le retribuzioni erano state pagate in valuta straniera e assoggettate a tassazione unicamente nel Paese di destinazione.

Nessuna remunerazione era stata prodotta e tassata in Italia. Per cui, in conclusione - osserva la Corte - “la liquidazione maturata sui redditi prestati all’estero e pagati da soggetto estero subisce lo stesso trattamento fiscale di esenzione dalla tassazione come per i redditi di lavoro da cui sorge”.

Il principio, ad avviso di chi scrive, ha interessante rilievo per il caso - piuttosto frequente - in cui il dipendente di multinazionale italiana, dopo una carriera trascorsa all’estero, rientri in Italia a ridosso della conclusione del rapporto di lavoro. In questo caso, non rileva il fatto che, al momento della liquidazione del TFR il dipendente sia residente in Italia, perché magari in procinto di accedere alla pensione.

Anche in questo caso, il potere impositivo è unicamente dello Stato in cui sono state, tempo per tempo, tassate le retribuzioni che hanno costituito base imponibile per l’accantonamento del trattamento di fine rapporto.

(Sentenza Commissione tributaria regionale MILANO 30/12/2010, n. 219)


Fonte: IPSOA

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